La Fiera (prima parte)

di Tommaso Aulisa

Tratto dal libro: “All’ombra del campanile”. Racconti e satire tra realtà e fantasia (di Tommaso Aulisa).

Autore ed illustre personaggio bagnolese a cui rendo omaggio. Ormai conosco questo libro come Benigni conosce “La Divina Commedia”.  Faccio però ammenda se cercando di copiare fedelmente dal Suo libro, ho commesso qualche errore.

Gino Di Capua


LA FIERA

Nota era nel comune di Bagnoli la Fiera di San Lorenzo, che nel 1810, con decreto del Governo Borbonico, veniva ufficializzata e portata a giornate tre, ovvero dall`8 al 10 agosto di ogni anno. Per molti secoli grandiosi erano stati i festeggiamenti per questo Santo dichiarato Patrono del paese, la cui chiesa nella contrada omonima restava la più antica di Bagnoli.

Quando, però, con l`Unità d’Italia e le successive leggi di Cavour, la chiesa fu spogliata di tutti i suoi beni, San Lorenzo venne a trovarsi privato di ogni rendita, e festività e fiera andarono scemando fino a scomparire.

Durante la prima metà di questo secolo (1900) andavano prendendo quota fiere nei paesi vicini, particolarmente in Cassano, ma soprattutto in Nusco!

Proprio quella di Nusco, coincidendo con la festa della Madonna delle Grazie di fine agosto, andò assumendo maggiore importanza e fu assai frequentata dai bagnolesi.

A parteciparvi erano tutte le categorie, ma prevalentemente i contadini e gli allevatori di bestiame.

Frotte di uomini e donne, giovanotti e contadinelle vestiti a festa, vivacizzavano l`intero percorso.

In quel giorno il via vai sulla provinciale per Nusco era davvero d`eccezione, come quando si parte per una scampagnata.

A non far pesare il lungo percorso di una decina di chilometri circa, quanti ne sono da Bagnoli a Nusco, e a rendere allegre le tante e tante comitive che vi affluivano ci pensavano i burloniche durante la strada, discutendo di cose e fatti locali, finivano a far ridere a crepa pelle.

Cumpa Ntò, diceva il contadino che alzato il passo aveva raggiunto e s`era unito al frotto più avanti, che t` vuò accattà r’ buonu oi a la feraCumpà Viciè, rispondeva l’altro a cavallo di un asino, pe la verità nun aggia accattà quasi nienti.

Stoncu, nvece, purtanne miglierema a la fera a veré si la pozzu venne o cangiarla cu na cavadducciachiu giuvinedda!

Quedda pare ca s’ stai facenne vicchiaredda e, sai cummu è, na perditedda chiu giovana è sempu nata cosa!

Viri chi parla! Viri chi parla! Interveniva la moglie che camminava a piedi dietro l’asino, parla proprio stu scuortucu r’ maritumu, ca è accummunzatu a perde li rienti, è già futtutu inda a r’ mecce, tantu ca la nottu nun s’ vota chiu.

È restatu tuttu scuzzatu e dai la colpa a lu re ca l’è fattu fa la uerra. E fra picca viri ca s’accummenza puru a piscià li cazuni, e parla r’vulè venne a me, rispondeva la moglie sorridendo.

Mo veru si pozzu venne iu a iddu e accattarmi nu zamparieddu r’ Nuscu chiu giovunu, concludeva la donna fra le risate della comitiva.

Avu raggionu Filumena! Avu raggionu Filumena! Diceva la comare Annarella, intervenendo in difesa della moglie di compare Antonio. Quannu lu maritu accummensa a fa viecchiu arriventa nu mpiastru. E che nu lu fai chiu? Lu maritu, continuava, quannu nun è chiu buonu int’a lu liettu sadda sulu cangià. Na femmena, continuava a dire la donna fra le risate dell’allegra comitiva, s’ammarita propriu pe di picca r’ mazzarieddu. Si quiddu s’ammoscia e nun si aza, a che ti serve chiu lu maritu?

