Con il suo stile anglosassone, che lascia poco spazio alla retorica, e molto alla descrizione dei fatti, gli articoli di Guido Dorso, soprattutto quelli editi sul “Corriere dell’Irpinia”, e venti anni dopo, su “L’Azione”, sollecitano continuamente ognuno di noi ad una continua riflessione, ad una messa in discussione o revisione dei nostri convincimenti.
Questi articoli, che si fondano sui numeri e sulla realtà, ci aiutano anche a consolidare le nostre certezze. Ed una di queste è che per molto tempo il Mezzogiorno d’Italia ha ricevuto dallo Stato centrale le “briciole”, il superfluo rispetto a quanto poteva beneficiare soprattutto il Nord del Paese.
Era sempre Dorso a ricordare a tutti che il Mezzogiorno non ha bisogno di carità, ma di giustizia. Ed era ancora l’intellettuale avellinese a sottolineare che era interesse dell’Italia affrontare e risolvere la “questione meridionale”.
Il coraggio pacato di questa “Cassandra inascoltata” strideva terribilmente con la retorica montante del regime fascista, che per un ventennio ha alternativamente sbandierato la soluzione della “questione meridionale” o la sua inesistenza, condannando il Mezzogiorno ad un abbandono, che addirittura aggravò la distanza tra Nord e Sud del Paese. Celebri sono le pagine di Raffaele Ciasca, che sulle colonne dell’Enciclopedia Treccani nel 1934 sanciva la fine della “questione”. Al contrario, mentre si bloccava la via dell’emigrazione – cosa che avrebbe aggravato ulteriormente la situazione economica di molte famiglie – e si premiavano in modo dissennato le famiglie prolifiche, come nei cinquant’anni precedenti, al Sud arrivarono le “briciole” dei finanziamenti statali relativamente a infrastrutture, ad incentivi all’economia, al sostegno all’industria, alla Sanità, alla Scuola e all’Università. Fecero clamore, ad esempio, le celebri inchieste di uno dei fondatori dell’ANIMI, Umberto Zanotti-Bianco, sull’edilizia scolastica in Calabria (1925) e Basilicata (1926), con il paradosso che mentre al Nord si continuava ad investire in nuove scuole, al Sud, dove la situazione era drammatica, si lesinavano i finanziamenti. Nel 1925 in bilancio lo Stato italiano metteva 26 milioni a favore delle Scuole del Nord, 11 per quelle del Centro, 10 per quelle del Sud. Insomma, si preferiva dare di più a chi aveva di più, e di meno a chi aveva di meno. In numerosi articoli Dorso sottolinea la sperequazione tra i contributi assegnati al Nord e quelli assegnati al Sud, come nel breve saggio “La sostanza del problema” (pubblicato sul “Corriere dell’Irpinia”, Anno III, n. 4, 24 gennaio 1925), in cui, criticando la politica antimeridionale del fascismo, incalza Farinacci: “Anche l’on. Farinacci, che evidentemente non ha dimenticato di essere nato ad Isernia, ha creduto affrontare la questione, accusando la burocrazia di alto tradimento. Secondo lui le opere pubbliche non vengono eseguite nel Mezzogiorno non perché manchino gli stanziamenti in bilancio e l’azione dello Stato sia in generale deficiente nei nostri riguardi, ma perché gli impiegati non fanno il loro dovere”.
Ovviamente l’analisi di Dorso non è condivisibile in toto. Se è vero che il Nord abbia beneficiato sempre e di più dei finanziamenti governativi e che spesso il Sud abbia ottenuto le briciole – tranne che nel breve periodo della Cassa per il Mezzogiorno -, è altrettanto vero che si sono assommati in questi 160 anni dall’Unità nazionale altri fattori, che hanno penalizzato il Sud, di natura interna e non esterna ad esso.
Guido Dorso aveva troppa fiducia nell’autonomismo del Sud e nella nascita di una nuova e migliore classe dirigente, proveniente dalla borghesia umanistica. I fatti gli hanno dato torto: siamo ancora in attesa di una classe dirigente (e non solo di una classe politica) all’altezza del compito.
Abbiamo bisogno di una burocrazia e di amministrazioni più efficienti. Questo è l’altro vulnus. E abbiamo adesso in più il gravissimo fardello della malavita organizzata, che drena i finanziamenti pubblici. La domanda è questa: sarà il Sud in grado di utilizzare al meglio i miliardi del PNRR?
Il quadro è triste, ma non per questo al Sud non devono arrivare i finanziamenti, che gli spettano. Altrimenti al malato si staccherebbe la spina.
Paolo Saggese
(da Fuori dalla Rete, Marzo 2022, anno XVI, n. 2)