Nuovi fondi europei in Alta Irpinia, ma vecchie ricette?

di Federico Lenzi

Si respira aria di ottimismo e grandi speranze in Irpinia. Una pioggia di fondi europei sta per cadere su una delle aree economicamente più arretrate dell’Unione Europea. Le attuali classi dirigenti si trovano ad affrontare una delle più delicate situazioni dal dopo-guerra ad oggi. Le loro decisioni potranno sancire la rinascita, o la definitiva condanna di queste terre.

Negli ultimi venti anni l’idea di sviluppo dell’Alta Irpinia si è sempre basata su due pilastri: agricoltura e turismo. Tuttavia, analizzando i dati delle dichiarazioni dei redditi, notiamo come un decennio di finanziamenti investiti in questa direzione non è riuscito a portarci fuori dalla crisi del 2008.

Si continua a puntare massicciamente sul turismo, perché questo settore ha fatto la fortuna di queste terre anni or sono. Eppure, si dimentica di considerare il contesto socioeconomico in cui questa ricetta ebbe successo. Nella seconda metà del secolo scorso l’Italia e l’Irpinia vivevano lo sviluppo industriale e la nascita dei primi posti di lavoro nel settore dei servizi. Avevamo una classe media in piena ascesa, con una stabilità finanziaria tale da permettersi di metter su famiglia e concedersi il lusso delle vacanze in montagna. Oggi abbiamo una provincia e una regione fortemente impoverite: i giovani meridionali non lavorano e continuano ad emigrare. Molto spesso ci si lamenta del basso livello delle sagre irpine, ma questo è solo uno specchio dello status socioeconomico della nostra provincia. Se gran parte della popolazione non ha entrate stabili e consistenti, come possiamo aspettarci che spenda ingenti capitali in prodotti premium? Le sagre irpine vendono ciò che ha mercato.

A riprova di questo ragionamento possiamo elencare una lunga serie di eventi di spessore realizzati negli ultimi anni e mai decollati. Da Irpinia Madre Contemporanea alle tappe del Giro d’Italia fino allo Sponz festival, nessuna iniziativa è riuscita a trasformare l’Irpinia in una gettonata meta turistica come la Toscana o la Valtellina. (È bene notare come queste località turistiche si trovino nei pressi di aree con molte opportunità di lavoro ed una forte classe media.) Qualsivoglia exploit locale è terminato con la somministrazione dei fondi pubblici.

In aggiunta, questo modello di sviluppo lascia intendere come l’intera popolazione possa trovare lavoro nell’agricoltura e nel turismo. Ma se ciò accadesse, chi beneficerebbe di questi settori? Un’economia sana dovrebbe basarsi sulla coesistenza di varie professioni. Insomma, finanziare il settore turistico non basta se non si crea una popolazione che possa permetterselo.

Se manca una classe media locale, si può sempre puntare sul turismo extra-regionale ed internazionale. Tuttavia, su questo piano bisogna riconoscere come l’Irpinia non sia il centro del mondo e come posti simili abbondino in giro per l’Europa. Pertanto, il turista deve essere incentivato a venire in Irpinia attraverso una maggiore integrazione con i veri attrattori internazionali della regione (Ischia, Capri, Costiera, Pompei, Reggia di Caserta e Napoli) e con i principali mezzi di collegamento (alta velocità, aeroporti).

Allora quali possono essere gli scenari di sviluppo per la nostra provincia? È arrivata l’ora di abbandonare le analisi ideologiche e qualitative del secolo scorso. Nel XXI secolo le politiche pubbliche devono basarsi su un’attenta analisi quantitativa, oltre che qualitativa, delle realtà locali. Oggi abbiamo gli strumenti ed i dati per analizzare l’impatto delle scelte passate e simulare gli esiti degli investimenti futuri. Come se non bastasse, abbiamo un’intera branca dell’economia al lavoro su politiche di sviluppo delle aree urbane. A tal proposito segnalo una serie di esempi concreti nel libro “Evidence-based policy! Ovvero perché politiche pubbliche basate sull’evidenza empirica rendono migliore l’Italia” (De Blasio et al., 2021).

Per rilanciare l’Irpinia dobbiamo guardare al di fuori di essa e dobbiamo guardare ai maggiori esperti mondiali nel campo. Dobbiamo conoscere i risultati dei loro studi e dobbiamo provare a replicare/attuare queste lezioni nel nostro contesto. Ad esempio, gli economisti Enrico Moretti e Patrick Kline (Berkley University) hanno scoperto come il più ambizioso piano di sviluppo locale mai realizzato negli Stati Uniti (la Tennessee Valley Authority) abbia creato effetti contrastanti. In primis, lo sviluppo dell’area e delle infrastrutture ha avuto un impatto positivo sul resto della nazione. In secondo luogo, l’impatto degli aiuti all’agricoltura è terminato con l’erogazione di sussidi. Benefici perenni sono invece arrivati dalla costruzione di un moderno e competitivo settore industriale (ovviamente, oggi predominano altri settori). In un altro studio, Kline ha dimostrato come ogni singolo investimento pubblico altera le economie locali portando allo sviluppo di alcune aree e al declino di altre. Nonostante ciò, la presenza di vaste aree sottosviluppate e segregate può rendere efficienti questi investimenti. Moretti ha anche dimostrato come la creazione di posti di lavoro in settori in ascesa e ad alto reddito possa trainare la creazione di altra occupazione nei servizi (food, turismo, etc..). Quando investiamo nell’agricoltura e nel turismo creiamo posti di lavoro poco redditizi e con basso potere di spesa. I maggiori guadagni li ottengono i proprietari delle strutture, ma le capacità/intenzioni di spesa restano limitate a questa ristretta cerchia.  Puntando su settori ad altro ritorno economico, possiamo creare una classe media benestante capace di trainare la domanda nell’agricoltura e nel turismo. Gli investimenti pubblici dovrebbero basarsi sul calcolo di un moltiplicatore dei loro effetti a breve e lungo termine.

In conclusione, ad oggi abbiamo la conoscenza e gli strumenti quantitativi per imparare dagli errori del passato. Riuscirà la nostra attuale classe dirigente locale e nazionale a cogliere questa sfida epocale?

Federico Lenzi

(da Fuori dalla Rete, Maggio 2021, anno XV, n. 2)


FONTI (per il sito)

  1. De Blasio Guido, Nicita Antonio and Fabio Pammolli. “Evidence-based Policy! Ovvero perché politiche pubbliche basate sull’evidenza empirica rendono migliore l’Italia” Il Mulino (2021)
  2. Gaubert, Cecile, Patrick M. Kline, and Danny Yagan. Place-Based Redistribution. No. w28337. National Bureau of Economic Research, 2021.
  3. Kline, Patrick, and Enrico Moretti. “Local economic development, agglomeration economies, and the big push: 100 years of evidence from the Tennessee Valley Authority.” The Quarterly journal of economics 129.1 (2014): 275-331.
  4. Kline, Patrick, and Enrico Moretti. “People, places, and public policy: Some simple welfare economics of local economic development programs.” Rev. Econ. 6.1 (2014): 629-662.
  5. Moretti, Enrico. “Local multipliers.” American Economic Review 100.2 (2010): 373-77.

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