San Michele Arcangelo, storia e curiosità di un capolavoro bagnolese

La figura di San Michele, con grandi e variegate ali a ventaglio, schiaccia il maligno che ha sembianze femminili. L’iconografia della tavola di Bagnoli Irpino è la stessa del San Michele Arcangelo visibile nella prima cappella a destra della chiesa napoletana di Santa Maria del Parro, chiesa che ospita la tomba di Jacopo Sannazzaro, il suo fondatore. A differenza del San Michele napoletano, quello di Bagnoli, nel ruolo di “psicopompo” (pescatore di anime) reca nella mano sinistra, invece della spada, una bilancia con due piccole anime; impugna con la destra la lancia con cui trafigge il maligno nelle vesti di una diavolessa, una particolarità iconografica, visto che il maligno è solitamente rappresentato di sesso maschile. Anche le sembianze dei due Arcangeli sono identiche, così come si somigliano straordinariamente le due diavolesse.

Pare evidente che il dipinto bagnolese abbia come prototipo la tavola napoletana -attribuita da Ferdinando Bologna a Leonardo da Pistoia e databile secondo lo studioso, al 1542 (Bologna 1958, pag. 74) – tradizionalmente denominata “Il Diavolo di Mergellina”. Sull’opera Benedetto Croce (Croce 1892) riferisce una storia affascinante: nelle sembianze dell’angelo sarebbe adombrata la figura di Diomede Carafa, il committente dell’opera, il quale fu vescovo di Ariano Irpino e poi cardinale; in quelle del diavolo Vittoria D’Avalos, che aveva più volte tentato, e con poca fortuna, la virtù del Carafa. Due figure “di suprema bellezza che recano ai riguardanti stupore” (D’Engenio- Caracciolo 1624) sono quelle di Diomede e Vittoria, protagonisti di una storia d’amore dai profili ben meno tragici di quella di un altro Carafa e di un’altra D’Avalos, Fabrizio e Maria, entrambi uccisi in una notte di ottobre del 1590 da Carlo Gesualdo, insigne musicista e marito geloso. I dettagli della storia di Diomede e Vittoria ce li fornisce il Vasi (Vasi 1813, pp.95-96). Racconta: Diomede Carafa, vescovo di Ariano, morto nel 1550, fece dipingere sotto le sembianze del Diavolo, una gran dama che aveva concepito per lui una violenta passione. Facendo finta un giorno di cedere alle sue avances, le dette la mano per accompagnarla ma prima le propose di entrare in chiesa per ammirare un nuovo capolavoro. Ella non ebbe difficoltà a riconoscere il vescovo nelle sembianze dell’arcangelo e il suo ritratto in quello del diavolo, dunque si ritirò confusa.

Il prelato per celebrare la sua vittoria, o per alludere al nome di questa dama che si chiamava Vittoria D’Avalos, fece scrivere sulla tavola queste parole: “Fecit Victoriam, alleluia”.

Dal punto di vista formale il dipinto di Bagnoli, rispetto a quello napoletano, è caratterizzato da un più intenso cromatismo, dovuto alla diversa tecnica di esecuzione (è eseguito ad olio e non a tempera) e per la calligrafica minuziosità con cui sono resi i particolari delle figure e il paesaggio lussureggiante nello sfondo, completamente assente nel dipinto di Mergellina.

Siamo evidentemente più avanti del quarto decennio del secolo XVI e già in una temperie culturale segnata dalla presenza nel viceregno di napoletano della colonia di artisti fiamminghi che – da Cornelis Smet a Dirck Hendricksz, alias Teodoro D’ Errico, da Aert Mytens a Wenzel Cobergher – tanto influirono sulle sorti del manierismo napoletano. Il committente dell’opera irpina fu probabilmente Garzia II Cavaniglia, potente feudatario di Bagnoli, Montella e Cassano Irpino, alla cui volontà è ascrivibile anche la tavola della “Circoncisione” della stessa chiesa di San Domenico di Bagnoli, pubblicata da chi scrive per la prima volta (S: Francesco a Folloni… p.103) e con l’attribuzione al D’Errico, artista documentato a Napoli dal 1574 e morto ad Amsterdam nel 1618. Il ritratto di Garzia II compare insieme a quello della moglie Porzia Pignatelli in calce alla Circoncisione, evidenziandone la committenza e suggerendo una datazione anteriore al 1582, anno in cui i Cavaniglia persero il feudo di Bagnoli pur rimanendo signori di Montella: datazione registrata da Carmela Vargas (in Vargas 1988 p. 83 e n. 9) e sostanzialmente accettata da Pierluigi Leone de Castris (in Leone 1991 p. 60 e n. 91, tav. 8) che pone l’opera, sulla base di raffronti stilistici , anteriormente al 1581.

Anch’esso probabilmente antecedente al 1582, se lo si riconnette alla committenza di Garzia II Cavaniglia, il San Michele di Bagnoli non presenta alcuna congruenza con l’attività di Teodoro d’Errico, ne lo si può ricondurre alla mano di un pittore noto, data la sua dichiarata valenza di copia, seppur variata di un quadro famoso -quale fu il Diavolo di Mergellina – che per il Cavaniglia doveva rivestire particolare valenza.

Sono noti, infatti, i rapporti strettissimi intercorsi tra il padre di Garzia II, Troiano – “grande amico delle lettere e dei letterati essendone il Mecenate e il Protettore” (Ciociola 1977, p.74) – e il Sannazaro (morto nel 1530) il cui ritratto, a riprova dei contatti della corte dei Cavaniglia con l’ambiente culturale più avanzato, fu raffigurato (insieme a quello del cardinale Bessarione e del Pontano) nella g

 

rande tavola con l’Assunzione della Vergine del convento di San Francesco a Folloni di Montella, probabilmente identificabile con quella attualmente conservata nei depositi della Reggia di Caserta e presentata in mostra tra luglio e settembre del 2010 (cfr. de Martini 2010, pp.8-10)

 

(da Fuori dalla Rete Agosto 2023, anno XVII, n. 2)

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