Scuola, fede & politica: Intervista al prof. Attilio Meloro

A cura della redazione

Proseguono le interviste ai sindaci di Bagnoli Irpino. In questa edizione natalizia di “Fuori dalla Rete” a rispondere alle nostre domande è il Prof. Attilio Meloro sindaco di Bagnoli nel quadriennio 1997-2001.

Meloro è un cognome che a Bagnoli ha significato molto. Una stirpe familiare che ha avuto attraverso alcuni dei suoi componenti ruoli importanti e di grande responsabilità nel nostro Comune. Il nonno Attilio fu Podestà nel periodo del Fascismo, il padre  Alfonso Sindaco di Bagnoli in uno dei momenti più delicati e difficili, quelli della gestione del terremoto del 1980. E poi, in ultimo, la sua personale esperienza da Sindaco di questo paese nel periodo a cavallo dei due secoli, nel quadriennio 1997-2001. Oltre all’esperienza amministrativa ha dedicato la sua vita all’insegnamento nelle scuole. Laureatosi presso l’Istituto Universitario Orientale di Napoli in Lingue, letteratura e istituzione dell’Europa Occidentale Sezione Germanica, ha insegnato come docente di lingua francese nella scuola media di primo grado in provincia di Pordenone e in Irpinia. Impegnato nell’attività parrocchiale e in alcune associazioni di volontariato, è stato uno dei fondatori e primo presidente dell’associazione “Amici del Rwanda”.  Molto legato alla famiglia, oggi è un nonno felice. Appassionato di storia, arte, natura e della lettura a cui dedica il suo tempo libero.


Cosà sa dirci di suo nonno, il podestà. Ha dei ricordi? I suoi familiari le hanno raccontato aneddoti che può rivelarci?

Prima di rispondere alla domanda, volevo sottolineare, senza presunzione e senza togliere nulla agli altri, le qualità morali e civili dei Meloro. Essi si sono fatti apprezzare per la loro grande umanità, per il rispetto delle persone di qualunque ceto sociale, per il rispetto delle istituzioni e dei loro rappresentanti senza distinzione di appartenenza politica, per l’amore verso il loro paese e per lo spirito di servizio profuso quando sono stati chiamati ad impegni pubblici. Scusate questa premessa ma era un atto dovuto, per onorare la verità storica.

Purtroppo non ho avuto la fortuna di conoscere mio nonno di cui porto il nome con fierezza ,anche se i bagnolesi lo chiamavano” ronn’ Affonzo”. Quindi le notizie riguardanti la sua persona le ho ricevute dai miei familiari, soprattutto da mio padre. Era un maestro di scuola elementare e morì la notte del 14 luglio 1945, per infarto: aveva appena 50 anni. Se ne andò in silenzio pur suscitando tanto clamore tra i suoi concittadini verso i quali non aveva mai fatto pesare la sua carica di “ podestà “. Era una persona semplice, buona, generosa e mite tanto da odiare la guerra pur avendo partecipato ad entrambi i conflitti mondiali, meritando anche delle onorificenze militari. Mio padre gli ha dedicato una breve pubblicazione nella quale una serie di documenti ne attestano il suo vero orientamento politico esaltato nella partecipazione alle “quattro giornate di Napoli” a fianco dei partigiani nel rione Vergini ai Cristallini e largo Miracoli.

Come podestà, fece costruire la casa dell’E.C.A. (ente comunale di assistenza) là dove oggi c’è il cinema. Aveva la passione per la caccia e, d’inverno, con gli amici si divertiva a sciare in località “Difesa” dando anche spunto a qualche “ rimatore” locale di mettere in versi queste prestazioni sportive.

Suo padre Alfonso Meloro è stato uno dei padri nobili della Democrazia Cristiana a Bagnoli Irpino. Chi l’ha conosciuto l’ha decritto come una persona colta, equilibrata e moderata, uomo di partito e uomo di fede. Quale tratteggio ne farebbe lei oggi? 

