C’è fermento e c’è un finanziamento fermo alla carta che attende di essere innescato. Con l’avvio della gara per l’affidamento dei lavori, l’apertura dei cantieri, le immancabili inaugurazioni. Un processo che potrebbe richiedere altri anni. Roba da far tremare i polsi ai cinesi di Wuhan, dove in dieci giorni si tira su dal nulla un ospedale per combattere il coronavirus. Intanto, gli impianti del Laceno sono fermi da tre stagioni invernali. Tre stagioni nelle quali non si è potuto sciare sull’altopiano. Chi è salito in montagna ha fatto altro, non molto altro ma altro.
Ed è su questo altro che questo stop forzato alle seggiovie dovrebbe far ragionare. Per destagionalizzare le presenze, ma pure per trovarsi preparati per affrontare uno scenario non così remoto: l’assenza della neve. Un articolo apparso su Skialper domenica spiega che “dal Piemonte alla Carnia sono centinaia le stazioni sciistiche abbandonate; l’ultimo censimento, risalente a qualche anno fa, realizzato dal CIPRA (Commissione Internazionale Protezione delle Alpi), Mountain Wilderness e dall’associazione Dislivelli, ne contava 186”. E aggiunge: “Non è un segreto che gli ultimi quattro anni siano stati i più caldi mai registrati sul pianeta terra, e non è neanche più un segreto il fatto che il cambiamento climatico risulti più rapido nelle zone montuose rispetto a quelle pianeggianti: ogni grado centigrado in più registrato in pianura infatti corrisponde a un +2° C sulle Alpi”.
Si parla di Alpi, ma il ragionamento può valere anche per l’Appennino, per i nostri monti Picentini. Come spesso accade la natura viaggia a velocità diverse da quelle dell’uomo (e dei cantieri). E senza neve non si canta messa. Siamo in grado di guardare oltre l’appetibilissimo finanziamento da 12 milioni di euro e organizzare qualcos’altro, un’altra o (più) altre ragioni per frequentare il Laceno, anche se non dovesse più nevicare?
di Paola Liloia (Irpiniapost.it)