Per sabato Primo Maggio 1867 fu organizzata, a Chicago, una grande manifestazione operaia a sostegno della richiesta, all’epoca diffusa in tutto il mondo, della riduzione a otto ore dell’orario di lavoro. Parteciparono 80 mila persone e tutto si svolse pacificamente. Il lunedì ed il martedì successivo le manifestazioni e gli scioperi ripresero in larga parte degli Stati Uniti. Allora intervenne la Polizia, vi furono scontri, bombe e addirittura cannonate. Alla fine si contarono 21 morti e numerosissimi feriti.
Da allora il Primo Maggio diventò una giornata di sciopero, per riaffermare il diritto ad un lavoro più umano. Anni dopo diventò la festa dei lavoratori, per ricordare i “martiri di Chicago”.
Oggi è una giornata di riposo e di festa. La lotta per le otto ore (“Otto ore di lavoro, otto di svago, otto per dormire”, era a quei tempi lo slogan) è un ricordo lontano. Ma lontana è anche la memoria del perché si festeggi il Primo Maggio, che invece occorre avere ben presente. Tenendo nel debito conto che ogni diritto, per quanto possa sembrarci naturalmente acquisito, è il risultato di lotte durate anni e costate anche sangue.
Buon Primo Maggio, dunque. A tutti.
O quasi.
Non riesco, infatti, a fare gli auguri a quanti, se si fossero trovati a Chicago in quei giorni di un secolo e mezzo fa, avrebbero approvato gli spari contro gli operai e, magari, lo farebbero anche oggi. A quanti avrebbero difeso l’ordine costituito, bollando come irrealizzabili, irresponsabili, insostenibili (e anarchiche) le richieste dei lavoratori.
Niente buona Festa del Lavoro, per queste persone. Anche perché, per coerenza, oggi dovrebbero andare a lavorare…
Luciano Arciuolo