Mio padre è stato una persona poliedrica. Ha dedicato la sua esistenza alla famiglia, alla scuola, alla politica, all’associazionismo, alla fede e all’amicizia. Molto esigente e severo con noi figli e con i suoi alunni; preciso e ordinato nel suo lavoro scolastico; moderato, equilibrato, aperto al dialogo, leale e rispettoso delle istituzioni e dell’avversario in politica; disponibile e risoluto nella vita associativa; molto devoto; gioviale ed estroverso con gli amici. Se dovessi riassumere in una parola la sua personalità, direi che è stato un democratico, uno del popolo e impegnato per il popolo. 

Suo padre si è anche dedicato con passione alla ricerca e allo studio della storia locale. Ci sono state delle sue interessanti pubblicazioni.

Gli piaceva molto leggere e scrivere. Da piccolo, ricordo che si ritirava nello studio per annotare i suoi interventi nelle assemblee di partito o i suoi discorsi politico-amministrativi da tenere durante le competizioni elettorali. Guai a disturbarlo. Era abituato a mettere per iscritto qualsiasi pensiero e, da pensionato, dedicava molto più tempo alla lettura, alla ricerca sugli usi bagnolesi e alla scrittura. Innamorato di Bagnoli, pubblicò la sua prima opera letteraria nel 1985 dal titolo “Bagnoli Irpino: dialetto, costumi, folk “. Ha scritto anche delle poesie dedicate ad alcuni monumenti di Bagnoli dopo il loro restauro. Infine, “ Il canto del cigno”, un’antologia autobiografica corredata da documenti riguardanti un periodo storico di Bagnoli. 

Molti a Bagnoli ritengono che lei abbia preso tanto dal carattere di suo padre. È vero?

Il giudizio dei bagnolesi su questo aspetto lo trovo molto azzeccato. Credo che anche la genetica ci ha messo del suo. Mio padre, per me, è stato un esempio, un modello da imitare, una fonte inesauribile di conoscenza, di esperienza di vita e di saggezza. Fin da piccolo lo guardavo stupito mentre correggeva i compiti dei suoi scolari. Quando mi portava nella sua classe, notavo che il suo rapporto con i ragazzini era identico a quello tenuto con noi figli. Era severo ma paziente e paterno. Sicuramente mi ha trasmesso l’amore per la scuola! Sì, credo proprio di sì. Gli rassomiglio in molti aspetti. Mi considero come lui una persona semplice leale, rispettosa, giusta, disponibile, concreta e determinata nell’assolvere un impegno al quale vengo chiamato. Ordinato e a volte eccessivo nella cura delle mie cose e in certi comportamenti della quotidianità e, come tutti gli esseri umani, dotato di tanti difetti. 

Anche Lei ha avuto  grande passione per la politica. Ha militato coerentemente sempre nei partiti moderati e di centro. Dapprima nella Democrazia Cristiana. poi nei Popolari, nella Margherita ed in ultimo nell’Unione di Centro. Cosa può dirci di tutte queste esperienze?

Considero la politica più che una passione un campo, una sfera della vita alla quale dare il giusto valore perché riguarda le problematiche di una comunità, l’interazione tra persone che hanno a cuore questi problemi, la possibilità di partecipazione aperta a tutti e la disponibilità, eventualmente, di collaborare in piena sintonia e fiducia al raggiungimento dello scopo. E’ stata maestra di vita: mi ha aiutato a crescere, a formare una coscienza critica, mi ha insegnato a saper ascoltare gli altri, a dialogare, a non perdere mai di vista l’obiettivo, ad avere una visione più ampia delle cose, a dare il proprio contributo di idee e di operosità nell’interesse generale. Devo confessare, forse sarà un mio limite, che non ho mai compreso la pratica del tatticismo in politica. Resta mia convinzione che questi strani percorsi hanno finito per allontanare di più i cittadini dalla politica e dalle istituzioni. Da giovane iscritto alle varie sigle partitiche citate, ho fatto parte di qualche direttivo politico ma poi gli studi universitari e l’inizio della professione docente mi hanno tenuto lontano dalla vita politica attiva in Bagnoli. Con il ritorno a Bagnoli nel 1986 ho ripreso ad interessarmi di nuovo di politica locale. Nel 1987 arrivò per me il primo impegno in amministrazione con il sindaco Tobia Chieffo. E’ stata un’esperienza indimenticabile e , per quanto mi riguarda, molto formativa. Mi ha fatto capire che l’assunzione di responsabilità è un dovere da assumere e da onorare. Dopo quella esperienza in amministrazione, ne sono seguite altre nelle quali ho dato il mio contributo.

