A proposito di “Versetti frammentari” di Luciano Nigro

Da divoratrice di libri (lo so è un brutto termine ma non ne trovo altri ugualmente esplicativi) posso dire che ci sono quelli che si leggono, quelli che si ascoltano, quelli che si vivono (per forza di cose evito di parlare di quelli che si chiudono dopo la prima pagina).

Dunque dicevo a proposito dei libri per introdurre il lavoro di Luciano Nigro che in “Versetti frammentari” riesce a unire queste tre categorie che qualificano in primis il testo e poi chi lo legge. Ci troviamo di fronte (usare il mi, sembra riduttivo) ad una partitura esistenziale che dei frammenti fa materia unica, non disarticolata, ma capace di legarsi e di pulsare prendendo come spunto il ritmo della vita. Leggerlo è come entrare in una stanza piena di specchi che non riflettono solo il nostro volto, ma frammenti di un’umanità universale. Sin dalla prima pagina, ho avuto la sensazione di essere accolta da una voce intima e collettiva, in controcanto e, al tempo stesso, come se ogni verso fosse appena sussurrato da una persona che comprende l’essere umano e le sue molteplicità. Questo non è un libro di poesie, ma una mappa per navigare nelle acque incerte del tempo, dell’amore e della perdita. È come trovarsi davanti a un quadro di Rothko: semplice all’apparenza, ma in grado di far vibrare corde che non sapevamo di possedere.

Con questa raccolta, Nigro non pretende di offrirci risposte né consolazioni ma ci invita, piuttosto a perderci, a lasciarci toccare dalla forza evocativa della parola e dalla (chiamiamola) musicalità che l’accompagna, ricordandoci, come diceva Rilke, che “la bellezza non è che il principio del tremendo.”

La lettura diventa così un atto di scoperta, un rituale di immersione nella complessità dell’essere. Nigro ci dà frammenti, e sta a noi lettori completare il disegno. In questo risiede la sua forza e la sua modernità: il libro non è una narrazione chiusa, ma un’esperienza viva, un campo aperto dove ognuno può ritrovare i propri viaggi, i propri amori, le proprie malinconie.

Iniziamo il viaggio

La prefazione di Silvana Pasanisi (curatrice della collana) introduce questa raccolta come un atto di circumnavigazione: un corpo poetico che, come una terra da scoprire, rivela i suoi contorni solo a chi si avventura nelle sue profondità. Qui la poesia non è solo parola, ma un modo di abitare il mondo, un luogo in cui emozione e pensiero si incontrano, come sosteneva Heidegger: “Il linguaggio è la casa dell’essere.” Nigro sceglie la strada della semplicità, che è tutt’altro che un rifugio: è una sfida. Ogni verso si presenta come un frammento di verità, una scheggia di luce che squarcia il velo delle apparenze. La parola poetica non si nasconde, non si compiace di artifici, ma si offre nuda, diretta, come una confessione. Ricorda le parole di Antoine de Saint-Exupéry: “La perfezione non si raggiunge quando non c’è più nulla da aggiungere, ma quando non c’è più nulla da togliere.” È questa essenzialità che rende la poesia di Nigro un canto universale, capace di risuonare nel cuore di ogni lettore.

La silloge si articola in tre sezioni: un viaggio di parole, l’amore come forza vitale, e la malinconia delle miserie umane. Questi tre momenti non sono separati, ma interconnessi, come i movimenti di una sinfonia, ciascuno con il proprio tema, ma parte di un’unica esperienza.

Il viaggio è il motore primo di questa raccolta. È un andare che non conosce sosta, un impulso a decodificare il mondo e sé stessi. Nei versi si avverte l’eco di un cammino interiore, un pellegrinaggio che attraversa paesaggi fisici e mentali. C’è una tensione verso l’orizzonte, un desiderio di oltrepassare i confini del visibile: “Lo sguardo va oltre la luce forte all’orizzonte / planando tra ripidi pensieri e sinuose curve d’asfalto.” Qui riecheggiano le parole di Nietzsche: “Bisogna avere un caos dentro di sé per partorire una stella danzante.” Il viaggio non è solo fuga, ma creazione.

