Bagnoli si presenta all’appuntamento elettorale del 3 e 4 ottobre 2021 ufficialmente orfana dei partiti di sinistra, in particolare del Pd, della sua nomenclatura e della sua storia. Ed è la prima volta che ciò accade dal dopoguerra. Questa notizia ha fatto molto clamore, ha imbarazzato non poco i notabili locali, ha trovato anche spazio sulle pagine di stampa provinciale e regionale, ed è stata sicuramente al centro di qualche disquisizione politica, se non proprio ilarità, tra le mura dei partiti e delle istituzioni campane.
Questo paese si era guadagnato sul campo, in più di settant’anni di storia repubblicana, l’epiteto di “Bagnoli la Rossa”, la “Leningrado d’Irpinia”. È stato tra i pochi Comuni dell’entroterra campano a votare a favore della Repubblica in quel lontano 2 giugno del 1946, quando in tutto il Sud Italia si registrava un vero e proprio plebiscito per la Monarchia. È stato lungamente amministrato dalla sinistra, che ne ha determinato anche le fondamentali linee di sviluppo e ammodernamento. Ha avuto in Tommaso Aulisa (PSI) uno dei suoi protagonisti e nel Partito Comunista la sua grande forza e il suo principale bacino di consenso elettorale.
La caduta del Muro di Berlino, tangentopoli e la crisi dei partiti della Prima Repubblica, non hanno scalfito più di tanto gli orientamenti politici locali: il cuore e l’anima dei bagnolesi sono comunque rimasti a sinistra. Le trasformazioni e scissioni registrate negli ultimi trent’anni, i vari passaggi dal Pci-Pds-Ds fino ad arrivare al Partito Democratico, hanno sostanzialmente preservato ai cosiddetti progressisti una significativa forza elettorale a Bagnoli. E se non più plebiscitaria come un tempo, tale comunque da determinare e condizionare gli esiti delle campagne elettorali che si sono succedute nell’ultima parte del secolo scorso e nei primi 20 anni del nuovo millennio.
Tutto questo, sembra oggi, svanito, un lontano e nostalgico ricordo. La desertificazione di questo campo politico, per quanto possa sembrare improvvisa, ha però radici profonde e motivazioni che vengono da lontano. Il disincanto per la politica riguarda un po’ tutti i partiti e un po’ tutto il territorio nazionale. E, allargando l’orizzonte, tutte le democrazie dell’Occidente. C’è un problema serio di partecipazione e rappresentanza in quasi tutte le moderne democrazie. Siamo precipitati, pericolosamente, nella cosiddetta era post ideologica.
Questo quadro e questa situazione non poteva non condizionare anche il nostro paese. A Bagnoli nel corso degli ultimi anni i partiti hanno tutti pian piano chiuso i battenti. Non c’è stata più attività politica, confronto, discussione sui temi che interessano la gente; e sono di conseguenza scomparse le officine e i laboratori nei quali si costruivano le classi dirigenti. Sono, ahinoi, rimaste solo “le tessere”, anche e forse soprattutto a sinistra, quelle che consentono ad alcuni personaggi della commedia greca di darsi un tono e far valere le proprie (personali) ragioni quando si va a bussare ai centri di potere provinciale e regionale.
Cosa è accaduto in più, e di più grave, nella sinistra bagnolese? Azzardo un’ipotesi. La commistione tra affari e politica, tra mondo delle professioni e governo del paese, ha preso gradualmente il sopravvento proprio in quelle forze che avevano sempre aborrito e denunciato quel sistema: la sinistra. A prevalere è stata l’ingordigia, la bulimia da parcelle/onorari da parte di imbonitori e “professionisti” manipolatori del consenso.
Non si vuole in questa sede denigrare alcuna categoria professionale. Ci mancherebbe. La pubblica amministrazione deve lavorare con i professionisti tutti, non può farne a meno. Ed è giusto così. Quello che invece si contesta, e che purtroppo si è verificato in modo chiaro a Bagnoli, è che a prendere “il timone” della politica siano stati gli stessi soggetti che hanno poi fatto (solo) affari con la politica. In passato non era così, o quanto meno era molto più contenuto e marginale. E soprattutto più controllabile. Con la sovrapposizione di ruoli e funzioni degli ultimi anni c’è stato un vero e proprio cortocircuito, un blackout, che ha determinato una totale perdita di credibilità nella classe politica locale e l’allontanamento definitivo delle persone perbene da certi ambienti.
A sinistra però non tutto è perduto, come sembra. L’associazione politica Giovane Sinistra, tra alti e bassi, tra chiari e scuri, rischiando (e forse consumando) anche una dolorosissima scissione al suo interno, ha deciso di rompere gli indugi e scegliere, coraggiosamente, di entrare nella competizione elettorale. E lo fa con l’intento chiaro, dichiarato, di provare gradualmente a ricostruire la sinistra e i suoi valori, togliendo la bandiera di mano a chi per tanti, troppi, anni ne ha offuscato l’immagine e la credibilità. Sarà il tempo a dirci se questo nuovo seme germoglierà.
Mimmo Nigro