Riceviamo e volentieri pubblichiamo l’intervento sulla piattaforma digitale della prestigiosa enciclipedia Treccani del bagnolese Giovanni Solimine (*) , docente universitario, studioso di biblioteconomia e di problemi dell’editoria e della lettura, dal febbraio 2017 presidente della Fondazione Bellonci, che si occupa di valorizzazione della letteratura contemporanea e organizza il Premio Strega.
Il mondo del libro è stato scaraventato da un giorno all’altro in un futuro che non promette niente di buono. Alle librerie, alle biblioteche, alle case editrici è toccata la stessa sorte di altre attività e servizi che a causa del Covid-19 si sono ritrovate in rete, insieme a tutto ciò – compresa la nostra quotidianità e la nostra vita privata – che poteva trasferirsi in ambiente digitale. Si è trattato di un esodo senza alternative: essere o non essere, sparire oppure cercare di adattarsi a una realtà per la quale non si era attrezzati.
Nelle prime settimane di lockdown ci eravamo illusi che la reclusione forzata avrebbe spinto la gente a leggere di più. Piccolo particolare: con la produzione editoriale bloccata, le biblioteche chiuse e le saracinesche delle librerie abbassate, ciò presupponeva che le famiglie avessero tanti libri in casa. Un po’ alla volta ci siamo dovuti render conto che non è affatto scontato che il vuoto che si è creato possa essere riempito dalla lettura, una pratica finora abbastanza trascurata dagli italiani e che adesso speravamo potesse per incanto conquistare terreno. Si è anche pensato che l’interruzione dell’attività scolastica potesse rilanciare la lettura: infatti la didattica dovrebbe essere un mix fra lezione frontale e studio individuale, assemblate insieme in quel grande fenomeno sociale che è la scuola. Ma molti insegnanti non prevedono uno spazio per la lettura come pratica formativa e quindi il libronon poteva comparire all’improvviso nella didattica a distanza.
La situazione è pesante anche perché il mondo editoriale stava faticosamente cominciando a riprendersi dopo un periodo difficilissimo: il mercato del libro nel decennio scorso era sceso da circa 3,5 miliardi di euro a 2,7 e solo da un paio d’anni era tornato sopra i 3 miliardi; nell’ultimo quinquennio circa 2.300 librerie hanno chiuso i battenti; da tempo le biblioteche perdono appeale i loro utenti si si sono ridotti di circa il 30% quasi ovunque. A questo quadro dobbiamo aggiungere ora un paio di mesi di chiusura e i timori per una ripresa che sarà lenta ed esposta a mille incognite.
I costi economici e sociali della pandemia incidono sui bilanci aziendali, ma anche su quelli personali di migliaia di addetti che rischiano di perdere il lavoro. Quanti istituti e quante imprese saranno in grado di sopravvivere, e a quali condizioni? E il prezzo culturale e civile che pagherebbe una comunità in cui il libro fosse relegato ai margini come possiamo calcolarlo? Non ci voglio neppure pensare.
Ma abbiamo il dovere di cercare di capire quale futuro aspetta il mondo del libro. Per il momento, la buona volontà non manca. Tanti editori, librai, bibliotecari, operatori del mondo dell’associazionismo e del volontariato stanno cavalcando la rete, facendo l’impossibile: sul web si sono moltiplicati spazi di discussione sui libri e incontri con autori, tutti intensamente partecipati. L’uso degli e-book, che languiva, è schizzato in alto del 300%. Anche le soluzioni ibride stanno funzionando: in alcuni casi ci si sforza di fornire servizi – come la consegna dei libri a domicilio da parte delle librerie o l’offerta di servizi on-line da parte delle biblioteche – che per la verità altri competitor già offrono, forse con minore qualità ma con ben altra forza comunicativa.
Assai complessa una progettazione della ripresa. A questo proposito, va detto che le idee attualmente messe sul tappeto paiono assolutamente inadeguate. Tutti chiedono che venga incentivata la domanda e che siano sostenute le imprese, invocando un “tavolo” che concerti con il governo misure idonee a fronteggiare l’emergenza. Intendiamoci: le associazioni fanno benissimo a difendere gli interessi delle categorie che rappresentano, ma si tratterebbe, nella migliore delle ipotesi, di interventi utili a dare una boccata d’ossigeno al settore e riportarlo alla situazione di partenza, che non era esaltante, come si è visto.
Una incisiva politica per il libro ha bisogno di un orizzonte temporale e di un respiro progettuale diverso. Cambia il paradigma delle nostre esistenze e qualsiasi tipo di offerta, anche per il libro e la lettura, va totalmente ripensata. L’obiettivo deve essere innanzi tutto quello di creare le condizioni per allargare le basi sociali della lettura, che in Italia sono ancora troppo ristrette, ma bisogna anche immaginare lo spazio che i libri, e ancor prima le parole scritte, potranno occupare nel mondo che uscirà dalla pandemia da Covid-19. Quindi bisogna lavorare sullo sviluppo di una nuova proposta, adeguandola agli stili di vita e di consumo culturale che si affermeranno nei prossimi decenni. Servono risorse – finanziamenti a fondo perduto e non prestiti che, sia pure agevolati, rischierebbero di essere poco utilizzati – per l’innovazione della filiera del libro e per consentirle di fare un salto di qualità: investimenti in tecnologie, sperimentazione di nuovi prodotti editoriali e nuovi circuiti distributivi, formazione degli operatori a nuove funzioni, e altro ancora, in modo che l’editoria possa essere pronta a giocare la partita della rinascita.
Giovanni Solimine (Treccani.it)
(da Fuori dalla Rete, Maggio 2020, anno XIV, n. 2)
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