Lapislazzuli, Lazurite e l’Altare del Cappellone nella Collegiata di Bagnoli Irpino
di Rocco Dell’Osso
Vi sarà certamente capitato di avere davanti agli occhi qualcosa per anni, forsanche per una vita; di guardarla tutti i giorni ma di non “vederla” veramente fintanto che, un giorno, di punto in bianco, scatta qualcosa e vi rendete conto della bellezza che in realtà avevate lì, proprio sotto al naso senza esservene mai resi conto. Di solito si riceve un piccolo aiuto “esterno”: una fotografia, una parola, un viaggio, un incontro. Improvvisamente cambia il modo di vedere ciò che ti circonda e vieni pervaso da un nuovo modo di guardarti intorno.
Qualche tempo fa, discutendo con un amico (del quale non faccio il nome per ovvi motivi – Michelino Nigro Vitonu) in merito al periodo di realizzazione dell’altare del cappellone (sul quale non eravamo d’accordo) mi diceva della presenza di tasselli azzurri tra i marmi policromi dell’altare; probabilmente dei Lapislazzuli.
Ho sempre guardato l’altare nell’insieme armonico dei vari marmi policromi, ma non l’ho mai esaminato attentamente. E così, improvvisamente, mi è bastato avvicinarmi e sono riuscito a vederli per davvero, scorgendone la bellezza intrinseca.
Sembrano eleganti tulipani blu mossi dal vento, protetti da cespi di foglie sottili e taglienti come piccole lame.
La storia di questa pietra preziosa risale agli albori della civiltà umana e qui si incrocia con la storia della nostra Collegiata.
Il lapislazzuli è una pietra preziosa, di colore blu intenso, il cui nome latino (lapis lazulum) significa “pietra azzurra”.
Nella civiltà europea e asiatica, essa veniva e viene tutt’oggi raccolta essenzialmente in un’unica antichissima miniera, operativa da almeno 7000 anni, a Sar-i-Sang, nella provincia del Badakhshan, nell’attuale Afghanistan. L’antichissimo poema babilonese Epopea di Gilgamesh (2650 AC) già ne esalta lo splendore, mentre in Egitto è stata abbondantemente utilizzata nella maschera funeraria di Tutankhamon e a Babilonia nelle decorazioni della splendida Porta di Ishtar.
In epoca successiva, Plinio il Vecchio (I secolo DC) nella Naturalis Historia descrive il lapislazzuli come “un frammento della volta stellata del cielo” per via delle venature dorate di pirite che spesso accompagna la lazurite.
Anche Marco Polo ha visitato la miniera di Sar-i-Sang, che così la descrive nel suo Milione: “E quivi ee un’altra montagna, ove si cava l’azurro, ed ee lo migliore e lo più fine del mondo”.
L’azzurro intenso del lapislazzuli è stato per secoli il blu più ricercato nella pittura europea.
Era chiamato “il più perfetto di tutti i colori”, però era dannatamente costoso e il suo prezzo nel 1600-1700 (epoca di costruzione dell’altare) superò addirittura quello dell’oro.
Questo colore così intenso era ricavato dalla riduzione in fine polvere dei lapislazzuli, e siccome tali pietre preziose venivano dall’Oriente (da “Oltre mare”), ad esso venne dato questo nome.
Giotto ne fa grande uso a Padova per dipingere il Cielo nella serie di affreschi della Cappella degli Scrovegni mentre Michelangelo ne usa abbondantemente per affrescare il Giudizio universale della Cappella Sistina e Leonardo da Vinci lo utilizza nell’ultima cena.
Tornando alla storia della nostra Collegiata di Santa Maria Assunta, è patrimonio comune che la chiesa originaria fu costruita intorno al XII secolo sulla collina della Giudecca.
La vecchia porta d’ingresso è quella che esiste ancora oggi e volge verso tale rione, mentre l’altare maggiore era quello che oggi è detto Cappellone, posto di fronte all’ingresso.
