I cinghiali nuovo pericolo per il tartufo nei Picentini l’allarme dei produttori

Il Tartufo Nero di Bagnoli è una delle eccellenze più conosciute e rappresentative del territorio irpino, ma va difeso dagli effetti del cambiamento climatico e, soprattutto, dai cinghiali. Su questo non sembra nutrire dubbi Giuseppe Caputo, Presidente dell’Associazione Tartufai dei Monti Picentini, realtà costituitasi nel 2008 con due obiettivi principali: la valorizzazione del Tuber Mesentericum (Tartufo Nero di Bagnoli) e la conservazione del territorio e delle tartufaie.

«Purtroppo – afferma – quello dei cinghiali rappresenta un problema enorme per i tartufi e dovrebbe essere affrontato con maggiore consapevolezza. Sui Monti Picentini sono stati censiti circa mille esemplari che nel periodo che va da metà aprile a settembre, durante il quale marciscono i vecchi tartufi e nascono i nuovi, distruggono ogni cosa». In questa fase, infatti, si formano vermi di cui i cinghiali sono particolarmente ghiotti e questo li spinge a raggiungerli, scavando con le zampe e con il muso, spezzando la simbiosi che si era venuta a creare con le radici delle piante. «Il problema vero – chiarisce Caputo – è che i tartufi crescono sempre negli stessi posti e una volta distrutto l’equilibrio che si era determinato occorrono anni per ripristinarlo».

Fino ad oggi, malgrado l’allarme lanciato a più riprese, poco è stato fatto. «Per arginare il fenomeno – sottolinea Caputo – si è pensato di piazzare delle trappole che in un intero anno hanno prodotto la cattura di soli 18 esemplari. Un numero davvero esiguo se si considera la portata del fenomeno».

Storicamente sui Picentini si raccolgono circa 15 quintali di tartufi ogni anno, ma proprio a causa dei cinghiali e, nell’ultima stagione, anche della siccità che si è registrata durante la maggior parte del periodo estivo, i cavatori sono stati costretti ad accontentarsi di raccolti decisamente più poveri. «I tartufi sono formati per circa l’80% di acqua – dice -. Se non piove a sufficienza, dunque, ci imbattiamo in pezzature molto piccole». Minori quantitativi significano, inevitabilmente, aumento dei prezzi di vendita. Stando al borsino che l’associazione tartufai aggiorna ogni settimana, siamo oggi intorno ai 300 euro al chilogrammo.

«Benché sembri il contrario – evidenzia Caputo – parliamo di una cifra estremamente bassa se si considera che tartufi di qualità raccolti in altre aree d’Italia, penso a quelli di Norcia e Spoleto, arrivano anche a mille euro al chilogrammo». Il principale mercato di riferimento del tartufo nero di Bagnoli Irpino è la Campania, ma si registrano discreti flussi di vendita anche in Puglia e nel Lazio. Tuttavia, ad opera di singoli imprenditori, l’oro nero d’Irpinia raggiunge tutte le regioni italiane e anche paesi all’estero, come Germania, Svizzera, Gran Bretagna e Stati Uniti, producendo un guadagno per i cavatori locali di circa un milione di euro all’anno.

«Il tartufo nero di Bagnoli – spiega Caputo – ha una lunghissima storia alle spalle e credo che si debba investire di più per valorizzarla. Era già presente nella mappa alimentare del Regno delle Due Sicilie, basti pensare che nel 1736 re Carlo di Borbone ricevette in dono un cesto di tartufi provenienti dalla provincia di Avellino».

Insomma, un vero e proprio tesoro da tutelare e proteggere capace, in prospettiva, di svolgere un ruolo determinante in termini economici in Irpinia. Intorno ad esso, infatti, sono già stati costruiti eventi in grado di attirare curiosi ed appassionati, ma l’obiettivo di molti rappresentanti istituzionali è quello di promuovere un turismo enogastronomico stabile

Il Mattino – 5 Dicembre 2024

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