Chiunque abbia occasione di visionare le opere di Maria Rachele Branca, percepisce che il fulcro del suo genio artistico è la figura femminile. Donne forti e fiere, talvolta enigmatiche, dotate di una sensualità prepotente ma sempre eleganti, nelle quali ci si ritrova a leggere le forze nascoste della vita, i ritmi segreti del tempo, la dimensione inafferrabile dei sentimenti.
L’opera, La Principessa di Bisaccia, è emblematica per comprendere appieno il talento e la personalità dell’artista. Il soggetto della scultura è legato alla scoperta, nel 1975, di un sepolcro risalente all’Età del Ferro nella Necropoli di Bisaccia. Il rilevante corredo funebre (brocche, anforette, bracciali e fusaiole) e l’ampio recinto di grossi massi indicano che la tomba è appartenuta ad una giovane di alto rango.
Ed è questa l’impressione che si riceve ad un primo sguardo dell’opera, è come essere dinanzi ad una fanciulla di un tempo lontano, che affascina e che è avvolta nel mistero. Ma in questa scultura vi è molto di più. Nel pensiero dell’artista, attraverso una sorta di metempsicosi, la principessa trasmigra fino ai giorni nostri, per incarnarsi in una tessitrice di Bisaccia. Oltre che una abilissima artigiana, era una cara amica della scultrice irpina, prematuramente scomparsa. Alla perdita di una persona cara si ricollega l’elemento costante, dalla scultura alla pittura, del “copricapo”, che sembra avere una funzione di protezione.
Anche se la ragione è cosciente dei propri limiti terreni, le esperienze più profonde della psiche vengono fuori con spontanea naturalezza. I copricapi intesi quasi come elmi trascrivono le sensazioni di Maria Rachele Branca, e il tutto avviene con un automatismo slegato da qualsiasi intento razionale.
In virtù di ciò, la successiva impressione che si riceve dell’opera non è separabile dalla reazione affettiva del soggetto. La Principessa di Bisaccia acquista un’esistenza autonoma; la scultura non rappresenta, è.
Emanuela Natalino