Una provincia in cui non si nasce ma si emigra tantissimo, in cui diminuisce sempre di più l’aspettativa di vita e si consuma l’esistenza tra ristrettezze economiche, scarsa sicurezza, pochissimo sport e pochissima cultura.
E’ l’Irpinia che si desertifica, per come risulta plasticamente dai dati del rapporto sulla Qualità della vita nelle province d’Italia, con alcuni indicatori che segnalano un arretramento gravissimo e quasi irreversibile. Se è vero che la provincia di Avellino si posizione complessivamente all’ottantaquattresimo posto su 107 realtà, dunque guadagnano 9 posizioni sull’anno precedente, nei capitoli cruciali di demografia e società, cultura, finanze e sport, siamo davvero all’anno zero.
La provincia di Avellino è una terra in cui si partorisce tardi. Infatti è novantottesima per età media al parto. Ma l’emigrazione va fortissimo, infatti, si piazza all’ottantottesimo posto per il saldo migratorio totale, e al novantaseiesimo per il numero di iscritti all’Anagrafe degli italiani residenti all’estero. Mentre per il numero di immigrati regolari residenti siamo addirittura novantottesimi. Ma si vive anche poco. Infatti siamo novantaseiesimi in Italia su 107 province la per speranza di vita alla nascita. E vivono male soprattutto le donne, la cui qualità della vita si attesta all’ottantunesima posizione.
La crisi è evidentemente di carattere socio-economico. Infatti, nel campo della ricchezza e dei consumi, che ci vede complessivamente al 78esimo posto, l’Irpinia presenta alcuni parametri specifici allarmanti. Siamo al posto numero 94, ad esempio, per protesti levati, addirittura ultimi, al numero 107, per il prezzo medio delle case. Ed ancora al novantottesimo posto per la popolazione con crediti attivi, all’ ottantacinquesimo per assorbimento del settore residenziale. Novantottesimi, inoltre, per il tasso di popolazione con crediti attivi, ottantottesimi per spesa delle famiglie per il consumo di beni durevoli. Stesso piazzamento, da bassifondi, per valore aggiunto per abitante. Novantatreesimi, infine, per reddito medio da pensione da vecchiaia. I fragili, come gli anziani, sono sempre quelli che se la passano peggio.
C’è anche poca sicurezza e poca giustizia. Siamo solo 74esimi. I Comuni non sanno riscuotere le imposte, visto che siamo ottantottesimi, e questo si riverbera negativamente sulla collettività. Ma siamo tra i peggiori d’Italia per il tasso di incendi, che ci vede addirittura al centesimo posto, novantatreesimi per la durata delle cause civili, ottantanovesimi per delitti informatici e novantatreesimi per estorsioni. Alto anche l’indice di litigiosità, con l’Irpinia all’ottantunesimo posto.
Dulcus in fundo, si fa per dire, la cultura e tempo libero. E qui nulla di nuovo sotto al sole. Siamo al disastro. L’Irpinia è al centesimo posto in Italia. Malissimo per l’indice dello sport e in particolare con i bambini, al 95esimo posto. L’indice generale di sportività ci vede addirittura 97esimi. Ottantaduesimi per banda larga, per la presenza di palestre e piscine siamo 92esimi. La verde Irpinia, si diceva una volta. Ma in ambiente e servizi siamo allo stesso sfacelo. Novantunesimi per la presenza di sportelli bancari, 102esimi per isole pedonali, 93esimi per piste ciclabili. Qui sono una chimera. Come la stessa qualità della vita che il lavoro in oggetto ha provato a censire.
Una provincia che frana, all’interno di un Mezzogiorno che è tutto dall’altra parte della classifica. Luca Bianchi, direttore della Svimez, ne conosce bene le fragilità: «Questa è la fotografia di un declino in atto da diversi anni – commenta – e soprattutto di un indebolimento della qualità dei servizi pubblici, dopo i grandi tagli degli anni scorsi. I divari di cittadinanza si sono ancora più ampliati».
Al Governo Meloni, che come sempre accade sottolinea la necessità di ripartire proprio dal Mezzogiorno, indica la strada: «Abbiamo bisogno – spiega – innanzitutto di spendere bene tutti i soldi del Pnrr, di bloccare qualunque proposta di autonomia differenziata che cristallizzerebbe questi divari, e riequilibrare la spesa in servizi sociali. Non è possibile – sottolinea Bianchi – che l’offerta in sanità, scuola e servizi resti tale». E le aree interne? «Soprattutto qui – ammonisce il direttore della “Svimez” – bisogna investire in servizi e collegamenti. Bisogna ricostruire le attività produttive in quell’area, collegando meglio i centri medi con i paesi. E qui – chiosa – si è fatto troppo poco, anche a livello regionale. Siamo troppo indietro».
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