Avessere fa na legge ca lu cangiamientu ru lu maritu è obbligatoriu ogni…! Concludeva la commara Annarella, mentre gli altri ridevano a crepapelle, compresi giovanotti e contadinelle che ascoltavano con molto interesse.

Vui femmene, rispondeva il compare Antonio a cavalcioni sull’asino, nun vi iati a curcà cu li ciucci sulu pecché v’ mittiti paura ca quiddi vi rompunu r’ lenzole cu li fierri r’ li zuocculi. Sinò puru a puru cu quiddi vi facissivi na cavuriata.

Sienti cummà Annarè, continuava il contadino, mentre si attorcigliava una sigaretta, iu pozzu puru esse futtutu inta r’ mecce, cummu rici miglerema, ma ricordati ca l’ommunu finu a quannu è capaci r’azà nu quartu r’ somma è capaci puru ancora r’ fa quedda cosa.

E cosi, tra racconti e barzellette, l’allegra  comitiva percorreva i dieci chilometri circa, quanti ne sono da Bagnoli a Nusco, senza accorgersene.

Giunti in fiera si sperdevano tra la folla di uomini e animali, sbirciando a dritta e  manca tutto quello che era in vendita.

Chi aveva portato qualche animale da vendere, trovava il posto giusto ove fermarsi e aspettare che qualche interessato passasse.

Abbondavano i zanzani, impegnati soprattutto nella mediazione per la compravendita di bestiame.

Era gente simpatica perché sempre allegra: ma anche tanto imbrogliona da farvi comprare la luna nel pozzo.

Un giorno avevano comprato un asino vecchissimo, proprio a Bagnoli e il proprietario, pochi giorni dopo, s’era recato alla fiera di Nusco per la compera di un asino più giovane.

Il vecchietto, acquistato l’asino se n’era tornato ben presto, incontrando per la strada tanti paesani che si apprestavano a raggiungere la fiera.

Zi Pié, era il nome del contadino, t’accattatu nu ciucciarieddu giovunu, santu Martinu, gli dicevano quelli che lo incontravano.

Quiddu scuortucu ca tinia, rispondeva il vecchio, s’era fattu assai viecchiu e nun si firava mancu r’ camminà chiu. Quistu mi pare ca trotta buonu, aggiungeva il vecchio.

Chi sà mò nnanzi a chi è ghiutu a funì quiddu r’ prima. Peggiu p’ quiddu ca se le accattatu.

Avia sapé lu pruverbiu ca rici ca li ciucci viecchi morunu sempu a la casa r’ lu fessa, aggiungeva il vecchio sorridendo.

Ma quando giunsero in paese, l’asino, senza che alcuno lo guidasse con la cavezza, s’incamminò proprio per la strada ove abitava il vecchio contadino.

Ué, disse Zì Pietrum’ pare ca quistu canosci già la via!

E quando giunsero davanti la sua abitazione l’asino non perse tempo e imboccò la stalla che la moglie del vecchio,aspettando il nuovo asino, aveva ripulita e biancheggiata.

I zanzani, che passavano pure come zingari, avevano rimesso a nuovo il vecchio asino di Zio Pietro, pulendogli e lucidandogli i peli. Gli avevano annerito gli zoccoli ai piedi e lo avevano ben ferrato.

Gli avevano anche messo una cavezza con campanellini e una coda di lepre, mentre sulle piaghe, che quasi tutti gli asini hanno sul dorso e che si portano per tutta la vita, gli avevano appiccicato della pelle di topi.

E così, l’asino acquistato per poche lire, era stato rivenduto allo stesso padrone con somma cinque volte tanto.

Questi zanzani sostavano quasi sempre ai punti d’ingresso della fiera e sbirciavano e scrutavano il nuovo arrivato per intuire di cosa aveva bisogno.

