Nel suo pensiero dal carattere utopistico e concreto insieme, Francesco De Sanctis, che fu uno dei fautori dello svecchiamento dell’istruzione meridionale, ebbe un ruolo decisivo anche nel rinnovamento dei vecchi istituti di istruzione in Irpinia, a partire dalla fondazione dell’Istituto Agrario di Avellino, 140 anni fa.
Infatti, il primo elemento discriminante, necessario per la realizzazione di un mondo nuovo, è l’istruzione, un’istruzione non solo elitaria, ma finalmente popolare, rivolta agli operai, ai contadini, alla formazione tecnica, così da redimere e liberare uomini sino ad ora trattati “da animali, perché erano animali”.
L’istruzione, per De Sanctis, è quindi strettamente legata – come per Villari – alla “questione sociale”, perché la prima darà non solo dignità, ma anche prosperità (“nuove vie si apriranno per guadagnarci la vita”) ai cittadini della nuova patria. Sarà allora possibile il progresso, rappresentato dalla ferrovia, dall’industria e dal commercio (“Votare per la ricchezza”), dall’indipendenza e dalla grandezza della patria …
Nel “Proclama al popolo irpino” dell’ottobre 1860 egli affermava senza mezzi termini che il “governo borbonico” ha ridotto in povertà e schiavitù il popolo, mentre la nuova Italia non darà solo istruzione, ma anche ricchezza a tutti: “Le strade ferrate ci ravvicineranno. Avremo associazioni di operai, casse di risparmio e di mutuo soccorso, la beneficenza meglio diretta e meglio ordinata, i trasporti a buon prezzo, per mercato tutta l’Italia. L’industria ed il commercio faranno di questo paese privilegiato il più ricco e potente di Europa”.
Il Proclama non rappresenta un caso isolato. Infatti, negli stessi giorni successivi al Plebiscito, da Direttore generale dell’istruzione a Napoli l’intellettuale irpino potè dare impulso notevole all’educazione nel vecchio Regno di Napoli.
Qui, tra gli altri provvedimenti, colpisce la necessità che venisse fondata in ogni provincia una scuola normale maschile e una femminile al fine di avere maestri e maestre adeguati ad istruire in ogni parte del nuovo Regno i cittadini dell’Italia unita. Questo provvedimento sarà al centro anche del suo impegno in qualità di Ministro dell’Istruzione pubblica. Infatti, nel suo programma, illustrato nel discorso tenuto alla Camera il 13 aprile 1861, in risposta all’interpellanza degli onorevoli Carlo Alfieri e Salvatore Tommasi, De Sanctis più volte ritorna sulla necessità di esaminare la situazione dell’istruzione nel Mezzogiorno.
Afferma, ad esempio: “Quindi io ho sentita la necessità di compiere questi studi, mandando due ispettori generali a fare il loro ufficio, cioè ad ispezionare in Sicilia ed in Napoli, per preparare i materiali e per darmi delle notizie esatte sullo stato in cui si trova colà la pubblica istruzione”.
Poco dopo, aggiunge, dopo aver sottolineato che spesso a Napoli la legge resta solo cosa scritta sulla carta, ma non messa in pratica: “Ebbene, io dichiaro qui alla Camera, che, armato di questa legge Casati tanto criticata, e che a me basta, io credo di poter fare ancora molto bene alla pubblica istruzione, di poter restaurare, creare, soprattutto nella meridionale parte d’Italia, l’istruzione elementare. Veramente, gli onorevoli Alfieri e Tommasi non si sono dati pensiero in questa parte; quanto a me, dichiaro che l’istruzione popolare sarà la mia prima, la mia incessante cura, (Bene! Bravo!) e che non poserò insino a che non abbia preso tutti i provvedimenti che potranno acchetare la mia coscienza in questa deplorabile situazione di cose. (Approvazione generale)”.
Come già avveniva nel Proclama al popolo irpino dell’ottobre 1860, buona parte del discorso desanctisiano risulta, in un certo senso, incentrato sull’“istruzione popolare” nel Sud, sulle differenze tra la situazione nel resto d’Italia e nel Mezzogiorno, sui provvedimenti immediati, che il Ministero dovrà prendere per ridare dignità ad un popolo intero. Insomma, per dirla con una formula semplice, condivisibile e poi più volte ripetuta, il Sud diventa una “questione nazionale”. Infatti, dopo aver ribadito la necessità di rendere il popolo italiano libero, liberandolo dall’ignoranza, De Sanctis ripropone ancora una volta l’esempio “napoletano”: “Chiameremo noi forse uomini liberi quei contadini ignoranti delle provincie napoletane, tratti a reazione, ad opere crudeli di altri tempi, la cui anima non appartiene a loro? No, non sono uomini liberi costoro, la cui anima appartiene al confessore, al notaio, all’uomo di legge, al proprietario, a tutti quelli che hanno interesse di volgerli, d’impadronirsene. (Bene! Bravo!)”.
