I medici di famiglia e di continuità assistenziale hanno avuto un ruolo determinante, da protagonisti, durante tutta questa emergenza sanitaria, e lo hanno svolto a testa bassa, con professionalità e abnegazione, operosità e generosità, in doveroso silenzio e senza mai (inutilmente) polemizzare.
Hanno pagato un prezzo enorme, in termini di contagi e vite perdute a questa pandemia. Sono stati il primo contatto, il necessario filtro, tra i pazienti affetti da covid-19 ed il sistema sanitario nazionale. E lo hanno dovuto fare, soprattutto nella fase iniziale della pandemia, anche senza o con insufficienti dispositivi di protezione individuale.
Molti di noi solo adesso, forse tardivamente, stanno meglio comprendendo il loro insostituibile ruolo, la loro preziosa funzione di “Sentinelle” a salvaguardia della salute di ciascuno, della salute pubblica di tutti i cittadini.
Ed è (anche) per questo che abbiamo pensato fosse doverosa, oltre che utile per la comunità, un’intervista congiunta ai quattro medici di famiglia che esercitano la loro professione a Bagnoli: dr. Aniello Corso, dr. Domenico Corso, dr. Rolando Di Lucia, dr. Mario Di Mauro. Abbiamo dato voce ai “nostri” dottori, quelli con i quali quotidianamente ci rapportiamo, chiediamo assistenza e consigli, prendiamo volentieri un caffè insieme e/o condividiamo una passeggiata. E loro hanno accolto questo nostro invito con entusiasmo, ci hanno raccontato esperienze, emozioni, opinioni e quello che immaginano possa essere il “mondo dopo”. Ne è venuta fuori un’intervista davvero interessante. A ciascuno di loro va il ringraziamento dell’associazione PalazzoTenta39.
Buona lettura.
EMERGENZA CORONAVIRUS: Intervista ai medici bagnolesi di medicina generale
Dott. ROLANDO DI LUCIA
Da quando è iniziata l’emergenza Coronavirus cosa è cambiato per i medici di medicina generale e quali sono le difficoltà maggiori che riscontra in questo periodo?
E’ cambiata la gestione ambulatoriale. Ricevo tantissime telefonate al giorno e spesso è difficile rispondere e tutti. Valuto in base ai sintomi per eventuali visite a domicilio, e se sono di fronte a un caso sospetto di Coronavirus. In ambulatorio ricevo i pazienti previo appuntamento dopo contatti telefonici, per evitare anche le attese in sala di persone con possibili sintomi influenzali. Chiunque entra in ambulatorio deve indossare una mascherina. Possiamo dire che la tipologia di visita ambulatoriale è totalmente cambiata, e il 70% delle richieste vertono sul problema coronavirus.
Come funziona una visita ambulatoriale ai tempi del coronavirus? Si riesce tramite il triage telefonico a capire se il paziente che chiama sia affetto da una banale influenza stagionale o se invece si tratta di Covid19?
La visita ambulatoriale viene effettuata solo se non rinviabile e viene eseguita rispettando le regole di sicurezza, mantengo le distanze dove possibile, uso guanti monouso e disinfetto di volta in volta tutti i dispositivi che vengono utilizzati. Utilizzo mascherine sia quelle chirurgiche che quelle fp2 o fp3 a seconda delle situazioni, sostituendole tutti i giorni, e se possibile più volte al giorno. Per quanto riguarda la diagnosi tramite triage telefonico è difficile gestire telefonicamente una sintomatologia riferita, e decidere in poco tempo quali pazienti inviare in ospedale.
In queste settimane di emergenza sono aumentate le richieste di visite da parte dei suoi assistiti? Riceve chiamate o richieste di chiarimenti o rassicurazioni? Quali sono le sollecitazioni più comuni che le fanno?
Gestire il flusso di telefonate che si sono triplicate, così come fare da filtro per patologie simil influenzali, decidere in poco tempo chi ha bisogno di un intervento diagnostico o meno. Dobbiamo sempre chiedere se c’è stata qualche esposizione in zone a rischio o contatto con qualche caso sospetto di Coronavirus. Se ci contattano persone che possono essere casi sospetti di Covid-19 contattiamo il medico di igiene pubblica con il quale ci interfacciamo per confrontarci, tuttavia la linea telefonica spesso risulta occupata per ore. Diversamente, per i casi gravi attiviamo il 118, caso per caso, cercando di capire se possono rimanere a casa in isolamento fiduciario o devo andare in pronto soccorso. La gestione non è semplice perché tantissime persone hanno sintomi influenzali, e la diagnosi con i tamponi orofaringei viene riservata solo a chi ha sintomi importanti, o sintomi lievi ma è stato a contatto con persone positive.
