Vorrei aggiungere, al fiume di parole che è stato speso, una mia personale chiave di lettura della crisi politica che ha portato alla nascita del governo Draghi.
Parto da un articolo apparso sul Mattino dell’8 dicembre scorso, che quantificava in 100 miliardi di euro le somme del Recovery Fund che il Piano, messo a punto dal governo Conte e dai ministri Gualtieri e Provenzano, destinava al Sud dell’Italia per finanziarne lo sviluppo e la riduzione delle differenze, infrastrutturali e di servizi pubblici, rispetto al Nord. Una cifra enorme che ha subito allarmato il presidente (leghista) di Confindustria Bonomi, che ha cominciato a lanciare allarmi per il mondo produttivo (del Nord…).
E’ di questi allarmi che si è fatto portavoce il senatore (ancora per poco) Renzi, fino a mettere in crisi l’esecutivo di Conte.
E’ questo allarme, con la “necessità” di riscrivere il Piano, il “filo rosso” che unisce avvenimenti apparentemente distanti, come la crisi politica e, da ultimo, la conversione europea della Lega che, pur di dire la propria sui fondi UE, non ha esitato a cambiare idea sull’Europa e persino sui migranti.
Salvini, nelle ultime settimane, ha ricordato Saulo di Tarso sulla via di Damasco che, da torturatore di cristiani, diventò un cofondatore della Chiesa (San Paolo). Da nemico dell’Europa a sostenitore del Recovery Plan. Da amico di Putin, finanziato da Putin, a uomo di Stato europeo. Da affondatore di barconi a sostenitore della linea di Angela Merkel sui migranti. Da imbonitore della “Flat Tax” (che ci vuole a promettere meno tasse a tutti?) a sostenitore di Draghi e del suo fisco progressivo…
A pensar male si fa peccato, diceva qualcuno, ma spesso ci si indovina. E, gratta gratta, le parole, anche se nobili, nascondono quasi sempre un interesse. Interesse per i soldi europei in questo caso, che sono tanti e fanno gola ai cosiddetti imprenditori settentrionali, che sono precipitati nel panico più profondo man mano che il Recovery Plan del governo Conte prendeva (molto faticosamente) forma. (Per inciso: le manovre per portare il Presidente dell’Emilia Romagna, Bonaccini, alla segreteria del PD probabilmente si legano allo stesso “filo rosso”).
Salvini, oggi, è pronto a spartire i 223 miliardi dell’Europa (ha dichiarato di voler essere “protagonista del buon utilizzo di questi fondi…”), costretto ad una ridicola retromarcia su tutta la sua storia dai “salotti buoni” del Nord (leggi il suo vice Giorgetti, che infatti è diventato Ministro dello Sviluppo Economico). Del resto per uno come il “capitano”, che ha cominciato a fare politica come segretario dei “comunisti del Nord” e ha finito col difendere i fascisti di Casapound, le capriole sono pane quotidiano…
Nessuno riflette su un fatto, però: l’Unione Europea non avrebbe mai concesso tutti questi fondi ad un governo nel quale fossero presenti la Lega o Fratelli d’Italia, suoi nemici giurati. Non solo: la stessa Unione Europea ha cambiato radicalmente la propria politica economica, arrivando ad indebitarsi, pur di aiutare le economie più deboli, come l’Italia, proprio per evitare che i Salvini e le Meloni di ogni nazione potessero continuare a soffiare sul disagio crescente, mettendo magari a rischio la stessa sopravvivenza della democrazia (Trump docet).
Buon lavoro a Draghi, dunque. Ma non dimentichiamo che i soldi, con i quali si avvierà la ricostruzione post-pandemia, se li sono guadagnati Conte e Gualtieri, non certamente Salvini o Bonomi, dai quali nessuno, in Europa, comprerebbe, come si dice, un’auto usata.
Infine: forse sono stato distratto ma, in tutte le discussioni politiche e programmatiche che hanno preceduto la nascita del governo Draghi, non ho mai sentito la parola “Mezzogiorno”. E tre nuovi ministri su quattro sono settentrionali. Pensiamoci e prepariamoci a vigilare…
Luciano Arciuolo