«Il futuro è nel digitale, anche se la Pa è indietro, ci sono opportunità inimmaginabili». Antonio Cianciulli, dirigente di “Acca Software”, indica la rotta nel giorno in cui arriva ad Avellino il ministro del Sud, Mara Carfagna: «Giusto pensare a costruire le infrastrutture, ma chi è più avanti, in tutto il mondo, pensa a come digitalizzarle. Forse qui manca ancora la giusta sensibilità politica in merito, altrimenti una Zes sarebbe stata dedicata alla digitalizzazione. Ma il discorso che noi abbiamo applicato alle costruzioni, vale per tutti i settori»
Ingegner Antonio Cianciulli, dirigente di “Acca Software”, a Bagnoli, la sua azienda è leader mondiale nel settore della digitalizzazione applicato al mondo delle costruzioni. Ha appena concluso la convention 2021, forse il più grande evento professionale mai realizzato on line in Italia. Qui si continua a parlare di digitalizzazione, e oggettivamente la pandemia ci ha costretti a ricorrere alla tecnologia per svolgere una serie di funzioni prima realizzate in presenza. Il tema è centrale nel Pnrr. Ma l’Irpinia sta davvero facendo la sua parte? O siamo già in ritardo?
«Effettivamente, guardando al Pnrr, la velocità con cui viene richiesto al nostro settore ed agli altri di spendere i soldi e realizzare una serie di opere, entro il 2026, mi fa pensare che un problema ci sia. Per opere del genere, in Italia, solo gli appalti durano tanto. E’ anche vero che con il decreto semplificazione c’è una corsia preferenziale e si partecipa con gli studi di fattibilità, ma il problema è che tutti i processi vengono comunque gestiti in forma cartacea e con percorsi approvativi che seguono un iter lungo in vari enti. Dunque, prima di tutto, servirebbe una vera digitalizzazione nella pubblica amministrazione, per consentirci di sfruttare l’opportunità dei fondi. Per un’opera servono montagne di carte da controllare e rimandare indietro. Allora, in questo caso, più che un’opportunità, la digitalizzazione è una necessità impellente, perché altrimenti si rischia che non si riesca a dar corso ai progetti e alla loro esecuzione. Quindi ad avere i soldi».
Vede in questa direzione uno sforzo delle istituzioni, in Irpinia come in Campania?
«Direi che la Pa è in grave ritardo, eccetto poche realtà virtuose che seguiamo noi, come il Provveditorato alle opere pubbliche della Lombardia o dell’Emilia Romagna. In Campania, questo processo non c’è stato. Mentre si parla tanto di digitalizzazione, i lavori che dovevano essere realizzati sono stati fatti slittare. Ovviamente, dal 2025, questo diventerà obbligatorio per tutti i cantieri al di sopra del milione di euro. Il punto è che nessuna pubblica amministrazione si è adeguata in tal senso. Ad esempio all’utilizzo del sistema “Bim”, che noi adoperiamo per le costruzioni. Quindi ogni pubblica amministrazione deve ancora fare la formazione dei dipendenti, creare il processo di digitalizzazione degli uffici, acquisire la necessaria strumentazione».
Insomma, siamo indietro.
«Chiaramente, rischiamo di non essere pronti e preparati a gestire digitalmente i processi. E questo può essere una catena al piede, soprattutto se i tempi per il Pnrr sono così stretti».
Domani verrà ad Avellino, ospite di Confindustria, il ministro del Mezzogiorno, Mara Carfagna. La visione di sviluppo dell’Irpinia che sarà sottoposta al Governo è ancora quella basata sulle pur necessarie infrastrutture materiali, Alta Capacità, Stazione Hirpinia, a servizio di un’industria essenzialmente manifatturiera. Non siamo fuori strada?
«Una visione nono esclude e ostacola certamente l’altra. Le infrastrutture ferroviarie, la piattaforma logistica, i grandi investimenti che si attiveranno in termini di indotto, possono dare grandi risultati. Quello che noi vediamo nel nostro settore è lo sviluppo possibile nel mondo digitale. Stiamo vivendo in prima persona il fatto che il vero sviluppo si sta generando sulla digitalizzazione di queste infrastrutture. Mentre c’è chi pensa a costruirle, tutto il mondo sta pensando a come digitalizzarle. Noi lo facciamo già in Spagna, in Austria o in Brasile».
