Originario di Bagnoli, è oggi giornalista Agi in terra lombarda, dopo un’esperienza come inviato dalla Nigeria. “L’uomo di montagna è migrante. Ma Bagnoli è sempre casa per me”.
Danilo Di Mita, classe 1975, migrante di origine bagnolese e giornalista dell’AGI (Agenzia Giornalistica Italia), lo incontro a Milano, in una via defilata tra i Navigli seduto con sua moglie Gisella, anche lei giornalista, a godersi una bella birra. Si parla di scrittura, di ricerca, di ambizione; pare siano queste le parole magiche celate nei cuori dei veri giornalisti.
«Danilo è sempre stato mosso dalle passioni, si applica nelle cose che gli piacciono, non in altro», commenta scherzando Gisella. «Difatti» aggiunge Danilo «dopo un’interessante, ma decisamente negativa,esperienza alla facoltà di giurisprudenza di Fisciano, decisi di iscrivermi a lettere. Furono anni bellissimi, superavo gli esami con ottimi voti, ero consigliere di facoltà e in più ebbi l’opportunità di partecipare ai primi Erasmus, vincendo una borsa di studio per Granada. Quando tornai e completai gli studi ebbi una borsa di studio ad personam per tornare in Andalusia e svolgere una tesi di ricerca intitolata Nazionalismi nella penisola iberica e casi catalano, basco e andaluso. Amavo la geografia, e fu proprio il professore Monti, docente di geografia che, captando in me capacità uniche, mi incoraggiò in questa ricerca ».
Il periodo di incertezze e perplessità post-universitario c’è per tutti, persino per chi ha passioni e idee ben precise, e anche per Danilo è stato così. «Dopo l’università ho viaggiato, sono stato 4 mesi in Irlanda, poi non potendo più rinviare ho fatto un anno militare nei Carabinieri. Ho scelto di fare l’anno di leva obbligatoria nell’Arma anche se durava 3 mesi in più rispetto a quello militare, perché volevo conoscere a fondo quello che facevo. Il percorso naturale sarebbe stato quello di insegnare, mi sarebbe piaciuto molto e tutt’ora mi piacerebbe. Ma per una mia ambizione, oltre che per un’ancora acerba passione, vedevo aperta dinnanzi a me la possibilità teorica di fare il giornalista. Mi informai sulle varie scuole e mi presentai ai vari colloqui di ammissione, superavo con facilità le prove legate alla scrittura, ma essendo estraneo a quel mondo, non mi riusciva facile allo stesso modo passare la parte orale. Riuscii ad entrare alla Cattolica nel 2002, e venni ad abitare a Milano. La Milano del 2002 era completamente diversa da quella che conosciamo oggi. Milano è sempre stata una città molto dinamica, camaleontica, che muta sempre, spesso lentamente, ma in alcune fasi come quella che viviamo adesso i cambiamenti sono radicali e veloci. Il cambio radicale c’è stato nel 2015 con EXPO, la città è diventata molto più sexy, attraente, “cool” agli occhi degli stranieri, insomma di moda, come è giusto che sia. E questo cambiamento velocissimo conferma una caratteristica che è sempre appartenuta a Milano: è una città che ospita e che da opportunità, che però esige, è molto accogliente per chi si dedica… se dai tanto e ti impegni l’opportunità te la offre. Dalle nostre parti ci sono meno possibilità, non è detto che anche impegnandosi si creino occasioni. Bagnoli è un piccolo centro, ma se si vuole fare un paragone, a parità di capacità e di impegno, Napoli non offre le stesse opportunità».
«Se ripenso alle mie origini non posso non pensare che Bagnoli è casa, Bagnoli è famiglia, oggi è riposo, è tranquillità, oggi è il posto in cui ci si sente più se stessi, in cui uno è più spontaneo e naturale. Non sono in cattivi rapporti con Bagnoli, sono andato via con nostalgia ma non con rancore, semplicemente me ne sono andato per coltivare un’ambizione, e oggi sono fortunato perché faccio quello che mi piace, in un posto che mi permette di fare il mio lavoro nel migliore dei modi».
Gisella, da maestra del mestiere, incalza Danilo per continuare il racconto sulla sua vita a Milano.
