Viviamo in un’epoca caratterizzata da una sorta di Mesocrazia, la democrazia retta da leader che, nella migliore delle ipotesi, sono dei mediocri, che assolutamente non reggono alcun tipo di confronto con i grandi politici del passato. Per rendersene conto basta pensare a Berlinguer o a De Gasperi e ai loro scialbi tentativi attuali di imitazione. Il problema, comunque, non riguarda solo l’Italia: pensiamo a Kennedy o Churchill paragonati ai loro attuali successori.
Il fatto, però, è che questa classe dirigente non si è autoproclamata: è stata eletta. Allora non abbiamo solo un problema di leader: abbiamo anche un grande problema di seguaci e, più in generale, di elettori.
Umberto Eco, in un saggio vecchio ormai più di cinquant’anni (“Fenomenologia di Mike Bongiorno”) chiariva perché il presentatore fosse popolarissimo e amatissimo, nonostante le gaffes che puntualmente caratterizzavano le sue imprese televisive. Eco sosteneva che quegli strafalcioni facevano parte di una precisa strategia comunicativa: un presentatore mediocre risultava più simpatico proprio perché mediocre, cioè vicino al livello medio di quanti guardavano la TV. Un fatto del genere sta succedendo, oggi, con la politica. Le volgarità che Trump ha detto in campagna elettorale (ad esempio sulle donne) non erano cadute di stile, ma facevano parte di una precisa strategia comunicativa: dimostrare che “the Donald” era uno come tanti, che pensava e diceva le stesse volgarità che pensa e dice l’americano medio.
L’affermarsi della televisione prima e di Internet poi ha portato alla ribalta personaggi mediocri, perché essi sposano benissimo la causa di un elettorato distratto, che non ha più tempo o voglia di riflettere e che oggi risulta largamente maggioritario nel mondo intero.
Pensate che, pochi giorni dopo il voto, molti elettori inglesi che avevano votato per la Brexit, resisi conto delle conseguenze, hanno cambiato idea. O agli americani, soprattutto quelli delle classi più disagiate, che si sono ampiamente pentiti di aver scelto Trump. Oppure, semplicemente, riflettiamo su quelli che non sono mai andati a votare perché stanchi o incapaci di esprimere una preferenza tra le varie opzioni in campo (e che, ormai, sono la maggioranza relativa in tutti i paesi del cosiddetto mondo sviluppato).
Allora, se è vero che abbiamo un bisogno disperato di una classe dirigente migliore, è altrettanto vero che abbiamo bisogno (come cittadini) di informarci di più e meglio, di riflettere maggiormente sulla scelta che andiamo a fare votando, di essere più consapevoli che quella scelta (o anche quella “non scelta”) ha delle conseguenze, immediate e a più lungo termine, sulla nostra stessa vita quotidiana.
Non solo: il giornalista, scrittore e docente universitario Moises Naìm, sessantacinquenne venezuelano, scriveva un paio di mesi fa su “Repubblica”: ‘Internet rende più facile ai peggiori demagoghi, a interessi oscuri e persino a dittature straniere, manipolare i votanti più disinteressati e distratti. La Rete non è solo una meravigliosa fonte di informazioni, si è anche trasformata in un mefitico canale di distribuzione di bugie trasformate in armi politiche. Su Internet siamo tutti vulnerabili, ma lo sono soprattutto quelli che, vuoi perché troppo occupati o vuoi per semplice apatia, non fanno grandi sforzi per verificare se le cose contenute negli accattivanti messaggi politici che gli arrivano corrispondano al vero’.
Insomma: l’uso inconsapevole e acritico di Internet è pericoloso, per ognuno di noi e per lo stesso futuro delle nostre società.