“Nel mezzo del cammin di nostra vita…
mi ritrovai per un borgo oscuro…
che la dritta via avea smarrita…
E per trattar del mal ch’io vi trovai…
dirò de l’altre cose ch’io v’ho scorte…”…
Così scrivea, qualche tempo fa, un narrator ramingo…capitato per caso in un piccolo e placido paesello, di nome “Progettopoli” (ahia…!!), alle pendici di monti boscosi e rigogliosi.
Racconta che ivi regnasse una bella donzelletta di nome “Biancapelli”…che presiedeva il Gran Consiglio dei “Sette Nani”…, tutti messi lì a occupar gli scranni del Palazzo sotto il simbol “Progetti per il paesello” (mai nome fu più azzeccato…).
Biancapelli pare dovesse il nome alla folgorante tinta della folta chioma che l’avvolgea e nascondea il capo. Sui Sette Nani non v’era molto da narrar: brava gente e gran lavoratori – dice – ma non avean voce in capitolo, messi lì solo in bella mostra a coprir lo volto ai “senza volto” e ad assecondar dettami di Biancapelli, unica fra costoro a tener banco, ma sol perché reggente di corona.
Invero, più che Biancapelli e codesti Sette Nani, a tener fila del paesello era piuttosto un manipolo di equivoci figuri, di virtude camaleontica ed affaristica, ben noti e sgamati da tutto il circondario.
Codesti “camaleonti senza volto” (alcuni in passato pure già regnanti del paesello) per coltivar affari e potestate avean bisogno di tenere in mano lo polso della situazione, guardandosi, però, ben dal comparir in prima persona (chi per meglio affareggiar… chi perché già sgamato e fatto troppo danno…).
V’era, inoltre, da sistemar incresciosa faccenda di vecchia funicolar…che trasportava i Nani su pei monti a lavorar…, vicenda codesta assai intricata, sulla quale aleggiava pure gran puzzo di bruciato e grosso imbroglio, che parea coinvolgere anche vecchi reggenti e lor fedel corte all’epoca regnante…
E poi c’era anco da sistemar grossa finanza per aggiustar codesta funicolar…, su cui il “manipolo di camaleonti”, accorto e interessato, vi avea fatto pensierino e non volea lasciar sfuggir lauta occasione per incrementar affari e coglier buon bottino…
Per tutte tal ragioni, trovato presto appoggio di vecchi compagni di passata reggenza, pur essi preoccupati di veder scoperti intrighi, tutti insieme, camaleonti e lor fedel corte, si eran uniti ed adoprati per spodestar vecchio sovrano (che stea scoprendo e mettendo in luce imbrogli ed intrallazzi…) e sostituirlo con sovrano più asservito e accomodante, che agevolasse lor imbrogliar le acque e far svanir cartame compromettente e periglioso… e anco favorir servigi per arricchir malloppo!
A tal bisogna eran tornati comodi e si eran serviti di Biancapelli e i Sette Nani, cui, per sfamar gran brama di popolarità, i “camaleonti” avean concesso lustro di presenziar il Gran Consiglio. Ma era solo tutta apparenza…
A presidiar e governar le stanze del Palazzo stavan, invero, sempre loro: “Archimede Progettorico” (ingegnoso esperto di progetti, disegni e calcoli…col vezzo, pure, di abominevole e vomitevole poetar…) e “Lupo Mannaro” (logorroico azzeccagarbugli dall’incessante e logorante ululato…, con trascorsi nel Palazzo, già sloggiato per la porta principale…e, con burocratico artifizio, fattovi ora riaccomodar per la finestra…). I due marrani, in barba agli ingenui Sette Nani, si districavan e agivan indisturbati fra carte e uffici del Palazzo, intenti a scartabellar scartoffie, delibere e progetti, per sanar inghippi propri…(e nella speranza, magari, scovar inghippi altrui…) e anco magheggiar propri copiosi e prosperosi affari. Il tutto sotto l’accorta e vigile supervisione occulta dei due gran consiglieri di corte, gli inossidabili e onnipresenti “Gobbicino”…e “Grullo Scrivente”…, due minuti figuri, in perenne (apparente) lotta fra loro, ma, in realtà, di stessa pasta e sempre pronti a strizzarsi occhio quando c’era da spartir torte e potestate.