La seconda sezione è un canto dedicato all’amore, non come certezza, ma come mistero inesauribile. L’amore è il motore dell’essere, la forza che trasforma e dà senso. È “sguardo verso l’oltre,” una tensione verso ciò che sfugge, ma che lascia tracce profonde. I versi di Nigro sanno cogliere la fragilità e l’intensità del sentimento: “E manca il vino se manca il sangue nelle vene / le armonie di quella canzone triste dentro me.” La poesia diventa così un luogo di risonanza, in cui il lettore ritrova le proprie esperienze. Come diceva Erich Fromm: “L’amore è l’unica risposta sana e soddisfacente al problema dell’esistenza umana.”

L’ultima sezione ci conduce nel territorio della malinconia, un sentimento che non si limita al dolore, ma diventa consapevolezza. È un’accettazione del limite, del cambiamento, della perdita. “Stai seduto e respira / tanto altro non puoi fare” scrive Nigro, esprimendo un invito alla contemplazione del tempo che scorre, alla capacità di sostare nella propria vulnerabilità. Qui sembra riecheggiare l’insegnamento di Kierkegaard: “La vita può essere compresa solo all’indietro, ma deve essere vissuta in avanti.” La poesia si fa allora meditazione, un modo per abitare il presente senza fuggire.

Versetti Frammentari è incipit di un viaggio che non offre mappe né destinazioni certe, mentre si sentono “evocanti” emozioni autentiche, senza mai scivolare nella retorica. C’è una bellezza essenziale, quasi scarna, che ricorda il minimalismo di certi componimenti giapponesi: ogni parola è necessaria, ogni silenzio è eloquente. La tonalità musicale che permea la silloge è un elemento che sembra danzare, creando un ritmo che è tanto emotivo quanto intellettuale. Mi è venuto in mente ciò che Kandinsky scrisse sulla sinestesia: “Il colore è il tasto. L’occhio, il martelletto. L’anima, il pianoforte con molte corde.”

Eppure non si presta ad una lettura da affrontare con superficialità. È un’opera che richiede lentezza, attenzione, presenza. Nigro ci consegna una poesia che apre spazi: di riflessione, di emozione, di risonanza interiore nella consapevolezza che sia un viaggio da intraprendere verso la composizione di un mosaico più grande, ogni parola densamente versificata aggiunge un tassello a quell’enigma che chiamiamo vita.

Se volessimo sperimentare la costruzione di un “poema” composito facendo una sorta di “cernita” o “spesa” tra le parole che compongono i versetti avremo la sintesi del viaggio:

Tutto quello che vediamo, quel che sembriamo, 

non è che un sogno dentro un sogno. 

Dorsali scoscese affondano nel mare chiaro, 

rotaie arrese a terra verso un binario morto. 

Seduto al buio di un giorno qualunque sia, 

mezza Luna può bastare per far luce al mio andare. 

La linea leggera sottile tocca il foglio, 

lascia andare ogni pena, ogni gioia, ogni cosa. 

Sole giù per la discesa a mare, 

ho perso per un attimo la traiettoria. 

Un foglio mente, trasparente, non riflette emozioni. 

Quei tuoi passi leggeri accarezzano sassi, 

suoni lontani note classiche nel vento. 

Mentre ascolto il suono delle mie pulsazioni, 

bolle di respiri piene di sussurrate parole, 

il silenzio che risuona forte 

siamo cani fermi sul bordo della strada. 

Bruciavano quei tagli sotto i miei piedi scalzi, 

la luce sempre accesa la notte come il giorno. 

Lo stile dell’opera intreccia immagini potenti e simboliche, dove il sogno, la memoria e il tempo si sovrappongono alla realtà. Potremmo azzardare che si tratti di un collage lirico, che mescola suggestioni oniriche (“non è che un sogno dentro un sogno”) con paesaggi terreni e ricordi intimi. Il ritmo alterna momenti di fluidità musicale a pause drammatiche, conferendo al testo una struttura oscillante, quasi ipnotica. Filosoficamente, se ci leghiamo ai primi versi, notiamo il tema predominante nel contrasto tra il senso effimero dell’esistenza e il desiderio di eternità. La vita viene descritta come un percorso, un viaggio attraverso limiti fisici e mentali, un continuo confrontarsi con illusioni e verità. La metafisica del sogno si intreccia al realismo del dolore, creando una tensione filosofica che riflette il senso di incertezza ontologica.

A livello psicologico, l’opera esplora emozioni profonde: il senso di perdita, il rimpianto, la ricerca di significato. Si evidenzia un costante movimento tra introspezione e desiderio di evasione. I “binari morti”, la “nebbia” e la “luce sempre accesa” rappresentano metafore di stati mentali complessi, che spaziano dalla stagnazione alla speranza. La dualità tra immobilità e viaggio emerge come simbolo del conflitto interiore dell’uomo moderno.

