Adelina Picone, docente del Dipartimento di Architettura dell’Università Federico II di Napoli, lei è impegnata nel seminario sulle aree interne e in particolare sull’Altopiano del Laceno che è partito lo scorso e si concluderà il prossimo..Il parterre dei relatori, da Ciriaco De Mita al presidente degli industriali, Pino Bruno, è autorevole. La questione di fondo, viene dibattuta da decenni: quale può essere il modello di sviluppo per le aree interne e segnatamente per l’Irpinia?
«E’ una domanda alla quale noi stiamo provando a rispondere. Bisogna sanare le fratture delle terre dell’osso. Oggi si stanno studiando le aree interne, e i progetti della strategia nazionale sono quasi tutti a livello avanzato. Sono stati realizzati degli studi che tracciano un bilancio a 5 anni dal loro avvio. Il libro «Riabitare l‘Italia», in questo, sta offrendo in tutto il Paese contributi multidisciplinari sul tema. E’ un libro-progetto che ci fa rendere conto del fatto che molti germi sono già presenti sui territori. Le cose si stanno facendo, si stanno analizzando – per esempio – le esperienze positive del Piemonte, della Sicilia, del Trentino, che hanno prodotto effetti di riattivazione in diverse aree. Una riattivazione che parte dal basso».
In che senso?
«Nel senso che non si tratta di interventi sul patrimonio costruito, ovvero di finanziamenti pubblici che servono per restaurare i borghi. Ma di operazioni di conoscenza profonda dei territori, utili ad individuare quale può essere l’elemento propulsivo della loro riattivazione. L’esempi vincente è quello delle valli occitane del Piemonte. Quell’area ha ritrovato la sua forza sulla base della lingua occitana. Intorno a questo, si sta ricomponendo il tutto. Poi ovviamente sono stati necessari i relativi finanziamenti pubblici per attrezzare fisicamente il territorio. Allora, rispetto al Laceno, abbiamo bisogno di mettere in piedi grosse attività conoscitive. Le componenti per la riattivazione del Laceno sono molteplici. Perché il problema non è solo la neve, o la costruzione del turismo. Prima, bisogna riscoprire qual è il senso e il simbolo del luogo, in grado di innescare modelli innovativi di sviluppo culturale. Poi bisogna fare in modo che le risorse che qui ci sono, dalla zootecnica all’agricoltura, siano valorizzate e inneschino i processi. Ma servono azioni conoscitive. Per esempio, dell’idrogeologia del territorio. Può sembrare strano, in un bacino imbrifero come questo, ma qui non c’è acqua. Bisogna capire cosa è successo dopo il terremoto. Quindi, prima di tutto, bisogna mettere in piedi attività di ricerca».
Ma lei ritiene che la vocazione turistica del territorio, di cui si parla spesso innescando dibattiti accesi, c’è o no?
«Il turismo si può fare nel momento in cui la comunità di un luogo si appassiona al proprio territorio e se ne prende cura. Altrimenti non c’è nessuno turismo. Non può essere legato all’evento o all’attrattore. Ebbene, il turismo che potrebbe accogliere il Laceno è fatto di cammini, è lento, si nutre di bellezze naturali e godimento del paesaggio. Un turismo che si basa sull’autenticità del luogo stesso. Ma se in un’area del genere i conflitti sono forti e si genera l’abbandono di chi la vive, non ci sono prospettive. Allora, prima di tutto, bisogna ricostruire le comunità. Io riscontro grande interesse. Si pensi anche alla componente culturale. Si potrebbe riportare il «Laceno d’oro» nel luogo d’origine».
Lei parla della necessità di ricostruire le comunità: più facile a dirsi che a farsi, in una terra che si desertifica per l’assenza di lavoro e servizi. Crede che le istituzioni, la politica, stiano facendo davvero abbastanza? le istituzioni hanno capito e fanno abbastanza?
«A mio avviso c’è ed è chiara la consapevolezza di una visione soprattutto strategica, con il superamento dei confini comunali. Il progetto pilota, del resto, si fonda su questi presupposti. Chiaramente, da quando è stato redatto ad oggi, ci sono stati mutamenti anche politici, e quindi l’attuazione sta subendo fasi complicate. Ma questo è fisiologico. Quello che è necessario è che si inneschi un processo partecipativo più efficace. Noi, dal canto nostro, vogliamo sottolineare la necessità di mettere in piedi studi e ricerchi che rifondino su basi scientifiche il racconto di questa terra».
Ovviamente, per il Laceno, il grande attrattore può essere rappresentato dall’impianto di risalita. Manca ancora l’ok per in finanziamenti da Regione e Governo. Può essere davvero un volano?
«Non è detto che debba essere sempre utilizzato per la stazione sciistica. Ieri, per esempio, abbiamo camminato sulle vette del Laceno e, riscendendo a piedi, ci abbiamo impiegato 4 ore. E’ stato bellissimo, abbiamo visto una natura straordinaria. L’attrattore, insomma, è il territorio. Il Laceno è uno scrigno, dai monti Picentini si dipartono le sorgenti di tutti i fiumi irpini. Bisogna reinterpretare la nostra geografia».
Alla fine crede davvero che potranno materializzarsi quei numeri e quell’inversione di tendenza dell’economica che oggi somigliano solo ad una chimera?
«Questo territorio ha potenzialità naturali straordinarie e risorse incredibili, ora sta acquisendo maggiori potenzialità infrastrutturali grazie all’Alta velocità e Lioni-Grottaminarda, spina dorsale fondamentale per tutta l’Alta Irpinia. L’altra questione che si sottolineava nei nostri seminari è quella del cambiamento climatico. In una prospettiva in cui siamo sempre più vicini al riscaldamento globale, aree come questa hanno un potenziale davvero straordinario».
Flavio Coppola (Orticalab.it)