“Ghiughillo” è il personaggio salernitano ritratto da Diomede Patroni nel 1895, che già all’età di 15 anni si dedicò al ritratto nella scultura e che lo fece conoscere in Italia e nel Mondo.
Dalle memorie lasciate dallo scultore bagnolese a suo nipote Vincenzo Dino Patroni.
Non ho mai saputo, dai racconti narratimi da mio nonno, quale destino avesse avuto “Ghiurghillo”. Così veniva chiamato da suo padre un piccolo sciuscià nella Salerno di fine Ottocento. Ghiurghillo, probabilmente era pure uno degli ultimi figli (una dozzina avuti dalla moglie mentecatta) di un uomo mite, piccolo nella statura, il quale era uno dei tanti lustrascarpe presso la stazione ferroviaria di Salerno. Puntualmente, tutti i giorni, costui attendeva i passeggeri che scendevano dai treni provenienti dalla provincia, sperando che prima d’inoltrarsi nelle strade del capoluogo, si facessero pulire le scarpe o gli stivali. Così viveva alla giornata il padre di Ghiughillo. Tutt’oggi, non conosco quale fosse il nome anagrafico del protagonista di questo racconto e forse neppure mio nonno l’ha mai conosciuto, nonostante proprio lui, Diomede Patroni l’avesse immortalato nella creta, quando a soli quindici anni (già una promessa dell’arte), ancor prima di accedere ai corsi di scultura, modellò nella creta cotta questo ragazzetto infelice detto “Ghiurghillo”, autentico personaggio di una Salerno scomparsa per sempre. Ghiurghillo era denutrito, aveva occhi neri e grandi ed era intelligente e sensibile. La testa, rispetto al corpicino macilento, era piuttosto grossa e le orecchie, larghe e lunghe, sembravano vele di bastimenti gonfiate dai venti. Inoltre, aveva le narici larghe su un naso piccolo. Il volto era lungo e spigoloso e l’espressione che assumeva sempre triste e malinconica. Il padre tutte le mattine molto presto, lo destava dal sonno e lo costringeva a scendere dal letto e a seguirlo subito sul posto di lavoro nella piazza antistante l’ingresso della stazione ferroviaria di Salerno (oggi piazza Trento) trascinandolo, ancora addormentato.
Alla gente che lo rimproverava perché riteneva disumano portare ogni giorno, alle prime luci dell’alba, una giovane creatura per strada, lo sciuscià salernitano così ripeteva: “Tengh ‘a mugliera pazza e, ‘u guaglione, si’u voglie salvà, adda sta’ cu mme notte e juorn!”. Nel 1895, quasi alle soglie del XX° secolo, il mio capostipite, lo scultore irpino Raffaele Patroni, aveva lo studio nel centro di Salerno in corso Vittorio Emanuele, poco distante dalla stazione ferroviaria ed il suo primogenito, Diomede, era tutti i giorni con lui ad apprendere il mestiere, aiutandolo in lavori di notevoli dimensioni, prima ancora di raggiungere l’età per iscriversi ai corsi di scultura dell’Accademia di Belle Arti di Napoli, ove fu allievo prediletto di Vincenzo Gemito e di Vincenzo Luigi Jerace.
Nel tardo pomeriggio di ogni giorno, Ghiurghillo e il padre, stanchi, affamati e d’inverno spesso intirizziti dal freddo, si ritiravano nella loro abitazione, un basso del centro storico della nostra città passando, obbligatoriamente, davanti al laboratorio di scultura dei Patroni. Il giovanissimo Diomede, nella sua fervida creatività, seppure fosse un adolescente ed “aiuto” di bottega del noto genitore, un giorno fermò lo sciuscià che insieme a Ghiurghillo rientrava a casa, chiese il permesso di far posare il ragazzo per fargli un ritratto, promettendogli pure di ricompensarlo con qualche soldo. Questi acconsentì volentieri e fu così che dalle mani del giovanissimo scultore nacque un eccellente ed espressivo ritratto in creta del piccolo sciuscià, realizzando nella Salerno di fine ottocento, una delle opere giovanili più significative di un artista che nella sua lunga vita fu un instancabile scultore e pittore, stimato, conosciuto, rispettato e riverito in patria e all’estero. Il mio bisnonno, Mastro Raffaele, (così lo chiamavano i salernitani di quel tempo) ammirò questo ritratto somigliantissimo eseguito da suo figlio Diomede e lo portò a cuocere in una faenzera della vicina Vietri sul Mare. Poi l’espose in vetrina all’ingresso del suo studio che era frequentato, specialmente di sera, da amici pittori, architetti, ingegneri ed altri professionisti salernitani che amavano scambiare con lui qualche chiacchera ed ammirare i lavori in marmo o in bronzo che si preparavano giorno dopo giorno nell’officina d’arte Patroni.
La nostra citta, alla fine dell’ottocento era un centro importante e pur non essendo estesa e grande com’è diventata dal dopoguerra ad oggi, era pur sempre una città culturalmente in crescita. I salernitani passeggiavano in tutte le ore del giorno per il Corso Vittorio Emanuele, sicché quando vedevano esposta nella vetrina del laboratorio di Mastro Raffaele la testa in terracotta modellata dal giovanissimo Diomede Patroni (artista destinato a grandi successi, sino a divenire un maestro riconosciuto della scultura italiana del novecento, specialmente negli anni venti e trenta del secolo scorso) esclamavano Ghiurghillo!
Il personaggio dunque, per sentenza di popolo, era veramente stato immortalato nella materia, divenendo questa terracotta una vera e propria attrazione per i salernitani di quel tempo. Tutti i cittadini e le autorità videro il ritratto di Ghurghillo e d’allora non ci fu salernitano che non conoscesse Raffaele e Diomede Patroni e il luogo dove operavano.
Anche mio nonno, Diomede Patroni, continuò ad esporre negli studi che ebbe, la testa in terracotta di Ghiurghillo, perfino nell’ultimo laboratorio che tenne a Salerno in via Velia. Purtroppo, il maledetto 21 giugno 1943, una bomba aerea lanciata sulla città dagli anglo-americani, colpì inesorabilmente l’antichissima strada cittadina e quindi lo studio di Diomede Patroni fu letteralmente raso al suolo insieme alla palazzina dove era ubicato. Si ridussero in polvere marmi, bronzi, terracotte, gessi, quadri e disegni dell’insigne maestro. In quel terribile giorno, tra le tante opere dello scultore salernitano, si disintegrò anche la testa in terracotta del piccolo sciuscià.
Con il ritratto di Ghiurghillo distrutto dalla bomba scagliata in via Velia dagli alleati nell’ultimo conflitto mondiale, la città di Salerno perse una pagina della sua storia, un documento (attraverso il personaggio di “Ghiurghillo”) che testimoniava pure gli usi, i costumi, la cultura, la sensibilità, la semplicità del popolo salernitano che non è più tanto omogeneo e attento, perché perde sempre di più la propria memoria storica, dimenticando vergognosamente, condannandoli al dimenticatoio, uomini che resero veramente grande, già nello scorso secolo, questa nostra città dandole lustro con intelligenza , umiltà, attività costante, arte e cultura.
Vincenzo Dino Patroni
(da Fuori dalla Rete, Marzo 2021, anno XV, n. 1)