Migrazioni

di Luciano Arciuolo

L’Italia è stata, ed è anche oggi, terra di emigrazione e non di immigrazione, checché ne dicano, abbaiando, Salvini e Meloni che, francamente, non solo hanno stancato ma hanno anche superato ogni limite di decenza. La crisi ucraina, da questo punto di vista, ci ha fatto finalmente toccare con mano i motivi per i quali la gente scappa dalla sua terra. L’Italia è stata ed è terra di emigrazione, dunque, anche se il fenomeno ha assunto nel tempo caratteri molto diversi.

Ad esempio, dopo l’unificazione dell’Italia e fino agli anni Settanta del Novecento, la regione dalla quale sono partiti più emigranti non è stata la Campania o la Sicilia ma il Veneto! Addirittura il secondo in questa speciale classifica è stato, fino a un secolo fa, il Piemonte. Solo dopo venivano Sicilia, Campania e Calabria. Successivamente il fenomeno ha interessato soprattutto le regioni meridionali, a partire dagli anni Cinquanta del secolo scorso, quando fu sconfitto il movimento per l’occupazione delle terre nel Sud della nostra nazione. In questo periodo anche il Molise e le Marche si spopolarono. Soprattutto verso l’Argentina, che all’epoca era una nazione ricca, non avendo vissuto la Seconda Guerra Mondiale.

Qualcuno calcola che in un secolo gli italiani emigrati all’estero siano stati qualcosa come 25 milioni di persone. Negli anni Sessanta e Settanta del Novecento l’emigrazione riguardò quasi esclusivamente il nostro Meridione e fu diretta soprattutto verso il Nord Italia.

Oggi abbiamo numeri più o meno completi sulla presenza degli italiani (o di loro discendenti) all’estero. E così sappiamo che in Argentina ci sono quasi un milione di italiani, in Germania 800.000, in Svizzera 600.000, in Brasile 500.000, in Francia e in Inghilterra 400.000, negli USA 300.000, in Australia 150.000, in Venezuela e in Uruguay 100.000. Da un lato l’emigrazione ha consentito di evitare, nel tempo, che la disoccupazione in Italia diventasse fonte di disordini e di conflitti sociali, dall’altro lato i soldi che gli emigrati mandavano alle loro famiglie in Italia hanno contribuito enormemente allo sviluppo del nostro paese. Qualcuno ha calcolato che, nel solo 1970, gli emigrati hanno mandato in Italia circa un miliardo di dollari, una cifra che, per l’epoca, era enorme e che aveva consentito, attraverso le banche, di investire in quello che, negli anni Cinquanta e Sessanta, era stato il boom economico italiano. Solo che, paradossalmente, questo boom economico interessò quasi esclusivamente le zone nelle quali l’emigrazione stava finendo, cioè quelle del triangolo industriale del Nord, Milano-Torino-Genova.

Addirittura qualche studioso di economia italiana del Novecento è riuscito a ricostruire il viaggio che le rimesse degli emigranti meridionali facevano e, pensate un po’, ha dimostrato che, con quei soldi, la Banca d’Italia, attraverso il Banco di Napoli, salvò la FIAT di Torino da una grave crisi finanziaria, nel 1907. Oggi l’emigrazione ha assunto in Italia una veste nuova. Intanto è possibile calcolare la presenza dei nostri connazionali all’estero: il 20% sono siciliani, il 10% rispettivamente sono campani, pugliesi, calabresi, abruzzesi, molisani e lucani. Ma, soprattutto, ancora oggi il numero di quelli che lasciano l’Italia per andare all’estero è largamente superiore al numero degli stranieri che vengono in Italia.  Su questa realtà dovrebbero riflettere i cosiddetti sovranisti, invece di cianciare su invasioni (ma quando?), sostituzione etnica (ma dove?) e barconi da affondare.

Oltretutto bisogna considerare anche il fenomeno degli studenti meridionali che vanno a studiare in Università del Nord (sono più di 200.000). Occorre capire il perché di questo spostamento che, come è facile capire, porta il Mezzogiorno d’Italia ad un impoverimento ulteriore, sia dal punto di vista culturale che da quello economico. Ma c’è di più: lo spostamento verso il Nord non riguarda solo gli studenti universitari, ma anche tanti giovani che vanno alla ricerca di lavoro e che, purtroppo, a differenza dei loro nonni o dei loro genitori, non hanno alcuna possibilità o comunque nessuna intenzione di ritornare ai loro paesi d’origine.

Sto dicendo che l’emigrazione odierna è, per il Sud Italia, peggiore di quella del passato perché è definitiva, senza alcuna possibilità di ritorno e senza alcun tipo di trasferimento di soldi verso il Sud. Non c’è, per il Mezzogiorno, quell’aumento di ricchezza che le rimesse degli emigranti avevano fatto registrare. Oggi le nostre regioni si impoveriscono da ogni punto di vista e, nel giro di qualche decennio, rischiano lo spopolamento totale, tenendo anche conto che, nella odierna emigrazione, partono le energie migliori, sia dal punto di vista culturale che da quello economico. Partono i giovani, dunque, dopo aver visto partire il loro nonni e, spesso, i loro padri. Ma a differenza di nonni e padri, essi partono molto probabilmente per non tornare. E nessuno, credo, li può condannare, per questa loro scelta quasi obbligata. Qualcuno resta, accontentandosi di lavori precari e mal pagati. E questi sarebbero da incoraggiare, oltre che da ammirare. Veramente incredibile è, però, il fatto che chi ha provocato questo scempio e questo spopolamento del Meridione, si senta ancora in diritto di pontificare.

Luciano Aciuolo

(da Fuori dalla Rete, Giugno 2022, anno XVI, n. 3)

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