Il Miracolo dell’ Immacolata di Bagnoli Irpino (terza parte)

di Antonio Camuso

Donati al  Cardinale  i burri e 50 lire al mulo che trasportò il suo letto.


Assuefatta dal bilancio quotidiano di centinaia di vittime da Coronavirus, l’attenzione pubblica, in quest’ultima parte dell’anno terribilis 2020, è stata monopolizzata dalla difficile trattativa europea sullo strumento finanziario del Recovery Fund e le sue capacità di risollevare l’economia italiana. Uno strumento messo in pericolo da un artificioso veto da parte di paesi del gruppo di Visegrad, quali Polonia ed Ungheria, e miracolosamente rimosso a ridosso della festività dell’Immacolata.  Si potrebbe ritenerlo un dono miracoloso da Colei alla quale, anche i più agnostici, si rivolgono nel momento del pericolo. Il Papa Bergoglio quest’anno, l’8 dicembre, di primo mattino, sotto la pioggia e in solitudine, ha voluto porLe omaggio e invocare la Sua grazia nell’aiutare l’Umanità in questo grave momento.

Questa considerazione mi ha spinto a scrivere quest’articolo per Fuori dalla Rete, completando la terza parte, rimasta in sospeso, di due precedenti ricerche pubblicate sullo stesso giornale, riguardanti i festeggiamenti a Bagnoli Irpino, nel giugno 1947, per l’Incoronazione della S.S. Immacolata. Nella prima parte (Fuori dalla Rete, settembre 2019) ricordavo come, quel memorabile evento, fu possibile grazie  al contributo del popolo di Bagnoli, ma anche dei suoi figli emigrati.

 Grazie a ciò non si badò a spese, nonostante le grandi difficoltà che affrontava l’intero nostro Paese, compresa l’Irpinia, quale segno di fiducia, per il futuro, nell’aiuto dalla Santa protettrice. Una convinzione che accomunava tutti i bagnolesi, emigrati compresi, rinsaldando quei legami identitari che poterono far sì che si replicasse quell’anno un altro miracolo, che coinvolse l’intera Irpinia: il sostegno economico che giunse, dalle comunità irpine d’oltreoceano, sollecitate dalla Missione Irpina, partita da Avellino, mentre lo Stato provava a rimpolpare le sue scarse casse con il Prestito della Ricostruzione. (Vedi Seconda Parte, Fuori dalla Rete, maggio 2020)

In questa terza parte, dedicata ai festeggiamenti del giugno 1947, voglio regalare un po’ di buonumore al lettore, attraverso l’analisi, al limite della “spulciatura”, del rendiconto delle entrate e delle spese che fu pubblicato in un documento dal comitato organizzatore. Grazie alla disponibilità della signora Marisa Cione di Bagnoli Irpino mi è stato possibile consultare dal suo archivio personale tale documento e la ringrazio per l’ennesima cortesia e la sensibilità nel contribuire al salvataggio della memoria storica e culturale del proprio paese.[1]

La mia, non sarà una ricognizione con la lente dell’ufficiale delle tasse, bensì quella dell’archeologo che dinanzi al ritrovamento di un manufatto cerca di identificare la mano di chi lo modellò, il suo uso sociale e religioso, cercando di comprendere la società che ne faceva uso e se di esso vi sono tracce anche nella nostra modernità.

Molte le curiosità che mi hanno colpito in questa ricerca, confermando che dietro fuochi d’artificio, bande musicali, feste patronali, ecc esistono legami socio-economici tra comunità anche molto distanti tra loro, Un insegnamento  che ancor oggi può esser utile nell’innescare meccanismi di economia circolare e solidale,  capaci di sostentare arte, cultura e artigianato  e , se supportate da strumenti finanziari  adeguati, innescherebbero percorsi progettuali di lungo respiro, ed in particolare nel Meridione.

Con questa predisposizione d’animo ho colto in quelle che a prima vista potevano sembrare  note folcloristiche  sulle cosiddette” usanze paesane”,  come vi fossero  tracce  di riti sacrificali che si perdono nella notte dei tempi, ma anche a legami mutuali di servitù provenienti da quel Medioevo che ha plasmato l’Europa cristiana, ma anche i piccoli “paesi presepe” dell’Irpinia. Decime e corvè, richieste da abati, priori o vescovi-conti, in nome della loro funzione  d’intercessori con le potenze celesti, (ma anche come possessori di grandi latifondi ecclesiastici) e ottenute  in “natura” (prodotti della terra e prestazioni d’opera), in tempi di scarsa circolazione monetaria,  son rimaste instillate nel nostro mondo rurale e contadino. Identiche prestazioni  eran gradite anche dai dominus laici come pagamento del banno o della mezzadrìa, del legnatico,  garantendo l’uso di terreni ma anche protezione da invasioni,  briganti o carestie.[2]

Oggi sembrerebbe anacronistico offrire a un Cardinale o a un Principe,  burri, provoloni e castagne in segno di dono o devozione, eppure è ciò che avviene quando il Principe Umberto visita il convento di San Francesco a Folloni nel 1937[3], ma anche  dodici anni dopo al cardinale Giuseppe Bruno giunto da Roma a  benedire la Corona dell’Immacolata in quel giugno 1947.