A Bagnoli la «catalogano/etichettano» come aderente al gruppo dei “demitiani”? È  corretto? E qual è stato il suo rapporto con il Presidente Ciriaco De Mita?

E’ un’etichetta che porto addosso con orgoglio e onore; non mi vergogno di stare in questo gruppo. Mi sembra che ci sia qualcuno che prova invidia in tutto ciò. Il presidente De Mita non ha bisogno di essere difeso dalle solite critiche strumentali. La sua persona appartiene alla storia della politica italiana. Il suo impegno politico al servizio del Paese e delle zone interne è un dato di fatto incontrovertibile. Gli ho sempre riconosciuto una grande intelligenza politica e un grande carisma. Il mio rapporto con lui è improntato alla stima, al rispetto e alla riconoscenza per tutto quello che è stato e ha fatto per i territori arretrati e poveri.

Nel 1997 arrivò per lei la grande chiamata. I maggiori partiti del centro sinistra decisero di candidarla a Sindaco di Bagnoli, dopo le aspre divisioni e contrapposizioni nelle due precedenti campagne elettorali. Cosa ricorda di quelle elezioni che la videro poi vincente?  

Fu una campagna elettorale esaltante; molto corretta da parte di tutti. Ricordo che furono giorni impegnati. Ci si riuniva nella sede della pro loco in via De Rogatis per incontrare e ascoltare le varie categorie produttive e le associazioni per elaborare un programma realistico e fattibile. Ero stato chiamato a guidare una coalizione di centro-sinistra con candidati del PPI, PDS, RC e SI confluiti nella lista “Insieme per Bagnoli”. Si vinse per alcune decine di voti e così iniziò il mio mandato; allora la sua durata era di quattro anni. Eravamo, comunque, tutti consapevoli che quella esperienza nata a ridosso delle elezioni amministrative, era l’unica soluzione per ristabilire a Bagnoli un clima di confronto civile dopo le forti contrapposizioni centrate sulla lotta all’avversario sul piano personale. Era una situazione nuova e così realizzai che il mio ruolo da sindaco, in primis, di creare un ambiente dove la fiducia e il rapporto umano tra gli amministratori fossero privilegiati; di conseguenza l’azione amministrativa doveva coincidere con le aspettative dei cittadini ed essere coerente con il programma. A proposito volevo cogliere l’occasione per ringraziare tutti i consiglieri, di maggioranza e di minoranza, che diedero vita a quella amministrazione e all’impegno profuso per la crescita del paese. Ringrazio anche tutti i dipendenti per il lavoro burocratico svolto. Purtroppo alcuni di loro ci hanno lasciato prematuramente. Certamente non tutto è andato sempre bene; resta il rammarico, per quanto mi riguarda, di non essere riuscito a completare l’opera di coesione e la messa in sintonia tra l’amministrazione e la comunità. Forse le spaccature in qualche partito non erano state ancora saldate completamente. Mi dispiace, altresì, di aver disatteso alla promessa fatta alla cittadinanza in una Festa dell’Amicizia che riguardava la pubblicazione del resoconto di fine mandato. Comunque gli atti amministrativi attestano tutte le opere realizzate da quella amministrazione. 

Durante la sua esperienza da Sindaco quali sono state le opere eseguite ed i progetti portati avanti che l’hanno maggiormente inorgoglita? E quale invece, se c’è stato, il rammarico maggiore?

La mia esperienza mi fa dire che durante il mio mandato in tutte le discussioni avute su atti programmatici nelle varie riunioni istituzionali, venivano sempre privilegiate le attività atte a favorire l’interesse generale con la consapevolezza che un iter amministrativo poteva coinvolgere una o più amministrazioni. Comunque siamo stati molto attenti a cogliere le opportunità che ci venivano offerte da disposizioni legislative nazionali, regionali e provinciali nonché quelle della Comunità montana. Più che una singola opera vorrei ricordare il settore che mi ha visto più coinvolto e impegnato: il turismo, l’unica attività produttiva che poteva intercettare in quel momento, anche perché favorito da disposizioni legislative, enormi risorse finanziarie per lo sviluppo delle zone interne. Fu una continua e fattiva sinergia con la Regione, la Provincia, la Comunità montana e il Consorzio Laceno che portò, tra l’altro, al finanziamento dello studio di fattibilità sulla stazione turistica del Laceno. 