Come hanno reagito i suoi pazienti al lockdown? Ha riscontrato casi di disturbi psichici dovuti alle ristrettezze a cui siamo sottoposti?
Sono stato contattato da alcuni pazienti con attacchi di panico. Sono persone che ho cercato di tranquillizzare e alle quali ho spiegato che devono stare a casa e che se in quel momento non hanno determinati sintomi non corrono rischi particolari.
Sono stati tanti, troppi, i sanitari che in Italia hanno perso la vita in questa battaglia. Sono più di 150 i medici deceduti (e questo numero purtroppo continua inesorabilmente a salire di giorno in giorno). L’impressione è che soprattutto all’inizio della pandemia, ci sia stata troppa confusione. Mancavano chiari e severi protocolli da seguire, non c’erano per tutti i sanitari sufficienti dispositivi di protezione. Cosa, secondo lei, non ha funzionato nel Servizio Sanitario Nazionale e nella Regia di Comando?
In un mondo globalizzato non era difficile prevedere che il Coronavirus sarebbe arrivato anche in Italia. C’è stata una finestra di opportunità tra la scoperta del virus in Cina e la sua comparsa in Italia, un’opportunità formidabile per organizzare al meglio la risposta, evitando di farci trovare impreparati. La responsabilità di quanto accaduto non può essere semplicemente scaricata sui singoli medici ed operatori sanitari ma vanno soprattutto ricercate nei vertici delle Regioni e nei direttori generali delle varie ASL e dei vari ospedali verificando se hanno programmato ed attivato quanto previsto dalla normativa nazionale ed internazionale e quanto è stato investito in questo ambito. I servizi di prevenzione sono ridotti al minimo, i pronto soccorsi sono quasi tutti in condizioni fortemente critiche, i medici di base scarseggiano, gli ambulatori territoriali vengono ridotti di numero mese dopo mese. Oggi un sistema sanitario che ignora la prevenzione, che non coinvolge la popolazione nella tutela della propria salute individuale e collettiva mostra il suo tallone d’Achille di fronte ad una nuova patologia infettiva di facile trasmissibilità.
Alla fine di questa emergenza sanitaria, nulla sarà più come prima. Tante cose cambieranno: dal lavoro, alle relazioni sociali, al tempo libero. Lei come immagina il prossimo futuro?
Da quando è scoppiata l’emergenza Covid-19, che ci ha costretti a modificare radicalmente le nostre abitudini, si sono inseriti nelle nostre vite alcuni comportamenti destinati a rimanere a lungo, anche quando non ci sarà più vietato di uscire di casa, di andare al lavoro o a scuola, di riprendere la vita sociale. Se c’è una cosa che l’emergenza coronavirus ha fatto scoprire (o meglio, riscoprire) agli italiani è l’enorme potenziale della tecnologia per non fermare del tutto il Paese. Da qualche settimana è entrato nel nostro linguaggio quotidiano il termine «smart working», per definire quello che comunemente veniva chiamato «telelavoro». Le aziende ed i lavoratori ancorati ai vecchi sistemi sono stati costretti a sperimentare in questo periodo un meccanismo che consente di continuare l’attività risparmiando ore di spostamenti da e verso l’ufficio e spese di trasporto. Stesso discorso per il mondo della scuola. La didattica a distanza ha dimostrato che è possibile evitare di costringere gli alunni più disagiati per questioni economiche, logistiche, di salute o con disabilità a frequentare un istituto scolastico, a spendere soldi in treni o scuolabus, a perdere del tempo che torna utile per studiare a casa. Così come, se si coglie l’insegnamento di questi ultimi giorni, sarà possibile evitare l’affollamento degli ambulatori medici sfruttando le ricette elettroniche che arrivano direttamente sul cellulare.
Quali insegnamenti professionali e di vita si possono trarre da questa drammatica vicenda?
Tutti ci stiamo chiedendo se questa situazione ci renderà delle persone migliori. Io non so rispondere. So solo che per risollevarci dal disastro, il nostro cambiamento personale e quello nei rapporti umani è una strada obbligata.
La redazione di PT39
(da Fuori dalla Rete, Maggio 2020, anno XIV, n. 2)