Tartufo nero, in Campania raccolto scarso
La grave siccità che ha colpito tutto il Mezzogiorno ha fortemente indebolito la raccolta del tartufo in Campania. A due mesi dall’apertura della stagione dedicata ai cavatori, si registra un’importante flessione, soprattutto nel cuore dell’Irpinia, nell’areale di produzione del tuber mesentericum. Il tartufo nero è l’oro di Bagnoli Irpino, un comune alle pendici dell’altopiano del Laceno in provincia di Avellino, una delle vette più alta della catena appenninica dei Monti Picentini, che taglia esattamente a metà l’area costiera dalle zone interne. Insieme al tartufo bianco di Alba e al nero di Norcia e Spoleto, il tartufo nero di Bagnoli Irpino è uno dei tre tartufi – tra i nove presenti in Italia – con denominazione di origine territoriale. È quotato dalla borsa dell’Ente Parco Monti Picentini, e vale oltre un milione di euro all’anno di fatturato per i cavatori del posto.
Ma rispetto alla media annuale di 15 quintali di prodotto “estratto” dalle radici dei faggi e dei pioppi, oggi i cavatori restano a mani vuote e riescono a portare a valle pezzature che arrivano a 60 grammi al massimo. Il borsino dei Picentini quota il valore del tartufo a 295 €/kg, ma come rivela il presidente dell’associazione tartufai Giuseppe Caputo, il prezzo è destinato a salire se non arriverà la stagione delle piogge.
La mancanza d’acqua, registrata soprattutto tra giugno, luglio e agosto ha azzerato l’umidità dei terreni boschivi, anche al di sopra dei mille metri. «I tartufi si alimentano di acqua almeno per l’83% e oggi riscontriamo piccole quantità di prodotto – spiega Caputo –. A questo bisogna aggiungere le incursioni dei cinghiali, ghiotti di vermi, che proprio nel periodo di incubazione in cui i resti marciscono nel terreno e si apre una simbiosi con la pianta, devastano tutto e spazzano via le spore. Oggi constatiamo che al di sotto dei 15 centimetri non c’è acqua».
Mercato e valorizzazione
Il mercato di riferimento del tartufo nero di Bagnoli Irpino è la Campania, ma anche la Puglia e il basso Lazio. Il comune irpino fa parte della Città del Tartufo, un’associazione nazionale di 60 comuni, due enti montani e 70 soci. La produzione di tartufi qui vanta una tradizione di lungo corso: già nel 1736 Carlo di Borbone riceveva a Palazzo Reale a Napoli ceste di tartufo dall’Irpinia.
In Campania la nascente rete delle città del tartufo sta consolidando la sua presenza. Infatti sotto l’egida Unesco assegnata alla “Cerca e cavatura del tartufo in Italia” riconosciuta come del Patrimonio culturale immateriale, e per incrementarne il valore complessivo che si spalma sull’intera economia regionale e sottrarre il primato nazionale a Norcia, sei comuni della Campania e tre provincie decidono di fare quadrato. Il primo passo compiuto da Ceppaloni, Sessa Aurunca, Piedimonte Matese, Alife e San Potito Sannitico è stato quello di candidare un percorso enogastronomico declinato sul turismo a valere sulla programmazione Poc Campania (Programma Operativo Complementare). Definita la strategia dal basso, che abbraccia tutti i settori dell’economia, dalla cavatura alla trasformazione, dalla definizione di percorsi sensoriali alla valorizzazione delle montagne, manca un supporto regionale di riferimento, con la definizione di un percorso teso a includere il tartufo tra le eccellenze della gastronomia esportate in tutto il mondo.
Soltanto l’associazione tartufai di Bagnoli di Irpino è composta da 200 cavatori e altri soci sostenitori. Il presidente Caputo, unitamente agli altri componenti porta avanti un percorso del tartufo che valorizza le aree interne della Campania, e mette a sistema le produzioni tipiche. «Bagnoli è capofila di un percorso del tartufo, che è una importante eccellenza del territorio e abbraccia diverse realtà regionali». Il tartufo intercetta un segmento preciso di appassionati, esperti o semplici conoscitori, e rappresenta una preziosa risorsa per ampliare le opportunità di turismo. «Lavoriamo con l’intento di valorizzare il tartufo e tutte le declinazioni regionali» conclude Caputo.
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