Erano passati solo cinque anni dalla tremenda peste del 1656 che aveva ridotto nei quattro paesi della Diocesi (Nusco-Bagnoli-Montella-Cassano) di un terzo il numero degli abitanti e l’andazzo degli anni precedenti era ritornato con maggiore cattiveria.
Eppure in quell’anno “horribilis” processioni e buone intenzioni non erano mancate: qualcuno aveva pure profetizzato una “maggiore umanità” nelle popolazioni del Regno di Napoli provate dalle migliaia di malati e morti (circa 200.000).
Che le cose non sarebbero andate in tale direzione, lo si potè subito constatare. Annose questioni a mala pena sopite esplosero di nuovo. Le rivalità fra i quattro paesi della diocesi si acutizzarono. Riprese vigore la lotta per imporre la propria supremazia e si ritornò a vecchie bagattelle di ogni sorta.
A fine 1661, dopo qualche mese dalla morte del Vescovo Benedetto Rocci, fu eletto Sindaco – l’incarico durava un anno – dell’Università di Bagnoli Giovan Domenico Pallante. Si era in attesa della nuova nomina vescovile e Bagnoli doveva difendere la posizione di predominio raggiunta nella Diocesi dal momento che il Rocci – un carmelitano milanese – si era insediato in paese nell’Episcopio da lui fatto costruire, ritenendo la sede di Nusco troppo misera.
Non poco aveva pesato in tale scelta il fatto che a Bagnoli ci fossero due conventi e una concattedrale.
Se la nuova sede non era andata giù ai Nuscani e Montellesi anche una parte del clero di Bagnoli non aveva gradito l’intrusione del Vescovo nei loro affari. Questi infatti aveva chiesto loro di vederci meglio nella loro contabilità e avendo accusato alcuni prelati di ruberie aveva scatenato “accesi malumori”.
Rocci fece in tempo però prima della sua scomparsa – dopo solo tre anni di vescovado – a bollare a mo’ di testamento le “sue pecorelle con parole di fuoco”: “i nuscani erano falsi e ladri, i montellesi assassini e briganti, i bagnolesi inquieti ed attaccabrighe, e i cassanesi rustici e villani”.
Insomma la peste non lo aveva certo reso più misericordioso. Fin dal giorno dell’elezione il neo eletto Sindaco di Bagnoli si preoccupò di riaffermare tale predominio, attrezzandosi per risolvere alla meglio una vertenza in atto con il Vescovo che doveva subentrare.
In attesa del suo arrivo, la sera del 2 gennaio 1662 si recò presso la “spetiaria di Lattanzio de Aulise” per incontrare il notaio Orazio Pallante. Incontratolo, gli chiese – dato che partiva per Napoli – se aveva bisogno di qualcosa. Questi mugugnò e mentre il Sindaco se ne stava andando gli corse dietro fino in piazza gridando: “Sindaco, tu non hai i termini, ed io ti voglio imparare la crianza et farti morire sotto na mazza! E’ venuta una lettera di Monsignore e non me ne hai fatto menzione, ed io sono il secondo eletto!“.
Il Sindaco si giustificò rispondendo che lo aveva mandato a cercare, anche se non era obbligato e quanto “ai termini” (educazione) si riteneva educato “come lo era lui.”
Queste parole fecero infuriare ancora di più il Notaio che ingiuriandolo, si levò uno zoccolo dal piede e alla presenza di molte persone, diede una botta in testa al povero Sindaco ferendolo. Ne seguì un’inchiesta ma il processo fu spostato a Foggia essendo il Pallante un “cavallaro” presso la Regia Dogana.
Ma cosa era successo di così grave che aveva indotto il Pallante ad un comportamento violento? Il povero nuovo Sindaco in gran segreto stava tramando per tentare di accalappiare il consenso del nuovo Vescovo in arrivo – Angelo Giordano Picchetti – per fare in modo che questi restasse a Bagnoli. Il Capitolo aveva mandato in missione a Roma l’arciprete Gargano che in seguito sarà nominato Vicario e diverrà anche Vescovo di Belcastro.
Picchetti fece un ingresso in Bagnoli solenne il 21 maggio 1662, alternando la residenza fra Nusco e Bagnoli. Ma la rivalità fra i quattro paesi si accese di nuovo: ognuno rivendicava a sé il cosiddetto “diritto di precedenza”: a chi toccava aprire il corteo funebre per andare alla sepoltura. Tale disputa portò alla paralisi: per giorni alcuni cadaveri non potettero esser seppelliti. E rimasero depositati in attesa.
I morti, le buone intenzioni del 1656 erano state già dimenticate. De te fabula narratur.
Tratto da “La storia di Nusco raccontata da Giovanni Marino”
(da Fuori dalla Rete, Giugno 2020, anno XIV, n. 3)