AI art is not Art

di Martin Di Lucia

Negli anni ’20 dell’800 Charles Baudelaire lanciava un preoccupato monito nei riguardi dell’incombente novità della fotografia; dopo aver visto la prima immagine impressa su una lastra di stagno ricoperta di bitume effettuata da Joseph Niépce nel 1826, Baudelaire temeva che la fotografia avrebbe sostituito la pittura, e quindi ucciso la creatività. Invece fu la fotografia a diventare creativa con l’avvento del simbolismo e del futurismo. Per comprendere il futuro, quindi, bisogna ancora una volta volgere lo sguardo al passato, chiedendoci: L’Intelligenza Artificiale è destinata a diventare la nuova Arte? Di certo non soppianterà la fotografia, così come la fotografia non ha soppiantato la pittura, ma Charles Baudelaire aveva tuttavia ragione a preoccuparsene.

L’apparato creativo è un aspetto importante per ogni artista e c’è una linea di demarcazione che determina cosa sia Arte e cosa non lo sia. L’AI è come un pappagallo, può gridare “Aiuto! Aiuto!”, ma pensiamo davvero che abbia bisogno di aiuto? È molto convincente ed efficiente nel ricreare questi suoni di aiuto, ma in realtà non sta chiedendo aiuto. Però quando vediamo “L’Urlo” di Edward Munch sentiamo che si tratta di un’autentica espressione di aiuto. È l’espressione dello “Zeitgeist” dell’epoca in cui l’artista viveva. La distorsione del volto, l’ambiente e lo stile in cui è dipinto, sono generate proprio da queste esperienze, del tempo in cui Munch è vissuto, e non potrebbe essere altrimenti. E questo è qualcosa che l’AI non può avere, perché non ha una vita. Può essere molto brava ad imitare variazioni di questo dipinto, basandosi su quello stile, è molto brava a riconoscere forme e modelli, ma non riesce a generare la visione di fondo che può creare un’opera d’arte. E questo è il principale motivo per cui l’arte generata dall’intelligenza artificiale non può essere considerata Arte. Le forme visivamente accattivanti che produce mancano di una profonda intenzionalità e di una visione umana sottostante, di un’esperienza di vita; sono solo estrapolate da creazioni umane esistenti. L’AI non aggiunge alcun contenuto originale basato su un modo personale di vedere le cose e di vivere la realtà, come farebbe un essere umano.

Prendiamo i dipinti di Lascaux e Altamira (9.000-10.000 a.C.), dove le scene di caccia e le rappresentazioni degli animali sono i motivi principali. Questi rappresentavano i momenti più importanti dell’esistenza degli autori: vincere i pericoli, procurarsi del cibo, sopravvivere. Secondo alcuni, queste rappresentazioni sarebbero state per gli uomini preistorici reali come reale era l’esperienza della caccia, e ciò li avrebbe aiutati ad affrontare le paure nella realtà. Sin dall’inizio dei tempi l’arte è stata uno strumento magico per conquistare una realtà minacciosa, un modo per esprimere l’istinto di sopravvivenza, un elemento legato agli esseri umani in quanto animali. L’istinto di sopravvivenza, l’istinto di espansione, l’istinto di conquista della realtà circostante è qualcosa di intimamente legato al nostro essere delle entità viventi. Per gli artisti primitivi l’oggetto rappresentato era reale quanto l’oggetto stesso. Ciò è un aspetto che non potrà mai far parte dell’arte generata dall’AI.

La Sumeria è considerata una delle prime civiltà sviluppate al mondo (4.000 a.C.). Qui troviamo statue di adoratori, con mani battenti ed occhi spalancati, in atto di devozione. Queste statue rappresentavano adoratori perpetui per conto delle persone che esse rappresentavano. Erano equivalenti, erano la persona stessa; gli individui potevano essere presenti nelle loro statue anche se non erano presenti al tempio, anche se non erano più vive. Esse rappresentavano la perpetuità. Queste sculture pregavano per loro, perché erano una loro proiezione. Questi antichi credevano nel potere reale dell’arte di cambiare e trasformare la realtà. In seguito, l’arte si è evoluta in molti altri modi, e fino al giorno d’oggi ha mantenuto quest’aura magica. L’arte contemporanea si è ramificata in miriadi di espressioni, passando dai valori della società a quelli individuali; ma, esattamente come le statue sumere, un artista crea un’opera d’arte perché sia rappresentazione di sé stesso. È nel mondo per influenzare il mondo; e questo potente strumento magico per influenzare la realtà è intimamente legato ai nostri istinti, alle nostre passioni, al nostro modo di vedere la realtà.

L’arte è legata all’umanità in un modo in cui non lo è nient’altro. È profondamente legata ai nostri istinti di sopravvivenza, a noi come esseri viventi, come corpi, come animali evoluti; è intimamente legata alla Volontà dell’Universo.

