Il Festival Internazionale del Cinema – che si terrà ad Avellino dall’1 all’8 dicembre – comincia il suo percorso con due proiezioni negli spazi del Circolo Arci: il 20 e il 29 novembre appuntamento con i film di Elia Suleiman e Amir Naderi. Ne abbiamo parlato con il presidente di Avionica, Andrea Cresta: «Lavoriamo ogni giorno per andare oltre la superficie e creare un’alternativa ai singoli eventi»
Il cinema è un bene culturale, con le sue opere, i suoi film, i suoi autori, i suoi luoghi. Un patrimonio e allo stesso tempo un linguaggio da condividere, diffondere e tutelare.
Provano a farlo insieme – in città – il Laceno d’Oro e il circolo Arci Avionica, protagonisti di due appuntamenti che anticipano l’inizio della quarantasettesima edizione del Festival, simbolo della storia cinematografica di Avellino e dell’Irpinia: nato nel 1959 da una felice intuizione di Pier Paolo Pasolini e Camillo Marino, è stato portato avanti dall’associazione culturale ImmaginAzione.
Nel tempo è cresciuto, assumendo una dimensione internazionale, ospitando pellicole provenienti da tutto il mondo, capaci di fare una narrazione del reale attraverso le immagini in movimento. Da questa evoluzione è nato un concorso per lungometraggi e cortometraggi, oltre alla sezione Spazio Campania dedicata ad opere realizzate da autori campani e prodotte nella regione. Senza dimenticare prima il Premio Camillo Marino e poi quello intitolato a Giacomo D’Onofrio: ad averlo tra le mani sono stati – per citarne alcuni – Ettore Scola, Gillo Pontecorvo, Aurelio Grimaldi, Antonietta De Lillo, Vincenzo Marra, Ken Loach, i fratelli Jean-Pierre e Luc Dardenne, Marco Bellocchio, Laurent Cantet, Paolo e Vittorio Taviani, Olivier Assayas, Jia Zhang-Ke che da un anno all’altro sono passati per la provincia, omaggiandola con incontri e visioni.
Il 20 e il 29 novembre saranno gli spazi di Avionica – avamposto resistente di cultura, arte, creatività e partecipazione – ad ospitare la proiezione dei titoli più significativi del regista iraniano Amir Naderi e dell’autore palestinese Elia Suleiman, che al Laceno d’Oro hanno ricevuto entrambi un riconoscimento alla carriera: domenica, dalle 20.30, l’appuntamento è con Il tempo che ci rimane , la storia di una famiglia palestinese residente a Nazareth ripercorsa lungo un arco temporale che va dal 1948 ai giorni nostri. Il regista – e interprete – ritesse i fili a partire dalle memorie contenute nei diari di suo padre e nei suoi ricordi personali, facendo di fatto un ritratto della vita quotidiana dei palestinesi che sono rimasti nella loro patria dopo la guerra del 1948 e la creazione dello stato d’Israele. Mercoledì invece sarà la volta di Marathon – Enigma a Manhattan di Naderi che indaga le ossessioni, i disturbi e le manie della protagonista Gretchen, capace di ingaggiare ogni volta una sfida con se stessa nella metropoli tentacolare.
Ma non sarà come andare semplicemente al cinema, la piccola sala di Avionica non vive di mera fruizione, ci spiega il presidente Andrea Cresta: «Tutte le nostre iniziative prevedono un momento di riflessione, di confronto e di dibattito, sia nella fase organizzativa che nel momento in cui vengono realizzate. Per questo ci teniamo ad essere parte del percorso di avvicinamento al Festival, è un’occasione di allargare lo sguardo in ogni senso, sulla città, sul cinema, sulle possibilità culturali».
Nell’attesa della settimana del Festival Internazionale del Cinema Laceno d’Oro – che, ricordiamo, si terrà dall’1 all’8 dicembre – è affidato ad Avionica il compito di farci entrare nell’atmosfera: «I due film selezionati avranno di sicuro il potere di stimolare un dibattito, perché sono estremamente interessanti, pur essendo molto diversi. Ci permetteranno di ragionare, da un lato, sul conflitto israelo-palestinese e dall’altro sul tema della salute mentale e delle solitudini, in relazione ad una città, ai suoi ritmi e alle sue frenesie. È il bello del cinema del reale che riesce ad inserirsi nella contemporaneità, a ridefinire le coscienze, a lasciare nello spettatore qualcosa che resta anche quando le luci si riaccendono».
Due esperienze che si intrecciano per la prima volta ad Avellino: «Siamo onorati di essere entrati a far parte della rete che contribuisce alla crescita del Festival – continua Andrea Cresta – per provare a costruire un legame sempre più stretto con il territorio. Anche noi abbiamo scelto di puntare sulla cultura e sulle sue espressioni, senza limitarci all’intrattenimento, ma interpretandola come lo strumento per costruire una nuova società e nuove consapevolezze. È un progetto e un impegno quotidiano, abbiamo questo in comune con il Laceno d’Oro, oltre alla volontà di accorciare le distanze. Che Avellino fino ad ora non abbia saputo riconoscerne il valore è un tema su cui dovremmo interrogarci».
Dopotutto fare cultura è fare politica, in città può trasformarsi addirittura in un’impresa rivoluzionaria: «È emblematico l’evento spot con cui sono state riaperte le porte della Casa della Cultura Cinematografica, intitolata proprio a Camillo Marino e Giacomo D’Onofrio. Ma lo vediamo anche nella gestione delle politiche culturali, che praticamente sono inesistenti. Lo diceva proprio Ettore Scola (a cui il Comune di Avellino ha intitolato un premio, consegnato all’Eliseo il 28 e il 29 ottobre, ndr) in un’intervista al Teatro Valle Occupato di Roma, che ci saremmo dovuti preparare ad un referendum perenne sulla cultura, perché come l’acqua è un bene comune, è un diritto, è un servizio essenziale che si cerca sempre di mettere in discussione, di far passare come marginale. Invece è una priorità e Avellino non sta lavorando in questo senso, scegliendo di puntare esclusivamente su mega programmazioni estive o natalizie, che andrebbero anche bene se non fossero l’unica proposta. Corriamo il rischio di sottovalutare una questione fondamentale, fermandoci alla superficie e accontentandoci di una visione limitata».
Maria Fioretti
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