Lo chiamiamo smartworking, scarichiamo le app, facciamo la Dad, ci incontriamo su Zoom, o di nascosto in un loft raggiunto con il Suv, ma se non abbiamo lo Spid non possiamo fare il cashback. Rischiamo il lockdown, perché non sappiamo rinunciare alla movida. LOL!!
Povero Dante.
Ma ci vediamo…?! Ci sentiamo…?! Abbiamo costruito un mondo frenetico, fatto di espressioni eufemistiche cretine, abbreviativi, acronimi…nel tentativo di risparmiare tempo, ma ne perdiamo il quadruplo e per di più senza alcun motivo.
Oggi, la lingua inglese minaccia e divora insidiosamente dall’interno il nostro italiano. Le nostre élite ne fanno un uso angosciante e infine e soprattutto è snaturata dalle nuove generazioni alle quali la scuola non fornisce più i mezzi per impararla. Questo lamento merita considerazione.
L’anglicismo compare persino sui siti dei ministeri, incluso quello dell’università. Trovo vergognoso che l’americanizzazione forzata della nostra madre lingua sia autorizzata e addirittura incoraggiata dal sistema statale che dovrebbe difendere la nostra identità e la nostra cultura.
L’Italia è prima di tutto la lingua italiana. Non si tratta di nostalgia, si tratta di futuro. Il nostro linguaggio può ancora tradurre i contributi della scienza, designare oggetti che ieri erano ancora sconosciuti, che dico, inesistenti!
Più di 60 milioni di persone nel mondo parlano italiano come lingua madre e oltre 3 milioni lo parlano come seconda lingua o lingua di lavoro. Le varie fonti differiscono leggermente, ma l’italiano risulta essere la ventesima lingua più parlata al mondo. Eppure la lingua italiana è minacciata.
Se il nostro Paese si è sempre dimostrato più aperto di altri alle culture del mondo, è perché non ha mai dubitato della propria identità, della propria cultura o della propria lingua.
L’importazione frenetica di parole inglesi che, sostituite alle più comuni parole italiane, le fanno sparire per sempre. Chissà se tutti sanno che “live”, parola cara ai media, in italiano si dice “in diretta”?
Cosa pensa l’italiano, camminando in città, scorge tante vetrine che espongono nomi di aziende anglofone, come negozi di “canapé, store, fashion center, tea time…?
Cosa pensa delle compagnie di trasporto che gli promettono miles o inondano la sua cassetta delle lettere di flyers?
L’inglese minaccia la nostra lingua, questo è innegabile, ma dipende da tutti, dalla volontà politica e dalla vigilanza dei cittadini di proteggerla, invece di sostituirla o degradarla con inglesismi a penis canem.
Gino Di Capua
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