Son passati circa otto mesi dall’inizio del “41/bis”. Otto mesi di chiusura fisica e morale, in cui si è pensato e parlato di tutto; otto mesi di astrazione totale dal precedente, tranquillo, modus vivendi, alieno da paure e da ansie che frenano il respiro, ove difficilmente sarà possibile rientrare appieno, ingabbiati come siamo entro i confini asfittici di una realtà che ci fa vivere effimeri momenti di speranza, anch’essa figlia di un astrattismo piuttosto lasco, anemico, che si nasconde dietro schermature intangibili che il mondo della scienza è incapace di neutralizzare e di fornire segnali chiari, imprescindibili, riconducibili ad una possibile eradicazione del virus assassino che ci fa vivere momenti di angoscia e di paura.
Siamo stanchi di ascoltare il lugubre tam tam che parla di vittime e di milioni di infettati, e di consigli insensati del tipo: la salvezza sta nelle vostre mani, nella vostra intelligenza, nel rispetto della natura e delle regole. Sì, certo, ma diteci che cavolo dobbiamo fare, noi, per rientrare nella realtà vera, quella che ci ha visto nascere, che ha visto crescere i nostri figli, i nostri nipoti? Che dobbiamo fare per rendere il mondo più sicuro, più pulito, più civile, più gentile? A chi dobbiamo credere? Agli scienziati? O ai negazionisti, che non conoscono il senso del rispetto verso il prossimo?
DOBBIAMO VINCERE LA PAURA!
Siamo tutti colpevoli? Forse. Ognuno di noi ha soltanto una scheggia di colpevolezza. Ma loro no! Loro sono quelli che hanno trasformato il nostro mondo in una larva, che langue in un opaco spegnersi tra rivoli di lacrime e sangue umano.
Anche l’ottimismo, che naviga nelle acque chete di una parte di quella collettività spensierata, dovrà darsi una risciacquata. Credo proprio che, ancora una volta, con riferimento al modo di vedere e di pensare, si debba seriamente riesaminare il tanto deprecato pessimismo di Arthur Schopenhauer (filosofo tedesco del XVIII secolo) che definisce questo mondo come il peggiore dei mondi possibili, una valle di lacrime, una colonia penale nella quale gli esseri patiscono innumerevoli e inevitabili mali. Credo, altresì, che il pensiero del menzionato filosofo debba essere preso in considerazione, non tanto dal punto di vista strettamente filosofico, ma da una visuale (che Lui ha tentato di percorrere) che indichi la via per sottrarci alla sofferenza.
Mah! Come si fa? Chi potrà mai indicarci quella via? Il virus, intanto, sta paurosamente espandendo il suo raggio d’azione. Siamo calati in un caos talmente indecifrabile che ci fa vivere giorni di terrore.
Chi ha avuto il piacere di leggere l’aforisma di Haruki Murakami, scrittore-accademico giapponese, avrà fatto sicuramente suo l’invito che scaturisce dalle sue parole. Invito che, con la forza di un algoritmo, infonde serenità, speranza e rafforzamento alla dignità della vita:
“Quando tutto attorno è buio
non c’è altro da fare che aspettare tranquilli
che gli occhi si abituino all’oscurità”
Siamo attaccati da un mostro invisibile che ormai si è trasferito in noi; che ci cammina accanto, che ci copre il volto con una mascherina; che pasteggia con noi. Un mostro cinese, “amico” del cinipide e di tanti altri germi e batteri patogeni, che hanno comune origine e provenienza, che hanno trovato la “caverna” ideale dove progettare i loro piani malefici sotto il manto politico di un Busch, di un Xi Jinping, di un Ram Nath Kovind, di un Putin, (esseri antropocentrici, che manipolano miliardi di infelici su cui esercitano un potere assoluto, pernicioso, pericolosamente mortale) che, nonostante i lamenti e le piaghe delle loro genti, continuano imperterriti ad infierire contro la natura: uomini di argilla, dal cervello starato, “masanielli” convinti di essere “grandi”, perfetti, “positivi”, (virgolettato per la genericità del termine) che non hanno dubbi, pur sapendo che l’optimum, l’uomo perfetto, è un ideale ben lungi dall’essersi formato. Individui che tuttora si rifiutano di convertire i loro paesi all’uso dell’energia green, sostenibile; che, come Nerone, provano piacere di vedere milioni di ettari di boschi ardere e miliardi di animali di ogni specie perire.
Come precisato nell’incipit, in questi lunghi mesi abbiamo parlato un po’ di tutto: riapertura scuole, tamponi, banchi, mascherine, distanziamenti, meticolose lavate di mani, termometri, smartworking e lockdown: inglesismi entrati prepotentemente nel nostro linguaggio comune, così come è entrato nel nostro quotidiano l’uso del termometro. Sì, del termometro, quell’oggetto che, all’entrata dei supermarket, ti puntano improvvisamente sulla fronte per attingere notizie sulla temperatura corporea; che costringe i più piccoli ad aggrapparsi alle gambe delle madri per mitigare la paura. Uno strumento importante, un “misuratore di febbre” nato dall’intelligenza di Filone di Brianzo (280-220 a.C.), attivo scienziato della Biblioteca di Alessandria, e di SEBASTIANO BARTOLI, Montellese, figlio di Andrea e Vittoria Goglia che venne alla luce, nella nostra Irpinia, in una fredda domenica di Gennaio 1630.