Ma se la poesia è una nascita, una creazione lenta (a volte immediata) della mente, come se fosse un germoglio che si apre in fiore, accade, talvolta che la essenza possa essere catturata in un solo petalo, in un singolo verso. Quando questo accade, la poesia si trasforma, diventando aforisma. In quel frammento, il tempo si comprime e il pensiero si concentra, lasciando dietro di sé l’eco di un’intera riflessione condensata in parole precise, essenziali.

L’aforisma è il punto d’incontro tra la fugacità dell’istante e l’eternità del pensiero. La poesia, che si nutre di immagini e sensazioni dilatate, si ritira nel silenzio di un’unica affermazione, tanto potente quanto definitiva. In quel momento, la parola diventa una scintilla che illumina l’oscurità con una chiarezza che non ha bisogno di ulteriori spiegazioni.

Probabilmente l’aforisma diventa la forma più pura della poesia, quella che non si perde nella vastità dell’esperienza, ma che si erge come un monito, un pensiero che dura, che rimane, e che parla in un respiro breve ma potente…e, a mio avviso, in questo libro la poesia riesce a diventare (appunto) aforisma.

Per questo ho selezionato alcuni versi (solo a mo’ di esempio) che ben possono vantarsi di esserlo (ma ve ne sono diversi e vi invito a cercarli, a scovarli, sottolinearli):

“Le stelle fanno luce che nel buio tu non vuoi, ma loro sono accese oltre i desideri altrui”

L’autore dà corpo astrale ma concreto ad una visione delle stelle come simbolo di qualcosa che esiste indipendentemente dai desideri e dalle aspettative umane. La luce delle stelle è immutabile e distante, mentre il buio rappresenta l’ignoranza o l’incomprensione. C’è un contrasto tra il desiderio umano (di controllo o di cambiamento) e la realtà universale (la luce delle stelle), che si eleva al di sopra delle aspirazioni terrene.

“La vita è un cerchio che non si chiude mai, una linea infinita per il tempo che avrai”

Qui, invece, rappresenta il ciclo che non ha fine, una continua espansione senza un punto di arrivo. L’immagine del cerchio evoca l’idea di un perpetuo ritorno, ma è la “linea infinita” che suggerisce un’infinità di possibilità e un flusso continuo, senza conclusioni definitive. La riflessione sulla “linea infinita” può anche collegarsi al tema dell’esistenza umana e della sua ricerca di senso in un tempo che non sembra avere fine.

“Vola, vola via lontano e prima che cali il buio trova un riparo”

Lo slancio è all’evasione e alla ricerca di salvezza prima che arrivi l’oscurità, che potrebbe simboleggiare la morte, il fallimento o una difficoltà insormontabile. Il verbo “vola” suggerisce un desiderio di fuga dalla realtà, ma anche la necessità di trovare un rifugio prima che il buio prenda il sopravvento. C’è un conflitto tra il desiderio di libertà e la consapevolezza dei pericoli che l’oscurità può portare.

“Un respiro è tutto e niente, nella notte dei pensieri nessuna luce risplende”

Ecco il senso di impotenza e smarrimento. “Un respiro è tutto e niente” suggerisce che, nonostante la vita si riduca a qualcosa di così essenziale come un respiro, essa può sembrare insignificante di fronte alla vastità della notte e dei pensieri che non trovano mai chiarezza. La notte senza luce implica una solitudine profonda e una riflessione interiore che non porta a nulla di illuminante.

“Vivo sulle sponde di un fiume, vedo passare rami secchi e foglie cadute”

La presenza del fiume evoca l’idea del flusso della vita, ma il fatto che l’autore osservi “rami secchi e foglie cadute” suggerisce un senso di stagnazione, di morte o di tempo che scorre senza più rinnovamento. Il fiume potrebbe essere metafora di un cammino esistenziale che appare privo di futuro, segnato dalla decadenza e dalla fine di un ciclo naturale.

“Accarezzato dalla polvere nei riflessi, in ombra un profumo di fiori freschi”

Versi capaci di creare una tensione tra la polvere (simbolo di desolazione e del tempo che passa) e il “profumo di fiori freschi”, che porta con sé una sensazione di bellezza e freschezza. La polvere nei riflessi suggerisce qualcosa di perduto, di non più vivo, ma il profumo dei fiori aggiunge una dimensione sensoriale che sembra contrastare con la tristezza dell’immagine, suggerendo una bellezza sfuggente, quasi nostalgica.

