E’ doveroso in questo paese ricordare il 25 Aprile, sia per quello che ha rappresentato sia per non dimenticare.
Non esistono però morti di serie A e morti di serie B. Ecco perchè, da qualche anno a questa parte, nel 2021 ancora di più, mettere in evidenza la data del 10 Febbraio è altrettanto doveroso.
20 mila nostri fratelli torturati, assassinati e gettati nelle foibe (le fenditure carsiche usate come discariche) dalle milizie della Jugoslavia di Tito alla fine della seconda guerra mondiale, hanno finalmente, dopo anni di oblio, trovato voce. Andare a Basovizza, lascia segni indelebili.
E’ importante infatti conoscere la storia. Sappiamo tutti che nel 1943, dopo tre anni di guerra cruenta e ingiusta, le cose si erano messe male per l’Italia. Il partito fascista si sciolse improvvisamente, creando nel paese una confusione mista a felicità. Nei Balcani, e particolarmente in Croazia e Slovenia, le due regioni balcaniche confinanti con l’Italia, il crollo dell’esercito italiano aveva fatalmente coinvolto le due capitali, Zagabria (Croazia) e Lubiana (Slovenia), su Fiume invece ci sarebbe da fare un altro discorso, che non è il tempo per approfondire. I fascisti e tutti gli italiani non comunisti vennero considerati nemici del popolo, prima torturati e poi gettati nelle foibe dagli uomini di Tito. Morirono, si stima, circa un migliaio di persone. Le prime vittime di una lunga scia di sangue. Donne, esuli, gente che aveva avuto la sola colpa di combattere nella parte dei perdenti o sostenere il proprio paese dalla parte degli sconfitti. Tito non guardava in faccia a nessuno: le uccisioni di italiani nel periodo tra il 1943 e il 1947 furono almeno 20mila; gli esuli italiani costretti a lasciare le loro case almeno 250mila.
La cosa che lascia più sgomenti è anche il “come” venivano uccisi: i condannati venivano legati l’un l’altro con un lungo fil di ferro stretto ai polsi, e schierati in contorno alla foiba. Quindi si apriva il fuoco trapassando, a raffiche di mitra, non tutto il gruppo, ma soltanto i primi tre o quattro della catena, i quali, precipitando nell’abisso, morti o gravemente feriti, trascinavano con sé gli altri sventurati, condannati così a sopravvivere per giorni sui fondali delle voragini, sui cadaveri dei loro compagni, tra sofferenze inimmaginabili.
Tra le tante testimonianze quella di cui sono stato completamente travolto è la storia di Norma Cossetto. Bellissima, con un sorriso fantastico che nessuno è riuscito a spegnere. Lascio alle parole della sorella Lidia Cossetto, la disperazione: “Norma era legata con le mani dietro la schiena, tutti i vestiti tirati sopra l’addome, sono convinta l’abbiano gettata giù ancora viva”.
Brividi, nausea, stomaco rigirato.
Ecco perchè la giornata del 10 Febbraio, assume, finalmente, il giusto significato.
Per il sorriso di Norma, dunque, affinchè tutto questo, in questa quotidianità malata, non accada mai più.
Perchè chi giustifica Mussolini è un pazzo, esattamente e ugualmente come chi giustifica Tito. Non di più e non di meno.
PER IL SORRISO DI NORMA. IO NON SCORDO!
Daniele Marano