«Dopo due anni, queste scuole di giornalismo, ti mettono in contatto con degli stage, io scelsi quello in AGI». «Ed ebbe grande intuito!» commenta la moglie, che l’ha conosciuto ai tempi della scuola «a quell’età e in quel momento è difficile capire l’importanza delle agenzie di stampa se non si è già dentro. AGI poi rappresenta la forma più pura e sacra di giornalismo, perché le informazioni e le notizie nascono tutte da lì, ed è anche forse la forma più mortificante, perché non hai la firma».
«Effettivamente» riprende Danilo «scelsi AGI perché volevo fare delle esperienze il più formativo possibile per poter acquisire le competenze. Anche qui volevo imparare al meglio. Piacqui all’AGI e così dopo due anni di precariato sono stato assunto. L’esperienza più significativa di quegli anni è stato fare il corrispondente dalla Nigeria, partì nel febbraio del 2009 e tornai in Italia a giugno 2013. Per 5 anni ho raccontato quanto accadeva nell’Africa Nera, tra colpi di stato, bombe, povertà e potenzialità inespresse. È stato bellissimo, fare il giornalista dall’estero è davvero bello, è diverso, gratificante, rischioso. Chiaramente quest’esperienza mi fa essere grato alla mia agenzia, a questa città, ma anche grato alla scelta di andarmene, e soprattutto all’essere irpino, e poi ti dirò il perché».
La Nigeria presso cui Danilo faceva il corrispondente è la Nigeria posta sotto assedio da Boko Haram, un’associazione terroristica jihadista che ha sede nel profondo Nord della Nigeria e di cui Danilo ha intervistato il braccio destro. «Era un periodo in cui si parlava della Nigeria come non se ne era mai parlato prima, semplicemente perché qualcuno lo raccontava» racconta Gisella, che ha sempre cercato di condividere tutto e il più possibile con Danilo, «all’epoca Danilo era l’unico corrispondente italiano, queste cose rarissime oggi non capitano così “per caso”, ma io sono certa che Danilo ha mostrato di avere le qualità giuste per partire, come la sua mobilità e capacità di mettere radici ovunque e in poco tempo».
«Vedi» aggiunge Danilo «secondo me, questa volontà di muoversi è una caratteristica degli irpini. L’irpino, contrariamente a quanto si dica, si muove e sa mettere radici. Non so perché, banalmente la posizione geografica dell’Irpinia la rende un posto di passaggio, o forse le montagne che chiudono lo sguardo fanno venire voglia di guardare oltre, ma, secondo me, l’uomo di montagna è più migrante rispetto a un uomo di collina o di mare. Nonostante tutto, in un certo senso non me ne sono mai andato dalla mia terra, ho conservato attaccamenti e affetti, e ogni volta che torno è come se fossi partito il giorno prima. Rientrare stabilmente non potrei, mi piace quello che faccio e non potrei farlo altrove, forse da pensionato, se ci arrivo…!».
Quando chiedo a Danilo se ha paura di perdere momenti familiari, mi risponde dicendo: «Certo mi dispiace, ma non ho paura di perdere i momenti, perché i momenti comuni dell’infanzia e dell’adolescenza li abbiamo già vissuti insieme. E poi sono stato educato così, quando ero a Fisciano e dopo due settimane tornavo a casa, mia mamma mi diceva: “Ma che fai qua? Devi stare con i tuoi colleghi, è importante”».
Siamo ormai alla terza birra quando chiedo a Danilo se l’avessero mai apostrofato “terrone”, il suo viso rimane molto perplesso per un po’, e poi risponde: «In maniera offensiva, mai. In modo scherzoso e con confidenza sì, ma sono il primo che ci gioca, sempre con orgoglio. Anche perché le cose ormai si sono ribaltate e l’essere terrone è di tendenza! E poi io sono convinto delle nostre specificità e dei nostri difetti, è difficile che ci possano offendere: abbiamo un’educazione, una delicatezza, una gentilezza che loro, nella propria durezza e crudità, si sognano».
Roberta Bruno (Il Quotidiano del Sud del 28.04.2019)
DANILO DI MITA
IL QUOTIDIANO DEL SUD