Sono questi i prodotti di eccellenza del mondo contadino irpino,  di quali il “bagnolese” ne va fiero  e chi li riceve, è consapevole di quanto sudore  e fatica siano costati. In questo reciproco rapporto  tra i due attori si crea un feeling superiore al valore numerario del dono.

 In questo contesto troviamo, nel capitolo spese,  le 200 lire date al signor  Gatta Giuseppe per acquistare  pane e uova per il predicatore o ancora la spesa di quasi 6000 lire per i burri regalati al Cardinale. Doni molto graditi dallo stesso,  facendo sì che nei Palazzi Vaticani, portasse con sé non solo la religiosità della verde Irpinia,  ma anche i suoi odori e sapori semplici ma sinceri, come il popolo che aveva imparato a conoscere in quei tre giorni di festeggiamenti alla SS Immacolata di Bagnoli Irpino.

Nell’elenco delle entrate forse, il rito che più ci avvicina all’arcaicità tra il rapporto degli umani e il Divino/dominus  è il bacio del velario- reliquia dell’Augusta Vergine che fruttò lire 2400 alle casse degli organizzatori.

E ancora agli usi del mondo rurale, Bagnoli Irpino compresa,  possiamo ricondurre le vendite all’asta per l’autofinaziamento della festa, di prodotti della terra e dell’allevamento, offerti da contadini, pastori, allevatori, produttori caseari,  ma anche da artigiani e gente comune  che offrirono a tale scopo  oggetti utili alle esigenze del viver quotidiano.

 Intorno a questi gesti si riconosce l’identità di un’intera comunità, che oggi definiremmo al limite della povertà,  ma semplice e orgogliosa dei valori instillati nel suo DNA.

Le aste di prodotti  e oggetti per l’autofinaziamento.

Iniziate il 18 maggio 1947, proseguirono durante e dopo la festa dell’Incoronazione, divenendo  anche occasione di pubblicità per i prodotti locali, e conferma  di  quanto fossero apprezzati.

In questo cointesto,  il 15 maggio, la vendita di ricotte  fruttò Lire 48.000, e ancora il 18 maggio, ricotte e patate permisero l’incasso di altre 11.500 lire, cui si aggiunsero 1.500 lire  per la vendita di due tavoli in castagno, e una identica somma per 218 pali in legno; nello stesso giorno fu messa all’asta oggettistica per un ricavato  di lire 34.580.

Un altro prodotto locale ben apprezzato fu il formaggio che in quantità di  176 chili e al prezzo di 450 lire al Kg  fruttò alle casse del Comitato Organizzatore ben 79.000 lire; proseguendo troviamo  due ricotte vendute  il 1 giugno per  200 lire, e poi 15 kg di ricotte e patate per altre 1060 lire  ma anche la messa all’asta durante i festeggiamenti il 17 giugno di torroni, provoloni e conigli per lire  5.950.

Offerte che proseguirono a feste concluse, nell’estate, dopo la mietitura e la tosatura degli armenti quando furono venduti in beneficenza kg 19 di lana per 21.000 lire e grano per 7.700 lire e ancora  10 canne e tre palmi di legna dalla cui vendita si ricavarono 47.000 lire.

Anche il mulo fu pagato…

Tra le notizie curiose, la più esilarante è quella delle lire 50 date al mulo che trasportò i letti per le Eminenze presso la casa/palazzo del dottor Troianello; ci auguriamo che esse si siano trasformate in ottima biada.      Il banditore del paese, una figura ormai scomparsa e che ci riporta all’ infanzia di noi  ultra sessantenni, fu pagato con lire 130, poco più del doppio del mulo e meno della metà (300 lire) di chi diede fiato ai mantici dell’organo durante le funzioni religiose.

La Orchestra Concerto “Tito Schipa” di Squinzano.

Elemento comune di tutte le feste patronali e in particolare del nostro Meridione è l’accompagnamento dei cortei religiosi con le bande musicali, che nel finale danno sfoggio della propria maestrìa con veri e propri concerti  di musica classica.

Nei giorni dell’Incoronata, ad allietare fedeli e popolo accorso dai paesi circostanti, oltre alla banda locale, furono chiamate due bande musicali pugliesi: quella di Noci, in provincia di Bari, e l’Orchestra Concerto “Tito Schipa” di Squinzano (Lecce), rinomata per i suoi successi in tutta Italia e diretta dal sommo maestro Gennaro Abbate.  Una scelta di alto livello fatta dal comitato organizzatore, su una banda/orchestra le cui origini a Squinzano risalgono al lontano febbraio 1876 e che nel suo lungo cammino collezionò medaglie e diplomi, anche internazionali, sotto la guida del maestro Ernesto Abbate. Il miglior riconoscimento venne però dal celebre Pietro Mascagni in persona, che giunse nel 1928 a Squinzano per assistere in Piazza Plebiscito all’esecuzione del suo famoso “Amico Fritz”.

