Rachele Branca: «Mi ispirano le forme di queste montagne, sono il mio ambiente»
Scarne, sintetiche, le sue opere ci permettono di scoprire in un modo nuovo quello che già conosciamo, perché si legano all’Irpinia, alle sue storie e ai suoi oggetti tradizionali. Artista di Bagnoli, ogni giorno si affaccia alla finestra della sua casa-studio e guarda la Celica: la Vacca di Fuoco, la Mefite, l’Inchiodata, le sue linee sono donne, figure che rimandano alla terra, alla ceramica lavorata a lungo con le mani, alla solitudine dei campi isolati, ad una spiritualità antica…
La vacca di fuoco, la Mefite, l’Inchiodata: le sculture di Maria Rachele Branca sono donne. Le sue opere rimandano ad un immaginario di femminile ancestrale, alla terra, alla creta lavorata a lungo con le mani, alla solitudine dei campi isolati, ad una spiritualità antica.
La sua ultima esposizione è stata a Sant’Angelo dei Lombardi nell’ambito del Goleto Festival che ha dato ampio spazio alla sapienza degli artigiani irpini con una collettiva allestita dal +tstudio nelle Aule Liturgiche della preziosa Abbazia.
Per conoscere l’arte di Maria Rachele siamo arrivati alle radici della sua formazione che ci hanno condotti alla sua infanzia: «Fin da bambina avevo una passione per l’espressione artistica che si manifestava con un particolare talento nel disegno. Così quando è arrivato il momento di scegliere l’indirizzo per le superiori ho scelto l’Istituto d’Arte anche se comportava prendere il pullman da Bagnoli tutte le mattine all’alba. Ho cominciato a maturare un legame con l’arte, ma non mi pensavo come artista, provavo un piacere forte ad entrare nelle chiese del mio piccolo paese, a studiarne la cultura, ad apprendere le tradizioni del territorio».
Dopo il terremoto del 1980 si trasferisce a Firenze, dove sceglie di frequentare l’Accademia di Belle Arti, indirizzo Scultura: «Mi affascina da sempre l’idea della plasticità, la possibilità di realizzare opere a tutto tondo, di manipolare i materiali per realizzare quello che ho nella testa. Il mio è stato un doppio percorso. Se l’Istituto d’Arte ha gettato le basi per un avvenire da artigiana, permettendomi di conoscere a fondo la materia, l’Accademia mi ha insegnato ad utilizzare la ceramica per un uso artistico e non solo funzionale. Così ho cominciato a fare ricerca grazie anche agli insegnamenti del Maestro Vincenzo Bianchi, un mentore nella formazione in Scultura».
E quando c’è stato bisogno di trovare un lavoro, Maria Rachele Branca ha deciso di dedicarsi al restauro: «Mi sono occupata perlopiù di elementi lapidei molto particolari in diverse zone dell’Italia, ora riporto questa esperienza nel mio lavoro da artigiana, nelle rielaborazioni dei decori, nel recupero della tecnica a colombino che è molto antica. Ma ho voluto mantenere aperto un laboratorio personale di ceramica artistica, per garantire a me stessa un’autonomia, la possibilità di lavorare senza costrizione, dopo aver eseguito svariate committenze, che si legano per forza di cose ad un tema, ho voluto uno spazio privo di vincoli. Osservo tanto quello che ho intorno, guardo al passato ma con gli occhi della contemporaneità, aprendomi sempre al nuovo attraverso le mie linee».
Le abbiamo chiesto perché ha lasciato una Città d’Arte come Firenze per tornare a casa e la risposta è stata di una semplicità disarmante: «Perché intorno ho le montagne, le forme e le masse più belle da ammirare, sono forti, vengono fuori dalla terra e vanno verso il cielo. Ogni volta che mi sveglio in questa campagna tra Bagnoli e Montella mi affaccio e vedo la Celica, in qualche modo mi ispira nel suo essere selvaggia. In Irpinia c’è tantissimo da prendere, le storie e gli oggetti sono oltremodo significativi. Ho voluto fare un omaggio alla Mefite sintetizzando in una scultura una donna e una dea vista dalla parte di chi la venera e la ringrazia, così come la scultura della Vacca di Fuoco rimanda ad un rito tra il pagano e il cattolico in uso a Bagnoli: per chiudere la mungitura i pastori offrivano a San Rocco questa vacca e ancora oggi – il 16 agosto – gira intorno alla piazza questo animale imbottito di fuochi d’artificio in un momento ludico e allo stesso tempo molto suggestivo».
Scarne, sintetiche, le sue sculture ci permettono di scoprire in un modo nuovo quello che già conosciamo: «Uso la ceramica, a volte la pietra, spesso la terracotta. Mi interessa l’insieme dell’opera e quel legame emotivo che si crea nell’asse tra me, la scultura e i fruitori. Ogni artista ha un messaggio e io credo che l’arte sia una forma importante per esprimersi attraverso il segno che lasciamo. L’Irpinia sottovaluta questo potenziale, considera la cultura, l’arte come un orpello, qualcosa di secondario che può essere improvvisato. Però devo dire che arrivano anche su questo tema dei segnali di cambiamento, bisogna solo continuare ad educare sia gli artisti che il pubblico per fare in modo che quello che abbiamo sia riconosciuto come un valore e si sposi con quello che vorremmo ci fosse in più».
Qui ha trovato il suo posto felice in cui crescere come persona e come artista: «Mi piace l’Irpinia e l’ambiente in cui vivo è giusto per me. Ma so riconoscere che una politica assente ha rovinato molte delle possibilità che avremmo potuto avere. Vedo che non abbiamo saputo avere cura del Laceno, non abbiamo guardato al merito e questi atteggiamenti mi hanno fatto male. Credo in quell’artigianato che è visione di un territorio, vorrei che le scuole insegnassero a studiare quello che c’è, ad elaborarlo, evitando di riproporre i soliti modelli agli studenti. Di tutto questo esiste ancora poco, si nasce già con l’idea di dover andare via e forse proprio questo pensiero andrebbe invertito».
Maria Fioretti (Orticalab.it)