Nel XVI secolo la chiesa fu ingrandita e ruotata di 90°, come attualmente si vede.
Una breve descrizione possiamo trarla dalle Memorie Storiche di Bagnoli Irpino del Sanduzzi:
“La chiesa fu cominciata a ricostruire nel modo, come ora si vede, verso il 1729 …. ma per attriti tra il vescovo ed il comune, e fra questo ed il Capitolo, ….. l’opera procedé lentamente, …… in modo che per completarla vi occorsero circa 40 anni ….. per menarla a termine nel 1769, quando fu solennemente consacrata da Monsignor Bonaventura. Egli ed i suoi predecessori furono costretti imporre enormi contributi alle numerose Congreghe, che qui esistevano, tanto che molte si estinsero per mancanza di mezzi per funzionare, e quelle rimaste ebbero ridotto notevolmente il loro patrimonio, ed appena potettero reggersi, e così si spiega l’esigua rendita delle Congreghe e Cappelle rimaste, mentre prima di tale epoca erano ricche abbastanza”.
Probabilmente questi fatti sono all’origine della scomparsa delle congreghe religiose a Bagnoli Irpino, ma in compenso ci hanno lasciato in eredità un monumento ed opere d’arte che non hanno eguali in Irpinia.
Meno nota è però l’età dell’attuale altare del cappellone, tant’è che lo stesso Michelino Nigro ipotizzava fosse di età quattrocentesca o anche più antica. In sostanza riteneva fosse l’altare originaria del cappellone (o parte di essa), quando questa era l’altare principale della chiesa, soprattutto per la presenza e lo stile dei due angeli presenti ai lati dell’altare. Personalmente invece ritenevo l’altare del cappellone contemporanea all’attuale altare maggiore, semplicemente per similitudine e analogia costruttiva, in ragione dei marmi policromi utilizzati per entrambi gli altari.
La discussione è stata risolta scorgendo una piccola nota, sempre nelle “Memorie Storiche di Bagnoli Irpino”, la quale attesta che: “Da un instrumento del Notar Lorenzo Caprio (08 Agosto 1761?) si apprende, che l’altare marmoreo del Cappellone dedicato al Santissimo Sagramento fu fatto a spese della Congrega omonima dal marmorario Napolitano a nome Agostino Chirola e costò ducati 1350” (ndr: si tratta del medesimo marmorario che ha costruito l’altare maggiore della bellissima chiesa di San Michele ad Anacapri e l’altare maggiore nella chiesa dell’Adorazione Perpetua di Avellino, conosciuta agli avellinesi anche come chiesa del SS. Sacramento o della SS. Trinità).
Fatte le debite proporzioni, alla data odierna, l’altare sarebbe costato circa 70.000,00 euro.
Da cultore delle Scienze della Terra devo precisare che, contrariamente a quello che comunemente si pensa, il lapislazzuli non è un minerale ma una roccia, composta da diversi minerali.
Il suo colore blu è dato dal minerale dominante, la lazurite, un minerale della famiglia dei tectosilicati. Oltre alla lazurite, i lapislazzuli contengono in quantità minori la calcite, responsabile delle venature biancastre della pietra; la sodalite, responsabile delle sfumature blu scuro nella pietra preziosa e la pirite, che forma belle venature dorato–iridescenti, regalando al lapislazzuli una nota mistica e suggestiva.
Recenti studi di chimica analitica, hanno mostrato come il responsabile dell’intenso colore blu dei lapislazzuli sia la presenza del radicale anionico trisolfuro (S3), nei cristalli di lazurite.
Qualcosa di molto simile all’ozono (gas atmosferico di colore blu presente principalmente nella ozonosfera), nel quale gli atomi di ossigeno sono associati in molecole triatomiche, O3.
Sarà forse anche per questo che il cielo e la lazurite hanno “il più perfetto dei colori”.
Rocco Dell’Osso
(da Fuori dalla Rete, Maggio 2019, anno XIII, n. 2)
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