Ed ancora il libro di Nigro esplora temi come l’infinito, la ricerca di significato, la solitudine esistenziale e la tensione tra luce e oscurità con un carattere molto pregnante di introspezione psicologica e filosofica, collegati ad un forte senso di perdita e di evasione dalla realtà, ma anche di una bellezza malinconica che emerge dalle riflessioni sulla vita e sull’amore.

Grazie ad una scrittura, a tratti simbolica e surreale, si rivolge alla parte più profonda e vulnerabile dell’animo umano, esplorando il dolore, il desiderio e la ricerca di senso in un mondo che sembra sfuggire alle definizioni e alle risposte.

Ma l’amore dove sta?

Forse è condensato tutto nella poesia “L’amore è temporale” e suggerisce una concezione pessimistica, come qualcosa che non dura, legato al tempo, alla sua inevitabile transitorietà perché, proprio come la tempesta, è destinato a svanire, lasciando dietro di sé solo cicatrici, confusione e dolore.

Prendiamo spunto dalle immagini che da questa ne derivano: Fiamme libere e fiumi in piena, evocano la forza e la potenza incontrollabile delle emozioni. Le fiamme e le acque tumultuose sono simboli di passione e di emozioni travolgenti che non seguono una logica. La loro forza è capace di “spaccare la valle” e invadere ogni angolo dell’animo umano; cercando le parole senza pretesa nel vuoto, evidenziano la difficoltà di esprimere i propri sentimenti, l’assenza di certezze in un mondo vuoto di significato, dove le parole sembrano non bastare a comunicare l’essenza di ciò che si prova; scroscianti pensieri e lacrime, suggeriscono fragilità, vulnerabilità e la dolorosa consapevolezza della propria impotenza; volti senza occhi, è uno dei simboli più potenti della poesia e rappresentano persone che, pur essendo fisicamente presenti, sono incapaci di vedere o di comprendere veramente se stessi e gli altri. Sono esseri persi, senza visione interiore, incapaci di percepire la profondità dell’amore o del mondo che li circonda; fiori strappati in vasi di cristallo, qui c’è bellezza e purezza che si muovono nella fragilità dell’amore che, come il fiore reciso, è destinato a morire; il grido nel silenzio si fa spazio in un mondo incapace di ascoltare i dolori altrui e “potente” che riecheggia per dimostrare la sordità della società.

Ci troviamo, quindi, davanti all’amore come un “abisso”, un luogo profondo e oscuro, dove l’emozione e la sofferenza si mescolano per rimandare alla inevitabilità della fine dell’amore, che si consuma, veloce e violento come un temporale. L’abisso, in questo contesto, non è solo un vuoto, ma anche un luogo di riflessione dove l’amore è un’energia che, seppur intensissima e potente, si scontra con la realtà della sua transitorietà.

Per finire

I frammenti di Nigro riflettono una profondità emotiva e filosofica che si intreccia strettamente con la forma aforistica. Anche il titolo esprime la contestualità del mio pensiero, un concetto che sfida il tempo e la linearità della narrazione, come se ogni singolo passaggio racchiudesse un’intera riflessione esistenziale. Non so quanto volutamente ricercato ma la lirica diventa, non solo un’espressione emotiva, ma una sintesi di visioni che trascendono l’esperienza personale, arrivando a una dimensione universale.

“Quello che resta”, ad esempio, è un inno alla transitorietà e alla condizione umana, espressa con versi che, pur nella loro linearità, si caricano di una forza che richiama la concisione di un aforisma. La riflessione su ciò che resta – su come “ho raccolto quello che resta del mio vuoto” – apre alla filosofia del nulla, del vuoto esistenziale che permea ogni individuo, come se ogni esperienza fosse destinata a svanire. “A perdere sono sempre il vincitore” introduce un paradosso che mette in discussione il concetto di successo e fallimento, suggerendo che la vittoria è un’illusione. Inoltre, l’addio che appare “un taglio netto spietato” sembra evocare l’idea di una separazione definitiva e ineluttabile, un tema che ritroviamo nella filosofia esistenzialista, dove la morte e la solitudine sono riconosciute come condizione permanente dell’esistenza umana. Qui la poesia si concentra nell’immediatezza del dolore e della perdita, senza offrire un’illusione di speranza o riscatto, ma piuttosto accettando la realtà così com’è.

