Esco dallo studio di Modestino, ora Gabriele D’Annunzio e sul mio polpaccio. La sua “geografia” non si ferma al Vittoriale, ma resiste in ogni parte in cui il Vate e passato, Napoli, Roma, Firenze.
Nel 1922, il Vate scivolò dalla finestra del Vittoriale, un volo dell’arcangelo fu definito, forse da lì capì, una volta di più, il godersi il momento, il vivere giorno per giorno. Molto interessanti le annotazioni sul mancato incontro tra D’Annunzio e Freud: lo scavo nei meandri della psiche che inaugura il padre della psicoanalisi e che tanta influenza avrà su tutto il Novecento non interessa il poeta cultore del mito: perché è proprio attraverso il mito che lui si immerge negli abissi della mente e dell’anima umana, portando alla luce «lo stesso materiale rovente». Ma lo spirito ulisside più profondo, a dispetto delle parodie, rimane quello espresso proprio a da D’Annunzio all’inizio e alla fine di Maia: quella antica esaltazione della vita nel movimento, nel rischiare, nel cercare sempre.
Ricordate? «Necessario e navigare/non e necessario vivere». Una vita al massimo, dunque ben staccata da quel tipo di fascismo che cono-sciamo noi, un fascismo terrorista e assassino ben lontana da quell’ideologia nazionalista del Vate, che vedeva nel Made In Italy odierno, la strada maestra per la nostra economia che doveva essere certo circo-lare, ma ben delineata dal tricolore. La sua sfrenata vita sessuale, inoltre, alimentava quel mito del Super Uomismo, Luisa Baccara era vista per un periodo come la vera Musa Italiana, più della passione del Vate per la Duse.
Una vocazione quasi mortifera per il Novecento che avanzava: rinchiudersi nella gabbia dorata del Vittoriale era più uno strumento di liberazione, un descrivere nel suo ambiente un mondo quasi irreale, ma che si poteva toccare per mano, fino ad oggi dove le sensazioni che lascia il Vittoriale sono veramente per pochi eletti.
Un saluto a Giulio e tanti auguri ai let-tori di Fuori dalla Rete.
Daniele Marano
(da Fuori dalla Rete Dicembre 2023, anno XVII, n. 3)