Bartoli, amico fedele di Leonardo Di Capua, (Bagnolese, soprannominato il “Socrate vivente” per le sue altissime qualità di novatore, di medico e promulgatore di novità filosofico-scientifiche, con particolare riguardo al metodo sperimentale propugnato da Galileo Galilei), nobile figura di gentiluomo dotto, studiò a Napoli filosofia, matematica e medicina, tanto da diventare lettore di medicina dell’Università Partenopea, nella quale migliorò gli studi anatomici. Fu medico del Vicerè Marchese d’Arena, concorse alla fondazione dell’Accademia degli Investiganti, capeggiata dal Di Capua, di cui fu tra i soci più illustri, del calibro di Giambattista Vico, Giulio Acciani (famoso poeta satirico bagnolese) Salvator Rosa e Tommaso Campanella. Lui, riesaminando il “termoscopio” di Galileo Galilei, migliorò lo stesso utilizzandolo soprattutto nelle ricerche delle acque termali come si evince dalle pubblicazioni: “Breve ragguaglio dei bagni di Pozzuoli investigati per ordine di Don Pietro Antonio d’Aragona” e “Thermologia Aragonia sine Historia Naturalis Thermarum in Occidentali Campaniae”, studi che hanno formato le basi che conducono, senza ombra di dubbio, al termometro al mercurio (abolito il 3 aprile 2009) e, quindi, a quello al galistano a raggi infrarossi, in uso negli ospedali di mezzo mondo.
Erano tempi in cui l’amicizia era sacra e il senso del rispetto della persona umana non aveva limiti. Oggi non più. Tra Bagnolesi e Montellesi, scorre un sottile filo di idiosincrasia e spesso, a rafforzarla, sono i comportamenti insensati di alcuni amministratori comunali che, come capitato ultimamente in occasione della positività da Covid di una signora di Bagnoli, rientrata da Milano, invitò pubblicamente i Bagnolesi a mantenersi alla larga da Montella. Cosa che non avremmo mai fatto, NOI, anche in presenza di acclarati casi del menzionato morbo nel territorio di montellese.
E, ritornando a quella specie di ostracismo verbale, insisto nel ribadire che la presenza dei Bagnolesi nei mercati rionali di Montella, negli studi dentistici, nelle agenzie assicurative, nelle filiali bancarie, nei laboratori ottici, nelle officine meccaniche e di carrozzeria, nelle lavanderie, nelle farmacie, nelle agenzie immobiliari, nei negozi e nelle aree dei grandi magazzini che insistono sul posto e, (dopo la grattata di prammatica.….) nelle agenzie di pompe funebri, le cui attività, per la pluralità dei servizi e per l’intraprendenza degli operatori, fanno di Montella una importante cittadina commerciale) sono vettori, passi significanti, che smuovono sensibilmente l’economia della comunità! E, un buon amministratore, queste cose dovrebbe saperle. Comportamenti, che fanno rimpiangere il defunto Dott. Rosario Cianciulli, uomo dalla struttura culturale di ampio respiro: elemento imprescindibile della vita politica non solo di Montella, che lo ha visto più volte Sindaco, ma di tutti i paesi limitrofi, tra cui Bagnoli.
Oggi è venuto meno anche il senso della prossimità. Siamo vittime del denaro e dell’autoreferenzialità. C’è ancora qualcuno, in cerca di visibilità, cui spesso è aduso ripetere, con incredibile faccia tosta e disgustante sicumera, l’altezzoso interrogativo che recita: “Ma lo sai chi sono io?” uccidendo, così, anche quel poco di buono che ancora vegeta nella sua mentalità dissestata, esaltata, da narcisista patologico che, rinsavendo, potrebbe ancora fare della persona un essere umano.
Ricordo, con commozione, quando il Rettore della Biblioteca della Basilica di San Lorenzo Maggiore di Napoli, Fra Giovanni RECUPIDO, Montellese, si portava nel mio Ufficio della Regione Campania, dove ero dirigente del Settore Contabilità dell’Assessorato all’Istruzione e Cultura, per provvigioni finanziarie da impegnare negli scavi del sottosuolo della menzionata Basilica e per varie attività culturali di respiro interregionale da Lui dirette, ci salutavamo con epiteti apparentemente placcati di astio, piuttosto offensivi, ma carichi di empatia che incuriosivano, per il linguaggio, anche i miei subalterni: “Ciao, ciaciavu re Vagnulu” e, di rimando: “Bentornato, faccistuortu r’ Montella” a cui faceva seguito un caloroso abbraccio. Altrettanto dicasi di Aurelio Fierro, quando si muoveva per contributi finanziari da dedicare ai concerti estivi, che mi proiettava sul viso, in forma zumata, quel suo incoraggiante sorriso e quando, nell’eloquio, faceva stridere la “erre” del “montellese verace”, che per me significava “Terra mia”, mi faceva vivere in famiglia il cordiale incontro.
Gran bella persona, Aurelio.
Siate buoni, Montellesi: ricredetevi! E, celiando, nell’indirizzare, volutamente, su strade sbagliate i turisti della domenica diretti a Laceno, consigliate loro, senza commettere cattiverie, l’uso del navigatore satellitare.
Laceno è anche vostro. Come è nostro il meraviglioso spettacolo della cordigliera dell’Acellica, il Convento di San Francesco e tante altre bellezze di cui Montella è gravida.
Antonio Cella