Con la sua elezione a Sindaco inizia per Bagnoli un periodo di stabilità politica con diverse esperienze di centro-sinistra. E questo però fino al 2008, quando si registra una nuova e traumatica rottura con l’elezione a sindaco dell’avvocato Chieffo.

Dopo il mio mandato, nel rispetto del criterio dell’alternanza, fu candidato ed eletto sindaco Antonio Di Mauro, alla guida di un’amministrazione sempre di centro-sinistra. Anche quel periodo fu fecondo e prodigo di risultati. Seguì il sindacato di Antonio Nicastro che stravolse, in un certo senso, il modo di operare in un’amministrazione di coalizione: buoni propositi, delibere d’intenti, mancanza di confronti e dialoghi su importanti tematiche amministrative, modesti risultati. Secondo me, ci si attardava su questioni marginali o di ordinaria amministrazione mentre i complessi problemi restavano arenati nella prosecuzione del loro iter. Qualche partito mugugnava ma i suoi rappresentanti erano altalenanti nel prendere una seria decisione sull’eventualità di una crisi; c’era, inoltre, qualche consigliere che cercava la visibilità personale affossando la coesione e la collegialità del gruppo di maggioranza. Stesso clima in occasione della nascita del PD, con distingui e veti incrociati; sempre in cerca della visibilità personale e del consenso immediato, accusando una precisa parte politica dell’immobilismo amministrativo. Sono stati alcuni dei motivi che hanno finito per determinare un ritorno al clima politico degli anni sessanta e settanta.

Oggi sembra più distaccato rispetto alle faccende politiche locali. Dal suo osservatorio come  vede le forti contrapposizioni di questi ultimi anni in paese e le inevitabili lacerazione del tessuto sociale? Non riusciamo più a dialogare tra di noi e a ragionar come comunità.

E’ mia convinzione che ognuno ragiona ancora in termini individualistici e fortemente critici verso gli altri. Le persone sono spogliate della loro dignità e dei loro valori. Si offende per divertire la platea. In altre parole si mette in campo la macchina del fango. Se vi aggiungiamo l’uso distorto dei social, il clima si fa pesante e controproducente; l’avversario politico è visto come un nemico per cui va annientato; si usa un linguaggio sconcio e poco rispettoso; i problemi del paese restano ancora una volta ai margini della discussione. In queste condizioni mi sembra arduo ricreare una parvenza di comunità. A distruggere ci vuole poco, a ricostruire è opera immane. Se non ci spogliamo dell’arroganza e ritorniamo a coltivare i valori cristiani, non ci sarà né coesione né speranza. Bisogna ripartire dalle persone, perché senza un nuovo umanesimo, non ci può essere un nuovo rinascimento. Non basta solo la buona volontà; c’è bisogno, soprattutto in questo tempo sospeso, di amare, conoscere, proporre, condividere, costruire. Ci vuole saggezza e oculatezza, non improvvisazione e protagonismo; una visione del futuro dove tutti concorrono con il loro contributo. Da un po’ di tempo ho scelto di restare ai margini dell’attuale modo di fare politica; sono molto deluso. Si è trasformata in un’arte troppo divisiva e poco coerente; non coincide con la mia attuale visione della società. Il mio tempo è ormai superato; bisogna aver l’umiltà di capire quando fare un passo indietro e lasciare spazio a uomini e donne dotati di sani principi, di freschezza di idee e capaci di assumersi le proprie responsabilità. Non possiedo più la vivacità mentale e la regolarità d’azione di una volta e come dice Dante in canto dell’Inferno sono “giunto in quella parte di mia etade ove ciascuno dovrebbe calar le vele e ritirar le sarte”.

Così come gli ex sindaci Tobia Chieffo e Lucia Scotto Di Clemente, di recenti intervistati da PT39, anche lei ha trascorso una vita nella scuola. Ha insegnato lingue per quasi 40 anni nella scuola primaria di secondo grado (ex scuola media). Ci racconta un po’ della sua esperienza e com’è cambiata la Scuola nel corso degli anni?