Paisà, dicevano, che v’ serve? Che v’ serve? Nu ciucciu giovunu, rispondeva il contadino.

Soprattutto i venditori di bestiame avevano tentato di trascurarli per non pagare la mediazione, ma non vi erano mai riusciti, perche quelli sabotavano le vendite con uno stratagemma davvero singolare. Quando s’accorgevano che si stava trattando la vendita di una bestia, vi passavano di rasento facendo l’occhiolino al compratore, che gli correva dietro senza farsene accorgere, e apprendeva che l’animale era malato o rubato. Era questa una insinuazione che faceva mandare a monte l’affare.

I proprietari di bestiame, proprio per questo, avevano finito per affidare la vendita a questa gente, dandogli un prezzo, di modo che la mediazione era la differenza fra questo prezzo e quello effettivo di vendita. Provenivano dai paesi viciniori ed erano assai noti.

Accompagnavano il compratore dove sostava la bestia; e dopo aver guardato l’animale in bocca per accertare gli anni e datagli anche una guardatina addosso, per dimostrare che era gente che se ne intendeva:

Padrò! Chi vuoi p’ st’animalu?

Tre carte, rispondeva il proprietario della bestia.

Tu ara ì arrubbà a cruci, gli rispondeva il zanzano.

Iammucenne! Iammucenne! Diceva al compratore. Ma quando s’erano allontanati solo una decina di metri si rigirava:

Na carta e mezza la vuò? Replicava rivolto al proprietario.

T’ accatti r’ tabaccu rispondeva l’altro.

R’ sapimu ca l’animalu è buonu! R’ sapimu, ma tre carte so assai!

Roi carte r’ vuliti? Stati a sente a mé, pigliativille e accussì faciti subbutu l’affaru e v’ n’ turnati a lu paesu. Replicava al proprietario.

Poi rivolto all’interessato:

L’animalu nun ci lu facimu scappà, è troppu buonu. Gli diceva sottovoce.

Avvicinamuci. Mo ci mittimu nata cosa e quiddu adda calà.

Aggiu capitu, aggiu capitu, replicava ad alta voce il zanzano, rivolto al proprietario:

Nate vinti liri v’abbastene. Ma quello non rispondeva.

Mo parlu l’urdima vota, diceva alzando la mano e allungando l’indice:

Mo t’ ramu roi carte e quaranta lire.

E afferrata la mano del padrone della bestia e quella del compratore:

Rativi la manu e l’affaru è fattu!

Cosi si concludeva l’acquisto di un animale che fruttava al zanzano una mediazione da parte del compratore e un’altra dal venditore.

La compravendita di bestiame era certamente la più interessante nella fiera, anche per il modo pittoresco con il quale si effettuava.

Il bestiame era  prevalentemente costituito da suini, seguivano vacche, muli, asini, capre, pecore, montoni, tori da monta, conigli e pollame in genere.

In quell’epoca di civiltà contadina, tutto quanto veniva prodotto nei comuni viciniori, e anche dai paesi più lontani, giungeva in fiera e determinava una febbrile compravendita.

Dal prodotto dell`artigianato a quello agricolo e zootecnico era presente.

Sparsi per terra, i fabbri esponevano quanto erano riusciti a produrre nel giro di mesi. Anzi, lavoravano proprio in attesa della fiera.

Zappe, zappedde, grasieddi, pichi, favici, faviciuni, mastrieddi, tagliole, accette, runconi, pescele, martieddi, forbici p’ sepu, per innesti, catene, cuddari, rampini, vanche, pale, trieppici, palette, pandole…

Per questi oggetti non interveniva alcun zanzano, ma ugualmente la compravendita non aveva il prezzo fisso e quindi si discuteva con la domanda e l`offerta.

(…continua se lo volete.)

Tratto dal libro: “All’ombra del campanile”. Racconti e satire tra realtà e fantasia (di Tommaso Aulisa).

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