Per l’8 Marzo di quest’anno molte organizzazioni femminili hanno dichiarato che le donne non vogliono ricevere mimose, visto che, nei restanti 364 giorni dell’anno, sono oggetto di violenze e discriminazioni, persino negli stipendi e salari che, a parità di lavoro, sono mediamente inferiori di circa il 20% rispetto a quelli dei colleghi maschi.
Hanno ragione.
Qualche giorno fa leggevo, ad esempio, che in conseguenza della scelta del governo Meloni di non prorogare la possibilità di lavorare da casa per le madri che hanno figli piccoli, ben 50 mila donne hanno dovuto abbandonare il lavoro. E il lavoro è l’unico mezzo che consente una vera indipendenza, capace di permettere di essere se stesse, come la canzone della Turci suggerisce.
Sappiamo che la destra, e gran parte della gente che la vota, è convinta che l’Italia è piena di fannulloni, senza spiegare, poi, come faccia il nostro paese a mettersi in moto ogni giorno. Ma dietro la decisione di non prorogare il lavoro da casa c’è dell’altro: un attacco vero e proprio alle conquiste delle donne che, come disse qualche mese fa la deputata di Fratelli d’Italia Lavinia Mennuni, in una intervista a La7, hanno una sola “missione”: fare la moglie e la madre di tanti figli.
Ebbene, il cammino della liberazione femminile in Italia, cominciata nel 1946 con il diritto di voto (come ci è stato ricordato dal bellissimo film di Paola Cortellesi che, naturalmente, il Ministro della Cultura Sangiuliano non ha né visto né finanziato…) potrà subire rallentamenti, ma oramai è un treno in marcia che nessuno, neanche il governo attuale (presieduto da una donna che vuole farsi chiamare il presidente del Consiglio…) potrà più fermare.
Buon 8 Marzo a tutte le donne.
Luciano Arciuolo