Una cosa appare quasi scontata in proiezione fase 2 o fase 3. Il coronavirus potrebbe porre la pietra tombale su qualunque ipotesi di costruzione di un sistema turistico in Irpinia. A meno che non si attui una strategia mirata per attrarre escursionisti dalle aree metropolitane del Sud Italia, propensi nel breve termine a scegliere la campagna irpina considerate le possibili limitazioni per l’estero e per il Nord Italia. Ma per strategia mirata s’intende una rivoluzione in termini di offerta, marketing, professionalità. E anche di prezzi.
Senza addentrarsi in previsioni sull’andamento del virus, su cui nessuno è in grado di azzardare date, basterebbero i numeri a offrire un quadro del fenomeno. La stima di Assoturismo parla di un calo di flusso pari a 260 milioni di presenze in Italia. Al momento è annullato il 60 per cento delle prenotazioni in Sicilia, solo per fare un esempio. E probabilmente la percentuale non è destinata a scendere.
Se le mete principali accuseranno il colpo, mortale secondo alcuni – e parliamo di Venezia, Toscana o Sicilia con un sistema ben consolidato – come si potrà pensare di ragionare sul settore nelle nostra area interna? È vero che qui le perdite saranno, per proporzione e dimensione, ben più contenute rispetto ad altri luoghi (i numeri sui pernottamenti nell’intera provincia di Avellino rappresentavano l’1 per cento circa della quota regionale) ma ad oggi anche solo immaginare un percorso risulta utopico.
Questione di priorità. Non è un caso che la stessa strategia nazionale delle aree interne abbia messo di nuovo l’accento sulla necessità di una sanità nelle aree periferiche (leggi qui). Quasi un ritorno alle origini se non fosse che si continui a parlare di innovazioni, impossibili in territori privi di reparti essenziali. La telemedicina, la medicina a distanza su cui battono i protagonisti della strategia, può servire a ben poco in territori non ospedalizzati se non accompagnata da medici e infermieri all’interno dei nosocomi stessi.
Nello specifico sembra ovvio che la “stella polare” da seguire, da qui si prossimi mesi e forse anni, sarà la dignità e la sicurezza per i piccoli ospedali dell’Alta Irpinia. Tutto il resto, dagli eventi alla cultura fino al turismo, lo diciamo a malincuore, andrà messo in secondo piano. Presumibilmente anche i capitoli di spesa regionali potrebbero essere rimodulati nel breve termine. Nel mezzo dell’emergenza bisognerà poi capire se i fondi già previsti verranno effettivamente stanziati (dalle seggiovie del Laceno alla rete museale dell’Alta Irpinia). La sanità non può assorbire tutto, ma la coperta in questi casi è pur sempre corta.
Tutto quel poco che è stato messo in piedi negli anni rischia di non trovare interlocutori e soprattutto utenza (che è sempre conditio sine qua non, anche se molti lo dimenticano). Il covid spazzerà via sogni, illusioni, buone pratiche. E spazzerà via anche le cattive pratiche, l’esaltazione del nulla, le case regalate. Oggettivamente nessun sano di mente potrà mai pensare di venire a vivere o a villeggiare tranquillamente in una zona priva di terapia intensiva (a proposito, Sant’Angelo sta ancora aspettando…). Era da avventurieri prima, è da folli adesso.
La pandemia cambierà tutto, si sente dire. La pandemia mette tutti sullo stesso piano, è un refrain. Ma la pandemia non potrà danneggiare più di tanto un terra senza sanità e servizi, né per i residenti né per i turisti. Il virus lascerà macerie in molte realtà. Da noi farà semplicemente tabula rasa delle macerie già esistenti. E questo potrebbe non essere un male.
Giulio D’Andrea, Irpiniapost.it