«Se si rafforzano le comunità e le identità dei territori minori si può fare turismo anche in Irpinia»
L'intervista (Orticalab.it)
Angela Cresta, geografa del Turismo e ricercatrice del Dipartimento di Diritto, Economia, Management e Metodi Quantitativi all’Università del Sannio traccia il percorso per portare fuori dalla marginalità il terroir: «Per competere sul mercato e rimanere allo stesso tempo sostenibili bisogna puntare sul turismo di comunità e sul concetto di esperienza»
Professoressa Cresta, nell’ultimo anno il Turismo in Campania è cresciuto sensibilmente. Nonostante questo, i flussi turistici si sono riversati esclusivamente su Napoli e la costa campana bypassando le aree interne. Come spiega questa tendenza?
«I dati ci dicono che il turismo in Italia è cresciuto in maniera sensibile nell’ultimo anno. Abbiamo superato la Francia e siamo il secondo Paese d’Europa dietro la Spagna. Ma questi flussi toccano solo marginalmente le nostre aree interne. Non riusciamo del tutto ad intercettarli non solo perché siamo marginali geograficamente e non abbiamo grandi attrattori da offrire, ma perché siamo poco attenti ai nuovi modelli di consumo turistico che sollecitano territori come il nostro a puntare di più sul concetto di esperienza, di identità e di paesaggio. Il turista del futuro andrà sempre di più alla ricerca di autenticità, vorrà sempre più immergersi in una dimensione esperienziale lontana dal proprio quotidiano. L’Irpinia potrebbe risponde perfettamente a queste esigenze. Dobbiamo prepararci ad un cambio di rotta altrimenti continueremo a rimanere alla finestra».
Quali sono le modalità di fruizione dei nuovi viaggiatori?
«Il turista oggi riduce sempre più la durata delle proprie vacanze, ma moltiplica le sue modalità di fruizione. Sceglie risorse e operatori sostenibili e responsabili ed è sempre più attento alla sharing economy. In sostanza ha uno stile di vita che va al di là della pratica di consumo turistico conosciuta fino ad ora. Vuole rallentare il proprio ritmo di vita, è alla costante ricerca di conoscenza, di nuovi momenti di socialità da godere in profondità. Ama entrare in contatto con i luoghi e con le persone che li abitano, condividere la quotidianità, non sentirsi ospite, partecipare al vissuto delle comunità che trova sul proprio cammino».
Se questo è lo scenario di partenza, cosa bisognerebbe fare per sollecitare un processo di valorizzazione dell’offerta turistica in Irpinia?
«Partire sempre e assolutamente dal basso, coinvolgere le comunità locali, renderle partecipi di ogni processo di valorizzazione territoriale e/o turistico, nel pieno rispetto della cultura, dei luoghi, delle specificità. L’approccio fin qui più condiviso è stato quello di calare dall’alto progetti e iniziative che spesso si sono dimostrate lontane dai nostri mondi e hanno prodotto risultati limitatissimi. Non esistono modelli che possano andare bene tout court. Possono essere usati come benchmark per stimolare e sollecitare azioni concrete, ma non di più. Siamo in estremo ritardo rispetto ai nuovi concetti di turismo. Bisogna invertire la tendenza, rendere partecipi le comunità nel processo di valorizzazione turistica, rafforzare il milieu locale partendo da relazioni cooperative all’interno dei territori. Prima ancora di valorizzare le nostre peculiarità per la competizione o il mercato turistico, occorre puntare forte sulle identità locali e sulle comunità che restano le uniche risorse in grado di stimolare l’uso del nostro patrimonio in chiave turistica. Le comunità vanno rese partecipi dei processi di valorizzazione altrimenti non si avranno ricadute significative e diffuse».
La nascita della Fondazione Sistema Irpinia potrebbe favorire una maggiore consapevolezza delle comunità?
«L’auspicio è che in questa nuova avventura, che spero abbia successo, l’elemento catalizzatore rimanga il territorio e le comunità che lo abitano. Sono convinta che siano sempre le persone a fare la differenza perché rappresentano l’elemento identitario di un luogo. Le Istituzioni che fanno parte della fondazione dovranno avere il ruolo di collettori di tutti quegli impulsi che partono dal basso, dovranno fare da cassa di risonanza di tutte queste energie. Solo così il Sistema Irpinia potrà camminare seguendo un percorso di sviluppo turistico concreto».
Il turismo di comunità rappresenta uno dei nuovi approcci alla progettazione turistica. Pensa che possa essere valido anche per l’Irpinia?
«Credo che possa essere il modello maggiormente aderente ai nostri territori. Non possiamo immaginarci grandi numeri, non abbiamo servizi e infrastrutture che possano gestire ingenti flussi. Compiendo piccoli passi si può lavorare sul recupero, il riuso e la riqualificazione dei borghi, senza costruire nulla di nuovo, senza inventarci qualcosa che non c’è. Competere rimanendo sostenibili! L’esperienza recente di Oscata, frazione di Bisaccia, potrebbe, nel suo piccolo, essere un primo esempio di turismo di comunità in Irpinia. Qui si è costituito un laboratorio territoriale permanente con un comitato promotore per la riconversione turistico rurale della frazione, fatto da persone che sono nate in quel luogo ma anche da coloro che per svariati motivi si sono trasferite altrove. Grazie al loro entusiasmo e alla loro caparbietà si sta provando ad immaginare un modello di sviluppo turistico “altro”. Allo stato attuale hanno già lavorato su una ricognizione delle risorse presenti, delle potenzialità inespresse e dei servizi da implementare. Si tratta di un processo totalmente endogeno, senza alcuna sollecitazione esterna, ma che si è aperto ad ogni contributo e positiva contaminazione, e che credo possa essere replicato anche altrove».
Secondo lei l’Enogastronomia può essere ancora un volano per questi territori?
«L’enogastronomia è senza dubbio una carta importante da giocare, ma va territorializzata ulteriormente attraverso percorsi di qualità che favoriscano una comunicazione e una rappresentazione maggiore del territorio. Se non c’è corrispondenza tra qualità del prodotto e offerta turistica si finisce per offrire un prodotto incompleto. Penso alla Toscana dove il territorio, attraverso i suoi prodotti di qualità, è riuscito a trasformarsi esso stesso in un brand di successo, superando il prodotto stesso. Noi ci troviamo nella situazione opposta: un prodotto di estrema qualità non ha trovato corrispondenza in un’offerta turistica altrettanto riconoscibile. Per colmare questo gap occorre investire maggiormente sulla cultura del territorio che non può prescindere dal coinvolgimento delle comunità».
Gerardo De Fabrizio (Orticalab.it)
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