Un vecchio, che in paese non aveva un buco per abitarci, viveva nel pagliaio che si era costruito in campagna con argilla e rami. Nel suo campo, a due passi dalla Mefite, seminava soltanto cavoli. Ogni mattina, però, puntualmente ne trovava qualcuno mancante.
– Chi accidenti sarà? – si chiedeva tutte le volte. Una notte non andò a dormire. Si nascose dietro la porta del pagliaio e restò di guardia. A una certa ora della notte, come apparse dal nulla, tre capre penetrarono nel suo campo.
– Ah! ecco chi si mangia i miei cavoli! – esclamò il vecchio. Prese la scure e affrontò le bestie. Mentre due riuscirono a scappare, raggiunse la terza prima che scomparisse nella boscaglia. La colpì al capo con la scure e la uccise. Se la caricò sulle spalle e la portò nel pagliaio. Solo allora fu colto da un dubbio increscioso: – E se appartiene al mio vicino? E’ bene che la faccia sparire subito. – Scuoiò la capra, la tagliò a pezzi e la mise nell’acqua di una caldaia che già bolliva sul fuoco: – Quando sarà cotta, la metterò sotto sale e la mangerò un poco per volta.
Due ore dopo prese un pezzettino di carne e l’assaggiò. Era ancora cruda. Rianimò il fuoco sotto la caldaia. Ne assaggiò un altro pezzo un’ora dopo e la carne sembrava appena messa a cuocere. Bolli e bolli per l’intera nottata, la carne era sempre cruda. Stava per spuntare il giorno. In preda alla rabbia esplose: – Ma tu sei una capra o un diavolo con le corna?
– Diavolo sono! – rispose una voce dal fondo del pentolone. Nello stesso momento le bolle dell’acqua si levarono in aria, seguite dai pezzi di carne, che, una volta schizzate fuori, si unirono di nuovo… e la capra se ne andò con le sue zampe come se nulla fosse stato.
– Eppure io ho assaggiato la tua carne! – le gridò appresso il vecchio.
– In compenso tu mi hai portata sulle spalle – gli rispose la capra mentre si allontanava.
Il vecchio, però, non viveva tranquillo, sapeva bene quanto è testarda e vendicativa la razza dei diavoli. E stava sempre sul chi va là. Una sera d’inverno, mentre fuori imperversava il vento, al suo pagliaio si presentò uno sconosciuto, che era un pezzo di marcantonio. Era avvolto in un mantello nero e teneva il capo coperto da un cappuccio.
Il vecchio lo riconobbe a naso: “E’ lui!” pensò “Puzza di zolfo, ora è uscito dalla Mefite”. Là dice che viva la brutta razza dei diavoli. Senza l’invito del padrone, il forestiero intanto si era seduto accanto al camino.
– Come ti chiami? – chiese al vecchio.
– Iostesso, mi chiamo Iostesso – fu pronto a rispondere il padrone di casa che non diceva mai a nessuno il suo nome.
Intanto si preparava un boccone. Nella pentola versò un mestolo d’acqua, un cucchiaio d’olio, un pizzico di sale e un pezzo di pane raffermo: questo teneva. Mentre preparava il pane cotto, teneva gli occhi fissi sul pavimento. Si accorse così che sotto il lungo mantello nero lo sconosciuto, al posto dei piedi, teneva due zampe di capra. Levò gli occhi e, fissandolo bene in faccia, scorse tra i capelli arruffati due corna nascoste. Non si perse d’animo. Tolse la padella dal fuoco e, fingendo di inciampare, versò il liquido bollente sulle zampe dell’ospite. Nel balzare in piedi il forestiero lasciò cadere il mantello, mettendo in mostra il petto coperto di setole. Intanto per il dolore saltava e urlava come un dannato, invocando soccorso. Dalla Mefite che era lì a un tiro di voce, lo sentirono i suoi compagni: – Che ti è successo?
– Ah, che bruciore!
– Chi è stato?
– Iostesso, Iostesso!
– Se sei stato tu stesso, e allora che vuoi da noi? E’ con te stesso che te la devi prendere.
Aniello Russo
(da Fuori dalla Rete, Maggio 2020, anno XIV, n. 2)