In che senso, digitalizzare le infrastrutture?
«Significa che il ponte di Genova non cade più. Vuol dire avere modelli digitali che ci danno informazioni sullo stato dell’opera, avere feed back immediati sulla manutenzione. Gestire, nel caso degli aeroporti, tutta la logistica, come nei porti. Quindi il problema per gli altri è gestire digitalmente e non solo costruire. La sfida, per chi è più avanti, è questa. Noi facciamo sistemi digitali per monitorare i ponti. Perché queste opere funzionano se siamo in grado di gestirle, altrimenti danno solo costi immani e non generano i servizi per cui le avevamo costruite. Per essere competitivi a tutti i livelli non è possibile prescindere da una logistica strategicamente guidata da sistemi di intelligence digitali».
Questa è una provincia che arretra, perde fabbriche e occupazione. E’ davvero in questa direzione che si può invertire la rotta?
«Noi facciamo proprio questo. Dall’inizio dell’anno siamo cresciuti di 50 unità nella nostra realtà e spero fino a fine anno che siano molte di più. Cerchiamo persone per assumerle. Made in Irpinia. Prevediamo di diventare molto più grandi. Noi lo facciamo da qua, ma guardando tutto il mondo. Il digitale ha questo di vantaggioso, vengono loro da noi, da altre nazioni».
Voi lo fate sulle costruzioni. Quali altri settori potrebbero scommettere sulla digitalizzazione?
«Non c’è un settore in cui ciò che le ho detto non sia vero. Lo si può fare nella cura dei boschi, nell’agricoltura, nella forestazione, nel monitoraggio dei rischi territoriali e idrogeologici. Tutto quello che riguarda questi aspetti è fatto di documenti. Serve quindi un modello digitale che permetta di fare le analisi prima e meglio. Non c’è un ambito tirato fuori da questo discorso. Ma in primis dovrebbe essere la pubblica amministrazione ad avere questo tipo di visione. Poi le imprese e le persone».
Pensa sempre, come disse anni fa, che l’Irpinia possa essere una sorta di piccola Silicon Valley?
«Chiaramente, c’è bisogno della formazione dei ragazzi. Lo sappiamo bene. Ormai le persone non hanno più nemmeno la necessità di essere in un luogo preciso per lavorare. Dietro ci deve essere un indirizzo delle amministrazioni pubbliche. Si dovrebbero favorire, come si faceva con le Zes, le aree industriali di prodotti digitali, anziché manifatturieri. E poi indirizzi di formazione, di integrazione tra Università e aziende. Questo creerebbe il substrato per poterlo fare. Ma devo dire che ci sono già diverse realtà della provincia che lavorano nel nostro settore, e questa è una delle province in cui, comunque, esiste un settore. Forse non si è mai creduto che potesse essere un percorso da seguire».
Le istituzioni, Regione, Governo, Comuni, dimostrano di crederci?
«Che ci sia un’attenzione a questo ambito non lo riscontro. Altrimenti ci sarebbe stata una Zes per il digitale. Ma oggi è sotto gli occhi di tutti, e non è negabile, che questo sia un settore dalle grandissime potenzialità. E siamo ancora agli inizi. C’è ancora un’autostrada da percorrere e se prima poteva sembrare una cosa campata in aria, oggi i tempi diventano sempre più stretti. si apriranno opportunità enormi e qui ci saranno le maggiori potenzialità di sviluppo. E’ vero, non c’è grande attenzione. La politica si sofferma ancora su aspetti importantissimi ma tradizionali. Una visione strategia di sviluppo su questo non c’è».
Allora come vede l’industria irpina da qui ai prossimi 10 anni?
«Penso che tutta la crisi che c’è stata, per ciò che abbiamo vissuto, abbia anche selezionato i trend di sviluppo potenziali nel prossimo futuro. La realtà ci da indicazioni chiare. Le imprese che sono andate in difficoltà, evidentemente sono impegnate in campi che non si conciliano col mondo digitale, sempre più pregnante. Chi invece riesce a mediare, avrà una strada per rendere appetibile l’offerta. Purtroppo, per chi resterà in un ambito prettamente tradizionale, temo sarà molto difficile incrociare le scelte del pubblico».
Grazie ingegner Cianciulli.
«A lei».
Flavio Coppola (Orticalab.it)