Gobbicino, che pare dovesse questo nomignolo al suo incedere ciondolante ed ingobbito, inconfondibile nella moltitudine, era molto ambito da ingenui, creduloni e anco affaristi, sempre pronti a carezzarlo e riverirlo, credendo e riponendo tanta speme e fede nelle virtù magiche e miracolose della sua prominenza.
Grullo Scrivente era così chiamato per la sua rinomata inclinazione a menar di penna e calamaio, fonte di cospicua produzione letteraria, ben diffusa anco oltre confine, e anco giornalistica. Pare fosse apprezzato maestro di diverse scole sparse nel circondario, dove si formavan e forgiavan fanciulli e giovincelli… (e anco qualche adulto…). E per questi suoi molteplici, importanti e quotidiani impegni, i più si dimandavan, invero, dove trovasse tutto il tempo per inchiostrare a piè sospinto, oltre il buon librame, anche tutto il popò di articolame. Si dice pure ch’ei stravvedesse pel color purpureo… e, se contrastato, era solito avventarsi di gran furia, puntando corna come bovino infilzato, contro il fellon di turno che, impertinente, avesse osato strapazzar bandier scarlatta!
Pur apparendo tutto scorrer liscio come olio e tutti andar d’amor e d’accordo, il narrator racconta come, in realtà, il paesello vivesse in perenne gran subbuglio. La stessa corona di Biancapelli pare fosse alquanto ambita e contesa, insidiata da pretendenti al trono insofferenti e poco inclini al suo volere. Si dice stesse addirittura chi, al riparo da occhi indiscreti, con speranza e intento di veder prevaler la propria fama, si aggirasse fra le mura di un vecchio maniero…, interrogando ogni dì a un magico specchio chi fosse prediletta al popolame: “Specchio…specchio…de ‘sto castello… chi è la più bella e amata del paesello??”… E Biancapelli indispettita pare facesse il paio fra le mura di monastero, interrogando magica sfera per svelar e batter concorrenza: “Palla…palla…de ‘sto convento… chi osa rivaleggiar col mio bel mento..??”…
A spegner foco e tener a bada ogni burrasca, ci pensavan, però, sempre loro, i “camaleonti” (detti anco “regnanti-ombra”…), che, per salvaguardar privilegi e potestate, ordinavan a Biancapelli e ai Sette Nani di serrar fila e stare cheti, senza alzar di testa, minacciando lor che il litigio potea privar poltrone, fama e ricompense.
Biancapelli, in verità, non avea alcuna intenzione di alzar di testa. Lungi da lei lasciar lo scettro e abdicar! Lo trono, infatti, le fruttava buon compenso, col quale si dilettava a girar lo mondo e far bella vita. Per tal ragione, pur con qualche cruccio, indispettita da oltraggi e scontri, si guardava ben dal mollar l’ambito e lauto osso. E, senza batter ciglio, acconsentiva docilmente e fedelmente a ogni comanda dei suoi patron “regnanti-ombra”, che scaltramente le avean concesso d’intascar buona paghetta.
Così, mentre Biancapelli giromondava lieta e spensierata, a godersi vita e gioventude coi soldi e stenti del popolame, i Sette Nani, soli, afflitti e sconsolati, stavan inermi alla mercè di magheggi e loschi intrighi dei lor regnanti-ombra, che, beati e sghignazzanti, continuavan a tesser tela per curar affari e riempir forzieri.
“E, silente e rassegnato, restava il popolame…
che continuava a pagar fiorini e dazi…
per ingrassar siffatto lurido porcame!”
Or giunti a questo punto, si interrompe la narrazione. Ma solo pel momento, però, avverte il narrator! Perché, come dicea un tale arguto d’intelletto: “E’ sbagliato raccontar favole ai bambini per ingannarli… Bisogna raccontarle ai grandi…per consolarli!”.
Mike Nigro
P.S.: Fatti, vicende, luoghi e personaggi citati sono, ovviamente, del tutto casuali e frutto solo di scellerata fantasia.
(da Fuori dalla Rete, Novembre 2020, anno XIV, n. 5)