Il tema non è più un tabù già da diverso tempo, ma ora un nuovo studio rilancia l’ipotesi: il Covid-19 potrebbe aver avuto origine in un laboratorio”. La suggestione sul patogeno che ha tenuto sotto scacco il mondo con la pandemia arriva da una ricerca condotta dall’University of New South Wales, in Australia, pubblicato sulla rivista ‘Risk Analysis’. Gli autori spiegano che i risultati del loro lavoro indicano come “più probabile un’origine innaturale” del virus rispetto a “un’origine naturale”.
Anni di dibattito sull’origine
Il nodo di quale sia stata la ‘scintilla’ della pandemia che ha tenuto sotto scacco il mondo intero negli scorsi anni è molto dibattuto da sempre. Nel tempo si sono susseguite indagini, relazioni di commissioni di esperti, pubblicazioni scientifiche mirate a sciogliere il rebus dell’ospite intermedio che, in caso di un’origine naturale, potrebbe aver portato Sars-CoV-2 fino all’uomo. Ma sono stati diversi anche i lavori di scienziati che hanno sollevato dubbi e ipotizzato manipolazioni dell’uomo sul virus e fuga dal laboratorio.
Lo strumento di analisi del rischio
Mentre la maggior parte degli studi si è concentrata su un’origine zoonotica – spiegano gli esperti – questa ricerca ha esaminato l’altra faccia della medaglia, un prologo alternativo: la probabilità di un’origine innaturale, cioè da un laboratorio. Gli scienziati hanno utilizzato quello che definiscono” uno strumento consolidato di analisi del rischio” per differenziare le epidemie naturali da quelle innaturali. Questo strumento di valutazione si chiama Grunow-Finke modificato (mGft) e gli autori lo hanno usato per studiare l’origine di Covid. Ma ancora prima, in un lavoro precedente, avevano fatto ricorso a questo sistema per valutare l’origine di un altro coronavirus: Mers-CoV in Arabia Saudita (primo autore Xin Chen, uno dei ricercatori che si è occupato anche di questo lavoro scientifico su Covid). Anche nel caso della Mers l’esito dell’analisi era stato “alta probabilità di origine innaturale”.
Il parere degli esperti
Pasquale Ferrante
Lo studio “non usa strumenti biologici” per esaminare il virus e arrivare a questa ipotesi, “ma utilizza soltanto strumenti di natura informatica, con delle analisi estremamente sofisticate”, evidenzia il virologo Pasquale Ferrante. “Credo – riflette il professore di Microbiologia dell’università degli Studi di Milano – che tutti abbiamo il diritto di proporre ipotesi. E un rischio come quello prospettato riesco a capire che ci possa essere in una zona come la Cina in cui lavoravano tantissimo anche in laboratori con i pipistrelli, con i virus. Rispetto tutto quello che viene scritto, ma credo che questa” analisi “per il momento può essere accantonata come qualcosa che ha bisogno di altri supporti”, di altre prove, “prima di dire che rivoluziona le attuali conoscenze sulla genesi di Sars-CoV-2”.
Maria Rita Gismondo
Il virus di Covid potrebbe essere nato in laboratorio? “Lo dico dal 2020 e prima o poi la verità verrà fuori”. Maria Rita Gismondo, direttrice del Laboratorio di microbiologia clinica, virologia e diagnostica delle bioemergenze dell’ospedale Sacco di Milano, non ha dubbi sull’ipotesi avanzata nello studio. Per Gismondo hanno ragione. “Nel 2020 – ricorda – poco dopo lo scoppio della pandemia, tra tante reticenze del governo cinese e l’Organizzazione mondiale della sanità che copriva il loro silenzio, già sorgevano dubbi sul fatto che questo virus potesse essere un virus naturale, per tantissime caratteristiche” che presenta il patogeno “e soprattutto perché non si è mai trovato l’ospite intermedio né il serbatoio naturale”. Non solo. La microbiologa fa riferimento anche a “un lavoro condotto da un gruppo di ricercatori indiani, apparso nel 2020 e ritirato dopo neanche una settimana, che spiegava come la sequenza del virus Sars-CoV-2 fosse del tutto innaturale, sembrando più un puzzle di pezzi di geni di altri virus, con addirittura anche un pezzetto di gene del virus Hiv e di un gene umano. Dopo il misterioso ritiro, di quello studio non si è più parlato e i ricercatori indiani sono spariti nel nulla”. “Personalmente – sottolinea Gismondo – io ho continuato più volte a sostenere la teoria del virus ‘scappato’ dal laboratorio, anche perché il laboratorio di Wuhan”, la megalopoli cinese primo epicentro della pandemia di Covid, “struttura che ho anche visitato, è un laboratorio di quarto livello” di biosicurezza, “affidato a tecnici che vi lavorano senza avere una grandissima esperienza”. Un contesto dove “l’incidente biologico è dietro l’angolo. Alla fine, nel tempo – ripete l’esperta – la verità viene a galla. Anzi sta già emergendo a più riprese, perché anche altri gruppi di ricerca hanno portato prove alla tesi del virus di laboratorio. Il virus Sars-CoV-2 – è certa Gismondo – sicuramente non è un virus naturale”.
