I faggi si stanno difendendo dalla siccità. Riuscirebbero infatti ad utilizzare l’acqua che hanno a disposizione per adattarsi alle condizioni meteo, adottando strategie diverse secondo le condizioni ambientali in cui si trovano. Per i ricercatori un bosco di faggio al Sud reagisce alla siccità in modo diverso da quello che si trova al Nord d’Italia. È quanto è emerso da uno studio condotto dal Consiglio nazionale delle ricerche e pubblicato sulla rivista Scientific Reports che spiega come sono stati decifrati i segni che indicano come questi alberi stiano facendo fronte al progressivo aumento della siccità. Per non sparire. Uno studio che ha visto la collaborazione con l’Università della Campania “Luigi Vanvitelli” e la libera Università di Bolzano che hanno fornito importanti informazioni sulla capacità dei boschi di faggio in Italia di adattarsi e resistere agli effetti del cambiamento climatico.
Lo studio su un arco temporale di 50 anni
Sul campo, sia i ricercatori dell’Istituto per i sistemi agricoli e forestali del Mediterraneo (Cnr-Isafom) di Perugia sia i colleghi dell’Istituto per la bioeconomia (Cnr-Ibe) di Sesto Fiorentino, che hanno preso in esame faggete sparse su tutto il territorio nazionale nel corso di un arco temporale di quasi 50 anni, dal 1965 al 2014. Come indicatori chiave per valutare la salute e la risposta dei boschi al clima sono stati invece utilizzati sia l’incremento dell’area dei fusti che l’efficienza della pianta nell’uso dell’acqua. Uno dei primi risultati è stato rilevare segnali di stress a seguito di eventi climatici estremi, come la siccità del 2003, anche in quelle foreste di faggio che apparivano in buono stato di salute, poi hanno notato che in realtà stavano reagendo al rischio di mortalità a causa di siccità estreme e dell’incremento della temperatura.
Ma in che modo i faggi resistono alla mancanza d’acqua?
Mettendo in atto strategie di adattamento al clima a seconda del luogo in cui si trovano. Se si tratta di un clima caldo e umido, oppure temperato o freddo. In particolare, spiega Giovanna Battipaglia, docente di ecologia forestale presso l’Università della Campania “Vanvitelli”, “i risultati ci dicono che ci sono strategie diverse nell’utilizzo dell’acqua impiegate dai boschi di faggio per adattarsi alle diverse condizioni meteorologiche, così come la variabilità nella risposta alla siccità tra le diverse popolazioni analizzate lungo un transetto latitudinale della penisola italiana”. Da Nord a Sud.
Strategie diverse per adattarsi al clima
Ma se i ricercatori si aspettavano che ad essere più a rischio fossero le foreste presenti nelle regioni più calde e secche, invece l’effetto più drastico è stato rilevato in Trentino Alto Adige, dove si è osservata anche una maggiore riduzione della crescita degli alberi rispetto ad altri siti più a Sud come il Lazio, la Campania e l’area del Matese. “Nelle regioni meridionali esaminate non abbiamo osservato una drastica riduzione nella crescita delle piante, come invece abbiamo rilevato in quelle settentrionali”, ha spiegato Daniela Dalmonech (Cnr Isafom). “Non solo: sempre al Sud è stato evidenziato un aumento dell’efficienza nell’uso dell’acqua, suggerendo una migliore risposta di adattamento di questi boschi alle condizioni ambientali più estreme”.
Ma quali sono stati i segnali che hanno fatto capire agli scienziati come stanno reagendo i faggi alla sete che incombe sui boschi italiani? Da tenere presente che quando le piante non hanno acqua a sufficienza, per garantirsi la sopravvivenza, tendono a rallentare la fotosintesi utilizzando l’acqua solo per l’evaporazione. La riduzione dell’attività fotosintetica (con la conseguenza di assorbire meno anidride carbonica) è uno degli effetti più evidenti e studiati della siccità perché determina una riduzione della quantità di legno prodotta.
Fiammetta Cupellaro – www.repubblica.it