Lo stesso ragionamento si può fare per “Gli sguardi nel vuoto”. Qui si materializza una riflessione autentica sull’incomunicabilità e sull’incapacità di trovare senso nel flusso incessante della vita. I versi, come “un muro nel mezzo della promessa eternità” e “oltre i ricordi non ti concede di proseguire”, si allontanano dalla linearità narrativa per arrivare a un pensiero condensato che riflette sulla perdita del significato e sull’impossibilità di trovare un rifugio nel passato. Il concetto di tempo come sfuggente e ineluttabile è ulteriormente enfatizzato da “la vita sfugge veloce” e dalla metafora della “clessidra mai più capovolta”, che suggerisce un destino irrevocabile, che nessuna azione può invertire. Questo verso, in particolare, riecheggia il concetto di fatalismo tipico della filosofia esistenzialista, dove il tempo è visto come una forza che sfugge al controllo umano, senza possibilità di salvezza.

“Sbagliato” racchiude la contraddizione in un aforisma che si ripete come un mantra. Il paradosso di “come la neve d’estate” e di “freddo al sole” evoca l’impossibilità di conciliare opposti, simboleggiando una condizione esistenziale dissonante. Le immagini del cuore rotto e delle strade “a senso unico deserte” rinforzano l’idea di un cammino solitario e senza ritorno, mentre l’incongruenza di “romantiche speranze” nelle “tasche piene” suggerisce un fallimento continuo e inevitabile. La contraddizione di “sbagliato” diventa il simbolo dell’esistenza stessa, che si sfalda sotto il peso delle proprie ambiguità.

Potremmo terminare questa indagine (parziale) dicendo che Nigro è attento a indagare profondamente e, aggiungo, crudelmente sulla condizione umana, una riflessione sulla solitudine esistenziale e sull’effimero della vita. Questi temi, che sono anche al centro delle opere di poeti e pensatori come Franz Kafka, Michel Houellebecq, Emil Cioran e Charles Baudelaire, emergono con forza attraverso un linguaggio simbolico e aforistico che scava nelle pieghe più oscure della realtà. Nigro esplora il vuoto e l’assenza, tracciando una linea di continuità con i filosofi del nichilismo e dell’esistenzialismo, che hanno reso il senso di impotenza e di sofferenza una condizione fondamentale dell’esperienza umana.

Nei suoi versi, come in quelli di Kafka, la realtà appare frammentata e incomprensibile, dove l’individuo è costantemente in lotta con le proprie interiorità e con un mondo che sembra disinteressato o ostile alla sua esistenza. L’immagine del “vuoto” che attraversa molte delle sue poesie richiama l’idea di un’inquietante assenza di senso, simile a quella che troviamo nelle opere di Cioran, dove il pensiero si confronta con la vacuità dell’essere e la natura provvisoria di ogni certezza. La sua riflessione sul dolore, sull’incomunicabilità e sull’illusione di una perfezione irraggiungibile è, inoltre, evocativa di Baudelaire, nella tensione tra il desiderio di sublimazione e la consapevolezza della caducità e della corruzione del corpo e dell’anima.

Nigro si distingue però anche per un aspetto che richiama l’ironia e il cinismo di Houellebecq: in alcuni versi, infatti, sembra suggerire un atteggiamento quasi distaccato e rassegnato di fronte alla sofferenza, come se la riflessione sul dolore fosse un’inevitabile parte della sua condizione (tuttavia si tratta di un distacco mai privo d’introspezione, capace di farsi strada tra i contrasti emotivi e tra il desiderio di rifiutare il mondo e la necessità di confrontarsi con esso).

La capacità dell’autore di condensare pensieri complessi in immagini potenti ed aforistiche richiama una delle caratteristiche più rilevanti della sua scrittura: la sintesi, che si fa veicolo di una riflessione filosofica tanto intensa quanto immediata. Ogni verso invita il lettore ad un confronto diretto (face to face) con tematiche di respiro universale quali la finitezza dell’essere, la transitorietà del tempo e la lotta contro un destino che appare ineluttabile…

https://emanuelasica.blogspot.com/2024/12/a-proposito-di-versetti-frammentari-di.html

Potrebbe piacerti anche
Commenti

Ti invitiamo a reastare in tema, essere costruttivi ed usare un linguaggio decoroso. Palazzo Tenta 39 si riserva comunque il diritto di allontanare le persone non adatte a tenere un comportamento corretto e rispettoso verso gli altri.