Pier Luigi Loparco
Una conclusione, quella del virus innaturale, che non convince l’epidemiologo Pier Luigi Lopalco, docente di Igiene all’università del Salento. “Lo studio in questione non porta alcuna prova, ma utilizza un metodo in base al quale ‘non si può escludere’ l’origine artificiale del virus”, spiega all’Adnkronos Salute. “Se mettiamo insieme tutti gli studi condotti finora sul tema, l’origine naturale del virus resta ancora la più avvalorata”, conclude.
Matteo Bassetti
“Quando vedrò il lavoro con i dati scientifici a comprova di quanto oggi hanno ‘spoilerato’ i colleghi, lo commenterò -commenta l’infettivologo Matteo Bassetti –. Vediamo che cosa c’è di dati, ma per il momento mi pare che si sostenga che questo virus fosse presente in aree molto vicino a Wuhan anni prima. Vediamo l’articolo pubblicato, ma in genere sono scettico rispetto a chi annuncia uno studio mentre lo sta pubblicando. Ci sono tante considerazioni da fare su questo argomento”.
Giorgio Palù
Non scarta invece l’ipotesi il virologo Giorgio Palù. “Non mi sorprende per nulla che uno studio arrivi alla conclusione che Covid-19 può aver avuto un’origine innaturale. Ci sono anche metodi più diretti”, rispetto a quelli utilizzati dagli autori dell’ultimo lavoro scientifico uscito oggi, “per mostrare la possibilità o ipotizzare che possa esserci un’origine non naturale. Non parliamo mai di certezza, va precisato. Ma ci sono tante evidenze dirette e indirette che possono farlo pensare”. Il virologo Giorgio Palù fra l’altro non ha mai nascosto il suo pensiero. Anzi ha firmato uno studio, pubblicato a febbraio 2022 su ‘Frontiers in Virology’, in cui si focalizza su alcuni aspetti insoliti della struttura del virus Sars-CoV-2. “Ci sono almeno due elementi che fanno pensare”, illustra l’esperto, commenta sempre all’Adnkronos Salute l’analisi pubblicata da un gruppo di ricercatori dell’University of New South Wales, Sydney (Australia), A far riflettere Palù è in particolare “un’inserzione di 17-20 nucleotidi nel sito di clivaggio della furina, che è unica tra tutti i sarbecovirus e che facilita la diffusione da uomo a uomo. Questa inserzione nucleotidica si è trovata in tutte le sotto varianti Covid, da Wuhan in avanti – osserva – è un vantaggio selettivo che è conferito. In termini darwiniani, il virus ha avuto necessità di questo inserimento. Ovviamente, se uno manipola” un patogeno, “con le tecniche che si usavano fino a qualche anno fa si trova una traccia della manipolazione genetica. In questo caso non c’è traccia”. “D’altronde – aggiunge però Palù – non ci vuole molto perché un virus, anche animale, si adatti. Dico animale perché per il 98% la sequenza” di Sars-CoV-2 “è identica a quella di un virus del pipistrello che si chiama RaTG13, però sono pochissime le modifiche che servono a fargli fare il salto di specie e a renderlo più trasmissibile da uomo a uomo. Addirittura nei modelli animali questo inserimento nel sito di clivaggio della furina a livello della proteina di superficie S è un guadagno di funzione essenziale per la diffusione”. E l’inserimento in questione, afferma il virologo, “non occorre farlo geneticamente: se un virus del pipistrello lo si costringe a crescere su cellule umane per diversi passaggi, questa cosa può succedere. E’ già avvenuta con i virus dell’influenza”.