In filosofia è legata alla Volontà come rappresentazione di Schopenhauer, alla Volontà di potenza e di espansione di Nietzsche. È legata alla volontà ultima di espansione dell’universo ed è qualcosa che l’intelligenza artificiale non sarà mai in grado di capire, perché non è un organismo vivente. L’arte riguarda il processo, il viaggio per giungere ad una meta, e il processo è importante tanto quanto il risultato. Il processo di traduzione di un qualcosa che si sente dentro in qualcosa di esterno richiede sofferenza, introspezione, momenti di incredulità, tristezza, ma anche di gioia, e la sensazione di aver compiuto qualcosa, di aver superato una resistenza.

L’artista costruisce un ponte tra la sua interiorità e l’esterno, proietta sé stesso nella realtà e crea qualcosa che può effettivamente influenzare gli altri: un’espressione diretta dei suoi istinti. Quando si digita un testo in un prompt e si ottiene istantaneamente un risultato, non c’è sforzo, non c’è vera soddisfazione, non si ha la sensazione di aver superato una grande resistenza. Premere semplicemente un pulsante non è assolutamente un processo creativo. Semmai il processo creativo avviene nel codice, da parte delle persone che l’hanno scritto per generare l’immagine, nel database che il codice utilizza per generare il contenuto; ma questo non avviene nella mente dell’utente. Si tratta di ricombinare immagini di artisti reali, con l’unica forza motrice di soddisfare il prompt. La tecnica non è personale e, di fatto, l’AI sta diventando un medium. Purtroppo YouTube è saturo di video su come creare immagini senza sforzo. Abbiamo plasmato una società che crede nelle scorciatoie, interessata a come fare il minimo sforzo nell’ottenere il massimo dei risultati. Si stanno formando nuove generazioni che non danno alcun valore allo sforzo. Approdare direttamente al prodotto finale partendo dall’idea alla sua base ma senza passare per il “processo”, rende l’utilizzo dell’intelligenza artificiale utile non per velleità artistiche, ma risparmiare. Tutto ciò contribuisce ad evitare l’apprendimento e la formazione di una tecnica e presto saremo sommersi da opere votate alla pigrizia. Non ultimo, l’impatto delle immagini generate dall’intelligenza artificiale trasformerà profondamente il modo in cui le persone percepiscono le immagini stesse.

E solo a quel punto il paradigma slitterà, rigirandosi però su sé stesso. Prendiamo in analisi il cinema: lo sviluppo dell’AI permetterà a chiunque di fare cose incredibili: una città che sprofonda in una voragine soltanto battendo qualche parola di testo sul proprio laptop, o far esplodere un palazzo, far affondare il Titanic. Tra un paio d’anni saremo a questo livello, e a quel punto il cinema spettacolare non varrà più nulla; perché il cinema non è l’effetto speciale. L’effetto speciale è legato al cinema unicamente per rappresentare qualcosa di fantastico, che non esiste. Con l’assuefazione che si verrà a creare, la spettacolarità smetterà di sorprendere, smetterà di essere ‘spettacolare’, perché ognuno potrà farsi queste cose sul proprio smartphone mentre sta seduto in bagno. E allora conteranno di più le storie. Oggi le foto di ChatGPT sono bellissime, i video sono pazzeschi e questa tecnologia permetterà a chiunque di inserire nei propri film delle sequenze incredibili, di creare effetti e situazioni ad alto budget senza alcun budget. Se vorrò rappresentare un’invasione aliena o un palazzo distrutto, processi che fino a ieri richiedevano anni di studi in grafica 3D e mesi di realizzazione, potrò farlo in mezz’ora di rendering mentre aspetto che l’acqua bolla in pentola. A quel punto non sarà più importante la sequenza, perché chiunque potrà fare la stessa cosa con il suo smartphone; sarà importante il racconto. Sarà importante quella cosa che mancherà completamente: la storia.

E solo a quel punto nascerà una nuova controcultura che ricercherà solo le belle storie, e gli effetti speciali inizieranno ad essere visti per quello che sono: uno fra i tanti strumenti per mostrarci qualcosa. Non a caso sta aumentando in seno alla Generazione Z un forte interesse verso la fotografia analogica; ebbri dell’estetica perfetta generata dai filtri artificiali di smartphone e socials, molti giovani, in preda all’istinto ancestrale dell’espressione concreta e materiale di sé, utilizzano il medium analogico non solo per fini meramente estetici, ma poiché custode dell’attimo dello scatto che, a differenza delle gallerie sature degli smartphone, resta impresso nella memoria emotiva.

Tra qualche anno l’arte umanamente creata, diventerà, per forza di cose, ed in contrasto a questo nuovo paradigma, molto più intimista; oppure scomparirà del tutto. La realtà dei fatti, a mio modesto parere, resterà sempre questa: trovare un modo per tradurre ciò che si vuol esprimere costa fatica; se si vuol fare una buona fotografia, bisogna imparare la fotografia, se si vuol comporre musica va imparata l’armonia.

Ormai è lapalissiano che a giorni niente sarà più come prima, e nostro malgrado dovremo adattarci ai tempi che verranno. Ma non dimentichiamo quello che facciamo da migliaia di anni. Abbiamo la capacità, con la nostra creatività ed intelligenza, di trasformare ed elevare la realtà che ci circonda, e l’arte umana è il solo modo per farlo.

Martin Di Lucia

(da Fuori dalla Rete giugno 2024, anno XVIII, n. 2)

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