Spesso si resta stupiti del fatto che la storia umana proceda con grandissima velocità, ma altre volte si resta stupiti per la situazione opposta, per la difficoltà che l’umanità abbia a cambiare e a trasformare in occasione gli errori del passato.
Capita così spesso di affrontare in Italia la “questione femminile”, per ribadire quanto poco si faccia per garantire pari opportunità a uomini e donne, per ridurre o far scomparire la piaga della violenza sulle donne, per migliorare la nostra società, che si reputa così tanto civile e che, ad una analisi attenta, presenta tante incongruenze, contraddizioni, “brutture”.
Si resta stupiti che già Guido Dorso, su un giornale di provincia, ma non provinciale come il “Corriere dell’Irpinia”, analizzasse quasi un secolo fa (10 giugno 1923) la questione del diritto di voto alle donne (“Le donne a parlamento”, anno I, n. 23, riedito in Guido Dorso, “Tutti gli scritti dal ‘Corriere dell’Irpinia’ 1923-1925”, a cura di Francesco Saverio Festa e Mariagiovanna Silvestri, Avellino, De Angelis Editore, 2010), prendendo spunto da una proposta fascista di estensione di tale diritto e commentandolo attraverso le parole del commediografo ateniese Aristofane (con la sua opera “Le donne a Parlamento”), nella traduzione di Ettore Romagnoli, noto filologo classico, nonché traduttore brillante dei poeti greci antichi, che aveva insegnato anche nel prestigioso Liceo avellinese “Pietro Colletta”.
Guido Dorso non cita Romagnoli, ma da un riscontro veloce si riconosce subito lo stile del traduttore, che amava riportare in un italiano brillante e in versi le commedie politiche dell’autore greco.
La prima parte dell’articolo è intrisa di ironia. A Dorso appare strano che un partito di destra promuova l’emancipazione femminile, che è sempre stata appannaggio della sinistra, e ironizza sul fatto che forse si ritenga la donna in generale più conservatrice degli uomini e perciò potrebbe favorire il successo elettorale del movimento mussoliniano.
Riprendendo Aristofane, che parodiava teorie politiche vicine al “comunismo” e forse anche Platone, si immagina una società in cui, su proposta delle donne, si metta finalmente tutto in comune, persino gli uomini, e quindi tutte le donne possano avere amanti e scegliere liberamente, avendo la priorità sulla base dei dati anagrafici di ognuna. Ovvero, le donne più anziane – e dunque per Aristofane meno apprezzabili – avrebbero la priorità di scelta rispetto a quelle giovani, a cui sottrarrebbero fidanzati e spasimanti sulla base di un’autorità fondata sul numero di anni.
In questa parodia, che per certi versi ricalca anche le polemiche di questi giorni (è più “femminista” la destra o la sinistra in Italia in questa primavera 2021?), Aristofane dichiara la superiorità delle donne sugli uomini:
“Che valgan di più di noi quanto ai costumi / adesso ve lo provo. Punto primo, / lavan tutte la lana all’uso antico. / Nell’acqua calda. E non le vedi mica / mutare a caso! […] / Esse friggon sedute come prima; / portan fagotti in capo come prima; / festeggian Demetra come prima; / cuociono le focacce come prima; / maltrattano i mariti come prima; / tengono amanti in casa come prima; / si compran pasticcini come prima; / adoran il vin pretto come prima; / godono, se le ami, come prima! / Dunque, affidiamo, oh cittadini, ad esse / la città, senza fare tante chiacchiere, / senza chiedere che cosa abbiano in mente”.
Gli uomini hanno fallito, la democrazia ateniese era in crisi, la città partecipa con alterne vicende alla guerra contro la rivale Sparta. Resta da affidare le sorti della città alle donne, sentenzia ironicamente Aristofane, sposando un improbabile regime comunista.
La prima parte dell’articolo è volutamente ironica, quasi misogina, ma in realtà Dorso usa argomentazioni provocatorie e paradossali per arrivare a quello che ritiene essere il vero problema.
In coerenza con la sua visione elitista e complessivamente moderata, Dorso teme – desanctisianamente – il protagonismo di masse elettorali non adeguatamente preparate e che potrebbero essere manipolate o compiere scelte dannose persino per se stesse: “Ora io non sono, per principio, contrario all’esercizio di tale sovranità per parte delle donne, non sono di quelli che ritengono il sesso una ragione sufficiente di esclusione; […] È recente infatti il perturbamento operato dalla legge di suffragio universale, che iniettò nelle stanche vene dello elettorato italiano diverse centinaia di migliaia di analfabeti, irresponsabili moralmente e politicamente […] In base a questi lineamenti di sana pratica politica la progettata ammissione delle donne all’elettorato costituisce un salto nel buio, di cui non è possibile oggi valutare le conseguenze. Essa verrebbe a spostare la base sociale su cui in questo momento è fondata la nostra libertà politica, verrebbe a modificare il già instabile nostro terreno elettorale. Con quali risultati? È difficile determinarlo. Per quali esigenze? È difficile vederle”.
Ovviamente, l’analisi di Dorso, un secolo dopo, è datata, completamente fuori dal tempo.
Oggi, ovviamente, lo stesso intellettuale avrebbe atteggiamenti molto differenti. Ma allora poneva una questione di primo piano, già affrontata dai filosofi ateniesi 2400 anni prima e oggi comunque presente.
Il vero problema di ogni democrazia è la cultura politica, la “virtù politica” dei cittadini, per usare le parole di Platone, ma la “virtù” che sarebbe prerogativa di tutti gli uomini, è necessaria in una democrazia perché sia compiuta.
E così ritorniamo al presente, per confrontarci con problemi vecchi di due millenni e mezzo.
Paolo Saggese
(da Fuori dalla Rete, Maggio 2021, anno XV, n. 2)