“Non è facile essere un’artista donna in un territorio come il nostro ma ho scelto di restare e non me ne pento”.
Un’ artista a tutto tondo che ha preferito ritornare al suo paese nativo, rinunziando ad una promettente carriera. È Maria Rachele Branca di Bagnoli Irpino: ceramista, scultrice, pittrice, restauratrice.
Come ha inizio questo suo percorso artistico?
Ho iniziato i miei studi ad Avellino all’Istituto d’Arte per poi trasferirmi a Firenze in seguito al terremoto, dove ho ottenuto il diploma di maestro d’arte e quello dell’Accademia delle belle arti specializzandomi in scultura con il prof. Bianchi. Sono nata come ceramista, poi ho scelto la sezione di scultura che considero ancora oggi l mia vocazione naturale. Dopo questi studi, ho deciso di tornare in questo territori oche è bello anche morfologicamente e mi ha dato molti stimoli. Anche la scelta di vivere in campagna non è stata casuale. Mi tramette serenità essere circondata dalle mie montagne. Questo territorio mi protegge ma mi consente anche di confrontarmi con l’esterno. Diventa essenziale esportare questa esperienza, attingendo da quello che c’è oltre la siepe.
Come nasce questa sua passione per l’arte?
La mia passione per l’arte ha una componente genetica. Nella mia famiglia in tanti hanno coltivato questa passione. Io l’ho approfondita e portata avanti. Anche l’ambiente in cui vivo è molto stimolante. Bagnoli è una fucina di figure importanti che hanno offerto l’input per la formazione di artisti e di bravissimi artigiani. Fino agli inizi del novecento esisteva una scuola che era legata all’artigianato e all’intaglio. I bagnolesi hanno sempre avuto una grande tradizione legata a questo settore. Basti pensare al coro ligneo nella chiesa madre e alla pala d’altare raffigurante la Madonna del Rosario di Marco Pino da Siena nella chiesa di san Domenico. Agli artigiani locali si affiancavano numerosi artisti che venivano a lavorare qua.
Oltre che alla scultura e ceramica, si è dedicata anche ad altri linguaggi artistici?
Mi sono dedicata anche all’arte e al restauro che mi hanno formato. Ritengo che la conoscenza del passato sia fondamentale per affrontare il presente, così da lasciare una traccia per il futuro. Nella mia formazione all’Accademia ho sostenuto due esami di restauro per poi lavorare in questo campo, partecipando alla realizzazione di opere importanti, nella chiesa di Santa Croce di Lecce, a San Martin de Corleans ad Aosta, in un campo archeologico sul sarcofago di Apollo, lavori che mi hanno consentito di acquistare una buona preparazione tecnica. Al tempo stesso ho potuto stare a stretto contatto con dei reperti che sono unici.
Come si concilia la scultura, la pittura, la ceramica e il restauro?
Lavorare la ceramica è il mio mestiere. Ho anche un mio laboratorio dove propongo uno specifico tipo di ceramica. Cerco sempre di approfondire ciò che è legato al territorio con decori ed altri simboli. Cerco di guardare non solo al passato o alla tradizione a cerco di promuovere delle innovazioni. Anche se utilizzo spesso delle tecniche antichissime.
Quali sono queste tecniche antiche che utilizza?
A me piace molto la terracotta, non faccio uso di smalti come si fa nella ceramica di Vietri e nella costiera. Preferisco utilizzare una base che è la terracotta, in alcuni casi faccio uso di ingobbi, argilla su argilla e dei pigmenti, faccio largo uso di ossidi che poi consentono di lasciare delle patine particolari sulle scultura.
L’essere una restauratrice condiziona la realizzazione di sue opere?
Direi di si. Mi piace molto visitare mostre di arte contemporanea, siti e musei archeologici. Ho una passione per il passato.
Come nasce una sua opera?
Ogni opera d’arte è strettamente legata all’emotività, legata ad un’emozione che provo e che cerco di trasmettere agli spettatori. Può nascere in ogni momento, stando insieme agli altri, nel parlare leggendo un libro, vedendo un film. Deve esserci qualcosa che mi emoziona. Poi questo pensiero inizia a diventare prima schizzo, oi modellino ed infine opera.
C’è un’opera alla quale è particolarmente legata?
Si intitola “L’inchiodata” e rappresenta una donna che ha un chiodo in un forte valore affettivo. L’ho realizzata diciotto anni fa quando ero incinta di mia figlia, che ovviamente la porterà con se come dote. Questo manufatto rappresenta anche la mia scelta di restare nel nostro territorio. Una scelta non semplice per una donna che vuole essere libera mentalmente e creativa in un ambiente privo di strutture e di possibilità che ti aiutano a crescere. Solo l’affetto e il sostegno dei familiari ti aiutano ad emergere. Per una donna qui è ancora più difficile lavorare.
Quanto c’è di Rachele Branca nelle sue opere?
Il cento per cento, non faccio mai un’opera per esaudire il desiderio d’altri, anche se mi viene commissionata. Cerco sempre di sensibilizzare il committente, esponendogli la mia idea dell’opera. Le ultime opere realizzate dietro committenza sono state per il Comune di Bagnoli Irpino e per la basilica dei Santi Apostoli a Roma, dove a commissionare l’opera è stato il Vaticano. Con il committente cerco prima di stabilire un rapporto umano. Non realizzo mai un’opera che non rispecchiano i miei canoni.
Possiamo dire che ha creato un suo stile?
Quando le persone vedono le mie opere in ceramica mi dicono “si vede che sono tue”. Non credo di aver creato un mio stile. L’arte in questo momento è quasi solo pensiero, c’è del concettuale che appartiene più alla filosofia che alla manualità, sicuramente sono riconoscibili e questo mi fa piacere.
Cosa direbbe ad un giovane che vuole dedicarsi a questo mestiere?
Gli direi che deve amare questo lavoro, non pensare subito al guadagno. Bisogna, innanzitutto, essere educatori, educare alle cose belle. Stiamo creando un mondo materialistico, non si dà più importanza al bello. Il rischio è quello di fare delle cose solo per guadagnare tralasciando la ricchezza dello spirito.
Pellegrino La Bruna (Quotidiano del Sud 11.11.2019)
IL QUOTIDIANO DEL SUD
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