Fin dall’inizio del corso di studi universitario, avevo scelto l’insegnamento avendo scelto nel piano di studio l’indirizzo glottodidattico. Ho trascorso, a parte la vita familiare, a scuola, da nord a sud, il più bel periodo della mia esistenza; ho dato tanto ma ho ricevuto tantissimo dagli alunni e dai colleghi. Una relazione continua e proficua con i colleghi, un complesso confronto sulla personalità dell’alunno, una profonda e attenta conoscenza della persona da curare ed educare in ogni suo aspetto senza limitarsi semplicemente all’apprendimento delle singole nozioni disciplinari. E’ un compito arduo ma avvincente che stimola e coinvolge e, alla fine, da soddisfazione; a volte, in alcuni casi, lo sentivo come un fallimento. In queste situazioni si avvertiva l’assenza dell’azione educativa della famiglia. Oggi la scuola la vedo ancora più in sofferenza, anzi con la pandemia in corso e una classe politica alquanto miope, riceverà un altro duro colpo che si rifletterà sul futuro del nostro Paese. Non aggiungo altro, perché non conosco completamente le attuali problematiche inerenti la funzione docente e più in generale della scuola; comunque, spero che la classe docente, ancora una volta lasciata da sola, sappia farsi carico, come è suo costume, di questa parte vitale della società e darle una speranza, un futuro perché l’insegnamento non è un lavoro routinario, fatto di comportamenti ripetitivi ma è una missione alla quale dedicarsi con amore e passione per la formazione dei futuri cittadini.

Ci può raccontare un episodio del periodo “scolastico” che l’ha colpita in maniera particolare. Una vicenda che l’ha vista coinvolta più delle altre emotivamente e che ha riguardato un alunno, la sua famiglia o qualche suo collega di lavoro?

Nella scuola i rapporti umani hanno una grande importanza e io mi ritengo una persona fortunata perché la mia professione mi ha offerto l’opportunità di averli vissuti con entusiasmo e giovialità sia con i colleghi sia con gli alunni. Sono stati tanti i momenti memorabili che hanno percorso la mia carriera di docente: aneddoti e situazioni tragi-comiche se ne possono contare a centinaia. D’altronde i ragazzi sono sempre una miniera di liete sorprese. Quando nacque mia figlia in Friuli, un’intera classe m’inviò un biglietto di auguri, che conservo ancora, che riportava queste testuali parole “ Auguri  per il lieto avvento”; a Calitri mi hanno dedicato una poesia “ Il professore “,  ma quella che porto nel cuore e che mi emoziona sempre, è accaduta a Bagnoli. Un giorno un alunno, durante la lezione, mi ha interrotto per una spiegazione chiamandomi con tenerezza “ Papà” . Ancora più emozionante è stato ritrovarmi collega del mio professore di scuola media, severo ma molto umano con tutti gli alunni.

In ultimo le facciamo una domanda più intima e personale. La vediamo assiduamente in Chiesa ed ha un ottimo rapporto con il parroco don Stefano. Cosa può e vuol dirci del suo rapporto con la FEDE?

Ho sempre avuto un buon rapporto con tutti i parroci che si sono avvicendati in tutti questi anni alla guida della nostra comunità parrocchiale anche se è mutato con il passar del tempo. Chierichetto con don Salvatore De Simone e don Pierluigi Cappellini, a collaboratore con don Remigio M. Jandoli e don Stefano Dell’Angelo. Sono cresciuto in una famiglia cattolica e fin da piccolo ho ricevuto, soprattutto da mia nonna paterna, i primi elementi del credo cristiano. Da adulto ho maturato in piena autonomia e consapevolezza i valori cristiani che rispecchiano appieno gli aspetti del mio carattere. Ho continuato a coltivare e ad approfondire tali principi che cerco di testimoniare al meglio nella vita quotidiana, pur tra tanti limiti di una persona imperfetta. L’altro aspetto della mia religiosità riguarda la sfera intimistica costituito dalla lettura delle sacre scritture, dalla riflessione sul rapporto uomo-Dio, dalla meditazione personale e dalla preghiera.

La redazione di PT39

(da Fuori dalla Rete, Dicembre 2020, anno XIV, n. 6)


– PROF. ATTILIO MELORO –

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