Un’iniziativa degli amministratori democratici per la valorizzazione turistica del Laceno. Il villaggio turistico ha ora duecento villette
La strada sbuca improvvisamente sull’altipiano del -Laceno, dalle groppe selvose del monte Cervialto a oltre – millequattrocento metri. Una volta quassù, si presenta allo sguardo uno spettacolo imprevisto. Dopo cinquanta chilometri di strada che da Avellino si spinge sempre più a sud e più in alto; dopo aver attraversato un paesaggio aspro e quasi inaccessibile, ricco di acque e di boscaglie, lungo tornanti che si avvolgono sui fianchi dei monti, avventurosamente, affacciandosi su ampie vallate da strapiombi alti alcune centinaia di metri, ecco che di colpo lo scenario si muta in un angolo di Svizzera.
L’altipiano col suo laghetto montano, il villaggio turistico fatto di piccole casette, tipo chalet, col tetto aguzzo, tutte linde, raggruppate verso Mezzogiorno e dietro ancora i fianchi del monte coperti di boschi di conifere. E c’è una aria frizzante che nelle sere di agosto occorre indossare il maglione. II posto è di quelli dove si rinfranca persino la salute più compromessa. Consente lunghe passeggiate nei boschi, dove si trova abbondanza di selvaggina. E poi il silenzio, prezioso patrimonio che va abbandonando le località alla moda, qui signoreggia, rotto solo dai campanacci delle mandrie che pascolano sui monti.
Sempre lì pronte a fornire latte e formaggi freschi vi è chi afferma che dall’autunno a primavera quando le acque del lago crescono, si possono pescare bellissime trote. Il presidente del premio cinematografico che si assegna quassù, è un entusiasta del luogo. Quando cominciò a sorgere il villaggio, una decina di anni fa, il suo chalet fu tra i primi ad apparire. Da bambino — ci spiega — mio padre mi portava spesso qui. Allora non vi erano neppure le strade, sono rimasto sempre innamorato».
Le casette del villaggio ora sono circa duecento; con alberghi, pensioni, bar e ristoranti. Chi vuole costruirsi quassù un ritiro, uno chalet, una cosa qualunque, purché si adatti al paesaggio, non ha che da dirlo. Il Comune di Bagnoli, che è retto da una amministrazione democratica, si occuperà di aiutarlo nella scelta del luogo. Decisa la posizione, il terreno è suo, da seicento a mille metri quadrati. Glielo regalano. O, meglio, lo regalavano fino a qualche anno fa. Perché poi si scopri l’esistenza di una legge la quale proibisce che si alienino gratuitamente suoli demaniali. Per dare soddisfazione alla legge adesso si paga un prezzo a titolo simbolico: sette lire per metro quadrato.
A Bagnoli Irpino corre però la voce che presto in Consiglio si discuterà un «arrotondamento- del prezzo. Della notizia si parla molto, e i più sembrano contrari. Finché il prezzo è simbolico, vada — si sostiene — ma un aumento farebbe cadere l’originalità dell’iniziativa, che inoltre mancherebbe allo scopo di attirare quelli che aspirano ad uno chalet in montagna, senza compromettere l’incolumità dei risparmi. Né, peraltro, l’aumento consentirebbe di reperire le somme necessarie per aprire altre strade, per i servizi sociali, le attrezzature turistiche. Molte infatti, sono le cose che si vorrebbero realizzare. Vi è chi suggerisce di attrezzare campi di sci moderni. Ma il denaro non è sufficiente e di investimenti pubblici non se ne parla neppure. Le attrezzature esistenti, sono quelle di un villaggio alpino: né troppe, né troppo comode. Chiunque, però può trovare una discreta sistemazione negli alberghi «Sorgente Tornola». «Cervialto», «Laceno», «Taverna Capozzi», che oltretutto, fanno anche una buona cucina, sana e tipicamente di montagna.
Alla cabina telefonica, abbiamo incontrato una balla ragazza. E’ napoletana, ma abita a Salerno. Doveva parlare al fidanzato che sta a Torino. I suoi posseggono quassù uno chalet, abbastanza grande, e ci vengono ogni estate a villeggiare. «Per noi ragazzi — ci dice — non c’è molto da scegliere ed un po’ ci si annoia. Ma ci veniamo sempre volentieri». Come lei ce ne sono molte. Vengono con le famiglie da Napoli, Salerno, Avellino e da tutta la regione. La sera le si incontra preferibilmente a «La lucciola», in calzoni e maglioncino, che gettonano il juke-box e ballano coi loro amici. L’ambiente sta a mezz’aria tra una discreta riservatezza e una mondanità leggermente paesana. Spesso a – La lucciola c’è anche il complessino. Ai primi di agosto c’era Pino Acerra con i suoi “I principi”, che cantava tra luci rossastre e fintamente diaboliche, facendo intenerire le sue più giovani ed indifese ammiratrici.
Ad alcuni tavoli sono intere famiglie che vengono anche da fuori, in gita. E l’occasione è sempre buona per andare ad assaggiare la pasta al forno di cui è specializzato il ristorante del “Cervialto” o per dare fondo alle dispense dei «Laceno» e della «Taverna Capozzi» ben provviste di squisiti ravioli, prosciutto, tartufi, funghi, selvaggina, e dei vini forti del Volture. Molti, che sono rimasti qui abbastanza da prendere contatto con la ospitale e civile comunità del villaggio, quando scendono di nuovo verso i convulsi traffici delle città, provano un certo rincrescimento. Ed è allora che si promettono di tornare.
Franco De Arcangelis – l’Unità 9.8.1964