Il Giro d’Italia approda per la prima volta sull’altopiano del Laceno, nell’Appennino più segreto

Gianni Brera (La Gazzetta dello Sport del 29.05.1976)

La corsa rosa per la prima volta arriva sul Laceno e a raccontarla non poteva che essere il grande Gianni Brera. Attraverso le colonne della Gazzetta dello Sport con la straordinaria prosa immortala il paesaggio lacenese, Nessun fotografo avrà il coraggio di bagnarsi per inquadrare il gruppetto dei primi sotto la curva di una canna da pesca immobile: forse non è nemmeno credibile che esistano pesci in questo lago di pura invenzione poetica”.  Una tappa ostica e inebriante allo stesso tempo per tutti, “Come a Coppi quel giorno, è venuta fuori la bambola a Moser. Domani ci aspettiamo montagne terribili e tutto può accadere, a chi corre e a chi segue, poveri noi. Qui chiudo. Sono in bambola anch’io.  Ciao”. Buona Lettura. G.T.


Lago Laceno, 28 maggio 1976. Il Giro d’Italia come tranche de vie. La maglia Rosa Cecchin Moser inghiotte rapporti presuntuosi e non riesce a digerirli. D’un tratto gli prende il torcibudella. I suoi occhi si fanno più torvi e sdegnati. Il margine lo attira con lusinghe terribili. Un grido maligno echeggia sopra l’assiduo sgrillettare dei mozzi. La chanson de gestes decade a cronaca termale. Qualcosa ha fatto Moser per sola e deprecabile incidenza del vegetativo, che è la proiezione animale della nostra coscienza. Intorno a lui ha luogo un concitato fuggi fuggi. Il grido è stato un hallalì quasi spregioso. Nessuno, alla fine, avrà il coraggio di confessarsi complice. Il nostro epos rifiuta queste situazioni in fondo grottesche. Ormai afflitto da dissenteria non è concepibile mai. I protervi mori si avventano solo a integri eroi. Al Giro, invece, si usa cogliere l’occasione fuggendo. Moser maglia Rosa dalla cintola in su. Lungo le sue gambe avventurate si consumano drammi odiosi. E in testa alla corsa di montagna folleggia stranito un velocista, famoso a nome Sercu. La gnagnera del giorno che segue non lo tange. Ha pedalato ieri per mero onor di firma. Oggi si sente fresco e capace di humor più di sempre. Cavalchiamo attraverso paesaggi lunari. Tuttavia Panizza, prealpino, si sente a casa. E’ lui ad iniziare la rincorsa. Il ritmo impedisce la minima illusione a chiunque non abbia garretti adeguati. Sercu annuisce con sollievo quando lo saltano allupati gli specialisti. Qualcuno che ha senso dell’Humor si rallegra. Tartarin in montagna è volgare paradosso. Panizza saltella, piccolo e tosto, sui pedali come camoscio. Il dramma di Moser si consuma rapidamente. I suoi nemici corrono dietro volpi sicure. Panizza e De Muynck debbono rassegnarsi. La strada impenna Brusca oltre Bagnoli Irpino. Abeti e faggi ispessiscono l’ombra del bosco. Non so chi sia più brutto fra questi ossessi aggrappati al manubrio. Li accende una volontà quasi acre di vendicarsi. Rema di spalle anche Merckx, impegnato allo stremo. De Vlaeminck torce buffamente il collo mentre digrigna altre pedalate. Gimondi è forse il solo a non perdere l’appiombo. Il suo antico profilo di sioux non si corrompe. Nel cronista è piacevole stupore: il tifo l’aveva consigliato per il meglio: lui e non altri gli era parso il più bello a Ostuni. La strada si adagia ingannevole in una vasta dolina che poca acqua non basta a trasformare in lago. Nessun fotografo – temo – avrà il coraggio di bagnarsi per inquadrare il gruppetto dei primi sotto la curva di una canna da pesca immobile: forse non è nemmeno credibile che esistano pesci in questo lago di pura invenzione poetica. La strada corre sul falsopiano e i primi si preparano alla volata. Moser arranca da lontano, amaramente battuto. La grinta di De Vlaeminck si contrae nell’ultimo sforzo. Deve molto impegnarsi Merckx per non cedere al sorprendente ritorno di Gimondi. Non serve ora strogolare sui tempi. Gimondi è maglia rosa dopo anni: alla sua ruota sono quasi tutti i battuti di ieri, i nostri agili camosci umiliati sul passo: Bertoglio, Battaglin, Valdi, Oliva, Panizza, Baronchelli.

Questo che abbiamo seguito oggi è il tappone del sud: km 256 dallo zoo safari di Fasano alla conca di Lago Laceno: una lenta e defatigante sgroppata dal mare Adriatico all’Appenino più segreto, imbastiti anche noi fino all’accidia. Non ha insegnato Binda che le tappe a cronometro vengono sempre seguite da anabasi indolenti? Il dio Tempo ignora proprio perché pedalare nell’astrazione è rischio incongruo. E chi non s’abbandona alle sue lusinghe conserva garretti capaci di ogni sorpresa.

Sercu vittorioso in montagna avrebbe fatto scandalo molto più del relativo tracollo di Moser. Ne hanno avuto coscienza i signori protagonisti o li hanno solo spronati, da ultimo, l’imbarazzo del loro evasore di ieri. Il ciclismo conserva intatto il suo fascino proprio perché obbedisce quasi sempre alla logica. Ogni corridore fornisce viva via gesti che si aggiungono all’epos comune. Giorno per giorno si delinea una vicenda che nessuno può sognarsi di anticipare. Una cotta omerica ha scontato Fausto Coppi sulla fettuccia di Terracina, che non Terracina, che non presenta dislivelli di sorta. Si allegramente a Napoli, faceva caldo: Casola e altri mattocchi si buttavano ogni poco nel canale della bonifica pontina. A Faustin gli è venuta fuori l’indigestione contratta nella cronometro del giorno innanzi: d’un tratto ha preso a barcollare come ebbro: i gregari lo portavano innanzi a spintoni. Come a Coppi quel giorno, è venuta fuori la bambola a Moser. Domani ci aspettiamo montagne terribili e tutto può accadere, a chi corre e a chi segue, poveri noi. Qui chiudo. Sono in bambola anch’io.  Ciao.

Gianni Brera (La Gazzetta dello Sport 29.05.1976)

(da Fuori dalla Rete, Novembre 2021, anno XV, n. 5)


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