“Lo chiamiamo smartworking, scarichiamo le app, facciamo la Dad, ci incontriamo su Zoom, o di nascosto in un loft raggiunto con il Suv, ma se non abbiamo lo Spid non possiamo fare il cashback. Rischiamo il lockdown, perché non sappiamo rinunciare alla movida”.
Negli ultimi anni della storia linguistica italiana gli anglicismi continuano a crescere con intensità, insediandosi anche nel vocabolario fondamentale. Davanti alla loro invadenza assistiamo a un impoverimento della nostra lingua. Insomma, gli anglicismi sempre più spesso fanno regredire le nostre parole. Se preferiamo termini come smartphone invece di chiamarlo semplicemente telefonino e gli autoscatti fatti e condivisi con il telefonino si dicono selfie, viene da chiedersi per quanto tempo potremo continuare a dire parrucchiere invece di hair stylist, senza che suoni come un linguaggio da “vecchie signore cotonate”.
Trovo inammissibile che un’azienda italiana come Italo ha da poco, immotivatamente, sostituito la figura del capotreno con quella del “train manager” non solo nella comunicazione ai passeggeri, ma persino nei contratti di lavoro.
Nella Costituzione è scritto che la nostra lingua è l’Italiano!
E allora perché non mettere al bando “l’anglicismo” almeno sui quotidiani e in televisione. Evitare nel linguaggio istituzionale, politico e lavorativo, usare espressioni non italiane, per rispetto ai cittadini e in nome della trasparenza. Le voci inglesi rimangono in larga misura “corpi estranei”, violando le nostre regole di pronuncia e ortografia e il loro accumularsi snatura l’idioma del Bel Paese là dove “Il si suona”!
Gino Di Capua