Moribondo, nel 1935, Ernesto Abbate volle al suo capezzale, per consegnargli la bacchetta, il fratello Gennaro Abbate, l’ultimo dei grandi musicisti pugliesi, dopo Giovanni Paisiello, e quel Niccolò Van Westerhourt che un tempo aveva soggiornato a Nusco.

Sotto la guida di Gennaro Abbate, la banda si trasformò in un’ammirata Orchestra e dopo la parentesi della II guerra mondiale, ricominciò a essere contesa in feste religiose e civili.

Fu un onore per Bagnoli Irpino, avere in quei giorni a dirigere il concerto finale, quel Gennaro Abbate invidiato dal suo rivale Pietro Mascagni.

Meritate furono quindi le 250,000 lire, di compenso al complesso orchestrale cui si aggiunsero a titolo di “regalia” lire 4000 al Maestro di Squinzano e lire 1000 al Capobanda. Una cifra pari a un quarto di milione di lire dell’anno 1947 che fu letteralmente una pioggia miracolosa che in nome dell’Immacolata di Bagnoli Irpino andò a rinsanguare l’economia di uno dei piccoli paesi di un Salento che in quei giorni era in preda a forti tensioni sociali, con occupazioni di terre da parte di braccianti e mezzadri, sanguinose repressioni ed esodo migratorio in Belgio e in Francia.

Miracolo dell’Immacolata anche per Noci che vide compensare la sua banda con 240.000 lire, la regalia di 4000 lire al maestro concertista e lire mille al capobanda.

Non solo i territori baresi e leccesi furono beneficiati dalla SS Immacolata, poiché il signor Luciano Salvatore di Serino fu compensato di lire 170,000 per l’illuminazione delle vie di Bagnoli e lui e i suoi operai ebbero un extra” regalia” di altre lire 8000.

Per i fuochi di artificio intervennero ben tre ditte specializzate: quella del signor Ariola di Nola, che ricevette lire 120.000 con aggiunto un premio di 2.000 lire, per la sua maestrìa nel far rimanere tutti incantati a naso in su . Anche l’altro pirotecnico , il signor Gammarino di Montemarano ebbe 70.000 lire di compenso e 7000 lire di premio.

Infine il pirotecnico bagnolese si dovette accontentare di un totale tra regalìa e compenso di 24.000 lire.

Gli orchestrali della banda musicale di Bagnoli Irpino si accontarono di lire 35.000 cui si aggiunsero lire mille al maestro concertista e lire 330 al capobanda.

Per la banda Musicale e il pirotecnico di Bagnoli, sembrerebbero esser giunti solo spiccioli, ma pur molto graditi, visti tempi che allora correvano, con generi di ogni specie e denaro contante che scarseggiavano in un’Italia che ancora utilizzava le caarte annonarie ereditate dalla guerra.

Su un giornale di quei giorni leggiamo come le donne dell’UDI di Napoli denunciassero che, a fronte della razione mensile di 330 grammi di zucchero, lo stesso, alla Borsa Nera, fosse possibile averlo “cash” a lire 900 il chilo, così come il pane comune a 180 lire il chilo e il riso a 360 lire il chilo. Prezzi drogati da un paese in piena carestia e che attendeva con ansia l’aiuto promesso dagli Stati Uniti di navi cariche di grano, carne in scatola, latte condensato e tanto altro.[4]

Termino qui questa sommaria analisi sul meccanismo virtuoso che s’innescò con i festeggiamenti dell’Incoronazione della SS Immacolata di Bagnoli, che permisero di far sì che il popolo bagnolese attestasse la sua devozione, ma anche la sua vocazioen alla solidarietà, aiutando col suo contributo una miriade di soggetti, artigiani, artisti, operai, di un’area che andava dalla Campania alla Puglia, mostrando il meglio di sé del suo cuore, delle sue capacità produttive e del suo meraviglioso territorio.

Antonio Camuso (Archivio Storico Benedetto Petrone)

(da Fuori dalla Rete, Dicembre 2020, anno XIV, n. 6)


[1] Splendori Mariani. Opuscolo commemorativo dei festeggiamenti per l’Incoronazione di Maria Ss Immacolata, patrona di Bagnoli Irpino,giorni 14-15-16 giuugno 1947. A cura del Comitato maschile organizzatore. (Archivio Marisa Cione, Bagnoli I.)

[2] L’economia rurale nell’Europa medievale, Georges Duby, vol II, Laterza editori, 1972

[3] Burri e catagne offerti al Principe Umberto di Savoia (Antonio Camuso, Il Monte n.1 2018)

[4] Roma-giornale del Mezzogiorno- , Napoli 19 luglio 1947 (Archivio Storico Benedetto Petrone, fondo Irpinia)


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