Il titolo di una canzone recente (e sconosciuta ai più, almeno a quelli come me non più giovanissimi) per ricordare fatti avvenuti tanti anni fa, anch’essi probabilmente sconosciuti ai più.
A metà degli anni “30 del secolo scorso, Mussolini decise che anche l’Italia doveva avere il suo impero. Così invase il cosiddetto Corno d’Africa, scatenando una guerra che doveva durare anni e che ha visto episodi di crudeltà assoluta, soprattutto in Etiopia, e della quale ricorre l’anniversario dell’inizio tra pochi giorni.
Riporto qui di seguito alcuni brani del libro “UFO 78” del collettivo Wu Ming, pubblicato da Einaudi nel 2022.
“Nel febbraio del 1939 il comandante superiore delle forze armate dell’Africa Orientale, generale Ugo Cavallero, decise di sgominare la resistenza etiope… e di catturare Abebe Aregai, l’irriducibile capo dei ribelli… Col supporto dell’aviazione, i soldati dell’Italia fascista attaccarono i partigiani (etiopi), li stanarono dai loro rifugi, incendiarono i villaggi che li ospitavano, sterminarono le mandrie al pascolo, uccisero gente con armi chimiche proibite dalle convenzioni internazionali. Ai primi di aprile la colonna italiana individuò un’enorme caverna… era una delle basi della resistenza etiope e ospitava, come risulta dagli appunti dello stesso Sora (il comandante della colonna italiana), 1500 uomini armati con oltre un migliaio di familiari, tra cui donne e bambini… Le arsine lacrimogene e l’iprite (gas velenoso) costrinsero i ribelli e i familiari ad uscire allo scoperto… Il sergente maggiore Alessandro Boaglio descrive così l’azione, nelle sue memorie:
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Le armi automatiche di tre battaglioni, più migliaia di fucili e un cannone vomitarono centinaia di migliaia di colpi verso la caverna e il sentiero, mentre si lanciavano bombe a mano sul sentiero, seminandovi la strage…
All’alba dell’11 aprile i superstiti si arresero. Circa ottocento uomini abili alle armi, tra i quali anche molti ragazzini, vennero fatti schierare a gruppi di cinquanta sul ciglio di un burrone, legati a due a due e uccisi a colpi di mitragliatrice. Le donne e i bambini furono risparmiati. Dalla fucilazione, ma non dall’esposizione ai gas… Scrive nel suo diario il maggiore Lorenzo De Ioannis:
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L’antro principale (della caverna) era alto quanto un duomo. Il puzzo dei cadaveri ci raggiunse prima che potessimo scorgerli, per via dell’oscurità… Fatti pochi passi, dietro un cumulo di panni avvertimmo un sussulto. La lampada illuminò due paia d’occhi giovani e stravolti. Erano solo due ragazzi ma… senza pensarci un istante il sergente li finì con la baionetta. Poi lo vidi piegarsi e raccogliere un oggetto: una croce copta intagliata, di bella fattura. La spolverò con la manica della camicia e la infilò nel tascapane…
Nel 2006 una spedizione guidata dall’archeologo etiope Yonathan Sahle e dallo storico italiano Matteo Dominioni ha rinvenuto nella grotta numerosi scheletri, alcuni appartenenti a bambini di uno o due anni.”
Fin qui il racconto fatto dal libro di Wu Ming.
E io non vorrei aggiungere altro, ma ho in mente una tempesta di pensieri: l’Africa, l’uomo bianco, le razzie, il debito mostruoso; i nativi americani praticamente estinti a causa dell’uomo bianco; gli aborigeni australiani praticamente estinti. Ecco: la vera colpa degli africani (o quella che noi inconsciamente attribuiamo loro e che facciamo loro pesare) è quella di non essersi estinti…
Luciano Arciuolo