“È un vero peccato che questo mestiere stia scomparendo. Ma non si può competere con la concorrenza dell’industria. Tuttavia, non perdo la speranza che questo mestiere possa ritornare all’antico splendore”. Così si racconta Lorenzo Capozzi, ottantasettenne di Bagnoli, Calzolaio.
L’INTERVISTA
Come ha imparato questo mestiere?
Ho frequentato la bottega di un altro calzolaio per cinque anni dal 1952 al 1957. Nel novembre del 1958 ho aperto la mia personale bottega in piazza Leonardo Di Capua, bei pressi della chiesa di Santa Margherita di Bagnoli Irpino. Qui ho lavorato fino al 1993, quando sono andato in pensione.
Perché ha scelto di fare il calzolaio?
La mia non era una famiglia agiata e non poteva permettersi di mandare i figli a scuola. Le uniche alternative erano lavorare nei campi o imparare un mestiere. In passato il calzolaio era uno dei mestieri più redditizi, quindi si poteva contribuire notevolmente all’economia familiare. A quei tempi non esistevano negozi di scarpe, erano solo i calzolai a svolgere questo lavoro. Se poi consideriamo che ogni famiglia era composta da tante persone si ricorreva continuamente al calzolaio per farsi fare un paio di scarpe o per farle riparare.
A Bagnoli c’erano molti calzolai?
Negli anni cinquanta c’erano tredici, quattordici botteghe.
Qual è il primo lavoro che ha realizzato?
Ricordo di aver realizzato un paio di sandaletti per una bambina, per poi iniziare la mia produzione di scarpe di ogni specie.
C’è differenza fra calzolaio e ciabattino?
Certo ed è sostanziale, il calzolaio costruisce le scarpe nuove, partendo dal materiale, le disegna, le taglia, le cuce, le incolla, mentre il ciabattino effettua solo riparazioni.
Che attrezzi si usano per realizzare un paio di scarpe?
La pinza, “l’assuglia”, (lesina) che serviva per fare i buchi ove veniva passato il ferro con lo spago e si cuciva la “chiantella”, (suola) al “guardione”, (tomaia). Altro attrezzo molto usato era la manopola che era una striscia di pelle a forma di mezzo guanto, usata per fasciarsi la mano sinistra dove si avvolgeva lo spago che si utilizzava per cucire la suola. Poi c’è il martello da calzolaio che ha una testa bombata e ben liscia che si usava per battere il cuoio e per introdurre le “centre” chiodi, mentre l’altra parte serviva per far aderire la suola al tomaio, poi la raspa veniva utilizzata per sgrossare. Inoltre il “catino” per lisciare, che era del vetro sottile, infine la “forma” che è un pezzo di legno che ha la forma del piede che era la base d’appoggio dove si cuciva la scarpa; inoltre c’erano la tenaglia, la morsa e il piede di porco.
Come si realizzava una scarpa?
Si misurava la pianta del piede, dalla punta alla caviglia, poi si misuravano: l’altezza del collo del piede e la circonferenza sopra la caviglia. Si utilizzava per tagliare i pezzi una lamina affilatissima che si chiamava trincetto, i chiodi che si usavano sopra le “semenzelle” e le “centrelle”. Poi si sceglieva la forma e si iniziava a realizzare il fondo, poi si cuciva la parte alta che era la tomaia. Questi pezzi me li preparavo e li tenevo numerati, così all’occorrenza risparmiavo tempo per realizzare un paio di scarpe.
Come si prendevano le misure?
Con il centimetro. Le scarpe realizzate da un calzolaio erano un pezzo unico nato per quel piede in base alle sue caratteristiche. La misurazione avveniva con grande attenzione, dalla pianta alla larghezza del collo del piede.
A cosa servivano le “centrelle”?
Le “centrelle” erano dei chiodi a forma piramidale a testa larga che si mettevano sotto le scarpe in modo da proteggere la suola dal contatto con il suolo così si consumavano le “centrelle” e restava intatta la suola. Sempre a protezione delle suole si usavano i sopratacchi che erano delle mezze lune sempre di metallo e le “puntelle” a forma triangolare sempre metalliche, che si posizionavano sulla punta delle scarpe per evitare il rapido consumo.
Che tipi di scarpe venivano richieste maggiormente?
Il paese aveva una vocazione agricola, quindi la richiesta era soprattutto di scarpe da utilizzare nel lavoro dei campi. Ma mi venivano anche commissionati “sandaletti” per bambini. Negli anni ’50 la maggior parte delle persone avevano un solo paio di scarpe tranne le famiglie più agiate. Realizzavo tutti i tipi di calzature, sia da lavoro che da passeggio: gli scarpini. All’interno, nella parte posteriore, si sistemava una strisciolina di cuoio da renderlo più resistenze, quello che era chiamato il forte.
C’ è differenza tra le scarpe da donna e da uomini?
Certamente, quelle da donna erano più alte, un poco di tacco, mentre quelle da uomo cambiava un poco la tomaia ed erano più basse.
Utilizzava molto cuoio?
Si era un materiale molto usato, non come oggi che si usa la plastica. Erno tutti materiali di prima scelta.
Negli ultimi anni cosa è cambiato in questo mestiere?
Io non ho cambiato niente. Ho continuato a lavorare il cuoio senza fare ricorso a questi nuovi materiali che sono dannosi per i piedi poiché non li fanno traspirare.
Quanto costava un paio di scarpe?
Costava otto – dieci mila lire per le scarpe comuni, salvo richieste materiali particolari. In quel caso il prezzo saliva. Ci impiegavo due giorni per un paio di scarpe, se poi erano richiesti accorgimenti particolari ci voleva di più.
Perché il mestiere del calzolaio sta scomparendo?
Fare le scarpe a mano richiede tempo e quindi costa. Mentre oggi al mercato è possibile comprare calzature molto economiche. Ecco perché qui a Bagnoli sono finiti i calzolai, ma credo non solo qua.
Non ha insegnato a nessuno questo mestiere?
Avrei voluto insegnare a qualche giovane ma non ci sono riuscito, né ho avuto richieste. Sarebbe bello che un giorno si tornasse ad apprezzare il lavoro artigianale.
Quotidiano del Sud 26.02.2022 – Pellegrino La Bruna