Dopo queste analisi, il Ministro si sofferma ampiamente sulla situazione dell’“istruzione popolare” nel Sud, lontana da quella delle altre popolazioni italiane.
In tal modo De Sanctis rispondeva anche alle aspre polemiche scoppiate alla Camera pochi giorni prima, tra il 2 e il 6 aprile di quell’anno, e che aveva visto protagonisti tra gli altri Massari, Cavour, La Farina, Pantaleoni, Crispi, Cassinis, Scialoja, Torrearsa. Nel corso del dibattito “solo una netta minoranza si opponeva alla rappresentazione del Sud come corruttore e cancrena della nazione”: questa “piaga”, ovvero il Mezzogiorno, doveva essere estirpata con “il ferro e il fuoco”, ricorrendo “alla forza militare per amministrare l’Italia meridionale”. De Sanctis, mettendo in evidenza i limiti del Sud, ma anche le qualità dei meridionali (“un buon popolo, morale e docile”), esprimeva da un lato la fiducia che il Mezzogiorno avrebbe contribuito al progresso della nazione, dall’altro la necessità di intervenire non attraverso la forza militare, ma attraverso il più efficace strumento della formazione e dell’istruzione. Anche in questo De Sanctis anticipava celebri analisi villariane.
Il Ministro, nel sottolineare ancora una volta una decisa continuità con l’azione politica compiuta a Napoli nei mesi precedenti, nel suo discorso propone riflessioni, che sono degne di un primo manifesto del meridionalismo quale l’intervento desanctisiano sicuramente fu. Infatti, De Sanctis analizza senza infingimenti la situazione, si pone dalla parte del popolo meridionale, non lo giudica con disprezzo, critica probabilmente la mano troppo pesante dell’esercito in questi mesi, come già aveva fatto l’anno precedente, lo pone come esempio di popolo capace di suscitare speranze per il futuro.
Coerentemente con questo impegno a favore del Sud, come ricorda Toni Iermano, De Sanctis ministro inviò, il 26 luglio 1861, Quintino Sella quale delegato straordinario per rivedere l’istituzione scolastica a Napoli e nell’intero Mezzogiorno.
Purtroppo, tutte queste iniziative di Francesco De Sanctis si scontrarono con il breve tempo del suo mandato (23 marzo 1861-3 marzo 1862). Alcuni progetti, comunque, avviati in quegli anni furono ripresi dall’intellettuale successivamente, quando ricoprì la carica di Ministro per la seconda volta (dal 24 marzo al 19 dicembre 1878), battendosi contro l’analfabetismo, per il miglioramento dell’edilizia scolastica, per la creazione di “scuole magistrali-rurali”, che potessero formare giovani maestri nei luoghi periferici, “nei piccoli villaggi”, “in mezzo ai monti e tra le nevi”, così da preparare nuove generazioni di insegnanti, per la creazione di un Monte per le pensioni dei maestri, eventualmente per migliorare complessivamente il trattamento economico degli stessi.
Tuttavia, non meno vigoroso fu l’impegno del De Sanctis a favore dell’Università di Napoli, dell’istruzione femminile, dei Licei, delle scuole magistrali.
Significativo è il resoconto, che ancora il Ministro propone alla Camera il 27 gennaio 1862, in risposta all’interpellanza dell’onorevole Bruno incentrata prevalentemente sulle cliniche medico-chirurgiche di Napoli e sul collegio medico-chirurgico, sulla situazione dell’istruzione nel Mezzogiorno e sul suo impegno a favore dell’Università e non solo.
Inoltre, De Sanctis enumera i diciassette licei istituiti, come quello di Napoli e di Bari, che “stanno a fronte de’ licei i meglio ordinati dell’Italia settentrionale”, “cinquantadue scuole magistrali aperte nelle diverse provincie”, tutto “opera di pochi mesi”.
Insomma, potremmo dire con i meridionalisti che l’intento del Ministro era quello di unificare l’Italia, offrendo a tutte le popolazioni delle varie province la stessa, uniforme, qualità dell’insegnamento.
Dunque, con De Sanctis, almeno per un tempo provvisorio, il Sud e la sua “questione”, già nell’aprile del 1861, facevano il pieno ingresso nel Parlamento italiano.
Paolo Saggese
(da Fuori dalla Rete, Dicembre 2019, anno XIII, n. 5)