In questo meritorio recupero della storia e della memoria, che stiamo compiendo in questo 2021, un posto fondamentale è occupato, in questi mesi, dal centenario del Partito comunista italiano in Irpinia (prima Partito comunista d’Italia), che ha visto i contributi di non pochi studiosi, tra cui Luigi Anzalone, Annibale Cogliano, Carmine Clericuzio, Fiorenzo Iannino.
Questo partito, la cui storia abbraccia tutto il “secolo breve”, ha avuto una evoluzione complessa, legata prima al pensiero marxista e leninista, quindi, durante il periodo della clandestinità, alla figura di Stalin fino alla sua lenta separazione dal modello sovietico a partire soprattutto dal Consiglio nazionale del 30-31 marzo 1944 e dal V Congresso del Pci del dicembre 1945. Anche il cambio del nome, da Pcdi a Pci, non fu un semplice ammodernamento nominale, ma segnava il passaggio da un Partito marxista-leninista rivoluzionario ad un partito che rientrasse all’interno del panorama delle socialdemocrazie occidentali.
Basti rileggere pochi estratti del discorso di Ercoli al V Congresso appena ricordato: “Quando diciamo di volere un regime democratico repubblicano sono molti coloro che credono poterci mettere in imbarazzo chiedendoci qual è la democrazia a cui aspiriamo e, specialmente, quali sono le riforme di natura economica che intendiamo realizzare. Vorrebbero far credere che determinate rivendicazioni economiche e sociali noi le vogliamo realizzare anche a costo della democrazia. Il giuoco però è meschino. Noi infatti non solo affermiamo di volere una repubblica democratica di lavoratori, non solo rivendichiamo una Costituzione, che garantisca la libertà di parola, di stampa, di coscienza, di organizzazione economica e politica. Noi vogliamo pure che queste conquiste democratiche siano garantite seriamente, ed appunto per questo lottiamo per l’attuazione di alcune riforme economiche destinate a distruggere le radici della reazione e del fascismo. La nostra democrazia non può quindi essere una democrazia qualsivoglia, ma deve avere un contenuto di trasformazioni economiche molto precise”.
Questa storia così complessa ha ovviamente un risvolto importante anche in Irpinia dove il partito comunista ha alcune adesioni soprattutto tra la piccola borghesia e i braccianti. In questa storia, come già è stato segnalato da vari studiosi, tra cui Mario Garofalo, un ruolo importante è occupato da Montella, con il protagonismo di Ferdinando Cianciulli, il pioniere del socialismo, che non aderì al partito comunista, come risulta dai documenti sino ad ora a disposizione.
Aderì al Partito comunista, invece, il cugino Michele, nato a Montella nel 1895, che, dopo essere ritornato dalla guerra e dopo 2 anni di prigionia in Germania, fu eletto presidente del Circolo giovanile socialista di Montella e collaborò con il noto foglio di Ferdinando, “Il Grido”.
Nel 1923, dopo il passaggio della sezione socialista montellese al partito comunista, si trasferì a Roma dove conseguì due lauree, in filosofia e in giurisprudenza, e sempre nella capitale vinse un concorso di segretario presso il Ministero delle Finanze. Il 19 novembre 1925, la Prefettura di Roma – come risulta dal Casellario politico centrale di Roma, i cui documenti mi sono stati forniti da Carmine Clericuzio, che ha scritto una importante tesi sull’argomento -, dopo aver scoperto il suo nome in un elenco di iscritti al Partito, lo sottopose ad una perquisizione domiciliare, in cui si legge: “In una perquisizione eseguita nello scorso maggio nel domicilio del noto comunista Aquilotto Elio, venne sequestrato un elenco di inscritti al partito comunista, nel quale figura il nome di Cianciulli Michele fu Raffaele abitante in via S. Francesco 148 int. 7 segretario al Ministero delle Finanze. L’ufficio di P.S. di Trastevere opportunamente interessato eseguì nello scorso settembre una perquisizione al domicilio del Cianciulli, ma con esito negativo. Il medesimo, dopo la perquisizione, fece pervenire a detto ufficio di P.S un esposto nel quale dichiara di non aver mai appartenuto a partiti sovversivi.
Di quanto sopra informo codesta On. Direzione per la segnalazione del Cianciulli al Ministero competente, tenendo presente che la dichiarazione resa da lui dopo la perquisizione eseguita nel suo domicilio è molto sospetta, tanto più che figurando il suo nome nell’elenco dei tesserati al partito non vi ha dubbio che egli professi tuttora tali principi e quindi è necessario per lo meno che anche in ufficio sia sorvegliato. Il Prefetto”.
Negli anni ‘20, dunque, fu tenuto sotto stretta sorveglianza dalla polizia politica per essere poi radiato dal novero dei sovversivi soltanto molti anni dopo.
Ancora nel dicembre del 1941 si richiedevano notizie per ordine del Ministro dell’Interno sul Cianciulli (ancora dal Casellario giudiziario: “Si prega di riferire ulteriori notizie nei riguardi della soprascritta persona, argomento della nota sopra citata”) e solo il 27 gennaio 1942 si passa alla “radiazione dal novero dei sovversivi”: “Questo Ministero, preso atto di quanto è stato riferito con la nota sopra richiamata, ratifica il provvedimento di radiazione da codesto Ufficio in confronto del nominato in oggetto”.
Michele Cianciulli (che morì a Roma nel 1965) va ricordato anche per il suo impegno intellettuale: fu tra le altre cose redattore della rivista “L’idealismo Realistico” e autore di alcuni lavori di critica letteraria, di storia e di filosofia, oltre a scritti e autobiografici. Fu anche docente di Filosofia presso l’Istituto “San Giuseppe”, che aveva la sede in Piazza di Spagna. Negli anni ’50 -’60 ebbe rapporti con il mondo del cinema e frequentò tra gli altri Federico Fellini.
Pertanto, ne auspichiamo quanto prima uno studio sistematico, che possa richiamare alla nostra storia una figura non minore come quella di Michele Cianciulli.
Paolo Saggese
(da Fuori dalla Rete, Marzo 2021, anno XV, n. 1)
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