La presenza di una comunità di origine ebraica a Bagnoli anche se non è suffragata da documenti storici è intrinseca al popolo bagnolese. Toponimi, usi, costumi e tradizioni ci mostrano la commistione tra la comunità cristiana ed il piccolo insediamento ebraico, che nel corso dei secoli gradualmente, si è mescolato fino a diluirsi per proteggersi dalle persecuzioni. Fra queste, molto probabilmente vi è la preparazione della “conza bagnolese” un piatto tipico di Bagnoli Irpino, unico nel panorama provinciale. Un piatto “povero” il cui ingrediente principale è la zucca e la cui ricetta si tramanda da generazioni. La “conza bagnolese” non può definirsi una vera e propria pietanza della cucina “Kosher”, (La cucina kosher è la cucina che rispetta i dettami della religione ebraica sull’alimentazione), ma ha diversi elementi tipici della tradizione culinaria ebraica, ovvero, gli ingredienti e il modo di cucinarli. La “conza bagnolese” come tanti piatti della tradizione ebraica, prevede infatti l’utilizzo di prodotti della terra, ha una lunga preparazione e una lenta cottura. Queste caratteristiche permettono di prepararlo anche con diversi giorni di anticipo e di conservarlo per altrettanti giorni senza alterarsi. Questo perché il sabato, “shabbat”, il popolo ebraico non lavora, e questo significa anche che non cucina. Ma veniamo alla preparazione.
Per poter degustare la “conza bagnolese” in inverno occorre un lungo procedimento che inizia in estate. In questa stagione è facile vedere sui balconi o nei cortili dei lunghi bastoni con su appese degli “anelli” di zucca messi ad essiccare. A illustrarci il procedimento di preparazione degli “anelli” di “conza bagnolese” è Rosa Tammaro, che, come tante signore bagnolesi, ogni estate, le prepara secondo la ricetta di famiglia, utilizzando grandi zucche coltivate sul Laceno.
“Il procedimento è semplice, si prendono delle grosse zucche, si tagliano in ruote, si svuotano togliendo i semi e i fili e si sbucciano. Quello che resta ovvero degli “anelli” di polpa (alti più o meno 3, 5 o 10 cm), si infilano in un lungo bastone e vengono messi a essiccare al sole 3-4 giorni. Trascorsi i quattro giorni vengono tagliate a striscioline lunghe e sottili per poi continuare l’essiccatura. Durante questa fase bisogna fare attenzione, perché se la sera c’è umidità le listarelle di “conza” o vanno coperte con un telo di plastica oppure più praticamente portate in casa. Terminata la fase di essiccazione le “listarelle” di “conza” vanno conservate, quindi, in barattoli di vetro con sale e pepe, chiusi ermeticamente, o in buste di carta in un luogo secco, asciutto e lontano da fonti di luce e calore”.
Per la preparazione invernale, invece, prendiamo in prestito la ricetta di Giovanni Labbiento, bagnolese emigrato in Canada, che la conserva gelosamente nel ricettario appartenuto alla madre: “Quando siete pronti per la conza durante i freddi mesi invernali, prendete le listarelle nella quantità desiderata, lasciare ammorbidire le listarelle secche di zucca tagliate a pezzi di una lunghezza di 5 o 6 cm nell’acqua per 2 o 3 giorni cambiando l’acqua più volte al giorno. Quando ammosciate, mettere a bollire nell’acqua quanto basta per renderle tenere. Ritirare ed asciugare. Friggere dell’aglio nell’olio d’oliva e aggiungere peperoni sotto aceto, dopo qualche minuto aggiungere le listarelle di zucca e mischiare mollica di pane raffermo casareccio. Aggiungere: origano, pepe, noci sgusciate, sale a gusto. Se si vuole aggiungere il peperoncino piccante, a gusto. Aggiungere aceto di vino bianco (quantità dipende dalla quantità di zucca secca) mezzo a bicchiere. Fate cuocere a fuoco lento fino a che l’aceto si sia prosciugato. Raffreddare e servire. Meglio se per 24 ore in frigo”.
La ricetta della madre di Giovanni Labbiento non prevede le “fucetole” che sono una varietà di porcini che crescono soprattutto in autunno, ingredienti utilizzati invece da tante signore bagnolesi nella preparazione del piatto. Le varianti sono comunque diverse a seconda dei gusti o delle tradizioni familiari. Di certo questo procedimento lungo tre stagioni e l’alone di mistero che ruota intorno a questa pietanza, da origine ad uno dei piatti più prelibati della cucina bagnolese.
Giulio Tammaro