Fuluccia vibra di ricordi: tracce superstiti che Maria Rachele Branca ha voluto imprimere nella terracotta affinché non si disperdesse la radice profonda di quella essenza.
Nel viscerale tempo-circuito della memoria, l’idealizzazione del volto, nella sua eterea placidità, riattiva la realtà fisica dell’immagine. Un ritratto scolpito con una riverenza quasi sacrale: qui il piano umano viene sublimato per tramutarsi in un racconto mitizzato, andando a sondare il complesso rapporto dell’uomo con la sofferenza, il lutto e la morte.
La forma evocativa mette in luce l’autenticità di un linguaggio scultoreo che, oltre ogni separazione fra arte e vita, diviene simulacro di quell’inestinguibile energia.
Come in altre sculture al femminile dell’artista -ad esempio L’Inchiodata- ricorre l’apposizione di un elmo in bronzo, modellato a tutela del potere di genere: intellettivo, culturale ed emotivo. Tratto distintivo delle “guerriere” di tutti i tempi, in lotta con una società cieca dinanzi alla loro forza e capacità, la galea, nello specifico caso di Fuluccia, richiama anche il tema della cura, che la propria reminiscenza ricollega ad un tentativo di preservazione, e con essa di salvezza.
Al commiato, nel suo delicato struggimento, pertanto si intesse l’introspezione di un “passato” mutato, ma non tanto da risultare irriconoscibile agli occhi. Ed è così che, in una dialettica intima tra presenza ed assenza, Fuluccia mantiene in vita ciò che resta.
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~ Testo critico di Rossella Della Vecchia
~ Ph Martin di Lucia
Maria Rachele Branca, FULUCCIA, 2014
terracotta refrattaria patinata a freddo, 33x20x18 cm